PSALM (Paul Celan)
Niemand knetet uns wieder aus Erde und Lehm,
niemand bespricht unsern Staub.
Niemand.
Gelobt seist du, Niemand.
Dir zulieb wollen
wir blühn.
Dir
entgegen.
Ein Nichts
waren wir, sind wir, werden
wir bleiben, blühend:
die Nichts-, die
Niemandsrose.
Mit
dem Griffel seelenhell,
dem Staubfaden himmelswüst,
der Krone rot
vom Purpurwort, das wir sangen
über, o über
dem Dorn.
SALMO (Paul Celan)
Nessuno ci impasta ancora di terra e argilla
Nessuno guarisce la nostra polvere con una parola incantata.
Nessuno.
Lodato tu sia, Nessuno.
Per piacer tuo noi vogliamo
fiorire.
A te
incontro.
Un Niente
eravamo noi, siamo noi,
resteremo qui, fiorendo:
di niente,
di nessuno rosa.
Con lo stilo anime chiare
con il filamento cielo deserto,
la corona rossa
della parola di porpora,
che noi cantammo
oltre, o oltre
la spina.
Nessuno ci impasta ancora di terra e argilla / Nessuno guarisce la nostra polvere con una parola incantata: Celan inaugura il primo verso della sua poesia con una constatazione apparentemente rassegnata o forse con un appello doloroso, desideroso di ascolto: chi ci rivolge oggi quella parola che ci salva e ci restituisce alla vita?
La metafora dell’uomo come impasto di terra e argilla, terreno fecondo e grembo accogliente, sembra infatti ricordarci il libro della Genesi: Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. Proviamo a leggere queste parole non in maniera astratta, distaccata o avulsa dalla nostra condizione esistenziale attuale. Proviamo a scendere in queste parole e a farle nostre. Metaforicamente: se io sono ridotto in polvere, se quindi sono “a terra” come frequentemente si dice nel linguaggio ordinario, chi mi guarisce, chi mi consola? A chi posso rivolgermi?
Nel testo originale Celan utilizza la parola besprechen. Parola molto comune in lingua tedesca, che significa “parlare di, parlare riguardo a”. Tuttavia tra i significati più profondi e meno usuali di questa parola c’è anche “guarire, lenire una ferita attraverso una formula magica”. Non a caso la poesia si intitola Salmo. Il salmo è un componimento poetico ma è soprattutto una preghiera, che nasce spesso da una condizione di disperazione, paura, tristezza. Nasce quindi dal mettersi in ascolto del proprio stato interiore. Spesso nei salmi la condizione di dolore inizialmente vissuta dal poeta sembra poi pian piano lasciar emergere una parola di consolazione, che per l’appunto guarisce e lenisce le ferite: besprechen. Analogamente Celan nella prima strofa sembra abbandonarsi in questa intima afflizione:
Nessuno ci impasta ancora di terra e argilla / Nessuno guarisce la nostra polvere con una parola incantata
Come prima, proviamo a riportare questi versi alla nostra vita, proviamo a farli nostri, a farli risuonare in noi. La poesia, come del resto anche i salmi, non è qualcosa di estraneo al nostro esistere, ma parla direttamente al cuore della nostra ferita. Quante volte ci siamo detti, magari serbando queste parole nel nostro cuore, non confessate: “Nessuno, niente dà senso alla mia vita, nessuno si prende cura di me, nessuno sembra vedermi”? Ma se nella prima parte della poesia quel Nessuno risuona come una chiusura in se stessi, un ripiegamento nel proprio stato d’animo, ecco che nella seconda parte quel Nessuno sembra trasformarsi quantomeno in una speranza, una speranza che si fa dialogo e la poesia si apre a un Tu, pur tuttavia definito ancora Nessuno.
Anche qui, non limitiamoci a una lettura sbrigativa di questa parola. Riflettendo attentamente infatti, anche nel linguaggio più comune “niente” viene sempre inteso come l’opposto del “tutto”.
E se il Nessuno inteso come Ni-ente venisse inteso come ciò che è al di là dell’Ente? E quindi come l’Essere che permette all’Ente di esistere? Come ci suggerisce Heidegger in Introduzione alla Metafisica: “Il niente non esprime solo il concetto opposto a quello di ente, ma appartiene originariamente all’essenza dell’essere stesso”. E ancora ci suggerisce Heidegger: “Il niente è la condizione che rende possibile la rivelazione dell’ente come tale per l’esserci dell’uomo”.
Possiamo quindi forse dire che il Niente come il Nessuno sia l’orizzonte entro il quale l’uomo esiste perché proprio da questo Essere inteso come Non Ente (Niente) è fondato? Ed è quindi l’orizzonte entro il quale l’Uomo esiste e fiorisce?
Lodato tu sia, Nessuno / Per piacer tuo noi vogliamo / fiorire.
Celan ci porta quindi sulla strada del rapporto, della relazione tra un soggetto e la fonte del proprio esistere e lo chiarisce proprio nella strofa seguente:
A te / incontro.
In tedesco il termine entgegen viene inteso proprio come stare di fronte a qualcosa (gegen: “contro”). Tuttavia perché la relazione dello star-di-contro si possa costituire è necessario che la presenza non sia ridotta ad una semplice proprietà di un termine ma sia intesa come quell’orizzonte che comprendendo soggetto e oggetto ne consenta il naturale rapportarsi. L’oggetto infatti può star-di-contro (ob-iacere, gegen-stehen) a un soggetto solo se entrambi i termini non cadono fuori dalla sua presenza, ma vi compaiono come suoi termini (cfr. U. Galimberti, Il tramonto dell’Occidente).
Vale a dire quindi che oggetto e soggetto non sono termini opposti ma sono ricompresi nei termini di un’unità, e l’uno non può darsi senza l’altro.
In questo Niente che è oltre l’Ente e quindi pienamente nell’Essere, noi fioriamo e rifioriamo in ogni momento come un flusso eterno e continuo, come rose di ni-ente, rose di nessuno e quindi frutti dell’Essere che eternamente si dà:
Un Niente, / eravamo noi, siamo noi, / resteremo qui, fiorendo: / di niente, di nessuno rosa.
Noi siamo canali di un dialogo eterno dove il mio canto di lode è corrisposto da una parola incantata che mi rimpasta. Ma come posso farmene tramite, come posso riceverla per poter, nutrita dall’Essere che è il terreno fecondo nel quale sono immerso, far fiorire la rosa che sono?
Con lo stilo anime chiare /con il filamento deserto cielo, / la corona rossa / della parola di porpora, / che noi cantammo / oltre, o oltre / la spina.
Lo stilo (Griffel) è nel fiore quel canale di trasmissione che unisce l’ovario allo stigma, è parte del pistillo che costituisce la parte femminile del fiore. Attraverso lo stilo il tubo pollinico raggiunge l’ovario ed è qui che avviene la fecondazione. Non è un caso quindi che Celan utilizzi proprio questo termine, che sembra ispirarci questa domanda: “posso farmi canale di ascolto di una parola che attraverso di me possa divenire feconda e a sua volta dare vita? E l’anima non è forse luogo di ricezione per eccellenza?”.
Qual è dunque la funzione dell’anima? Di un’anima che si faccia grembo di ricezione profonda? La funzione simbolica dell’anima come luogo di accoglienza della parola è stata indagata fin dall’antichità. Facciamoci aiutare in questo viaggio di ascolto poetico da un grande mistico, ancora tedesco, Meister Eckhart: “Perché Dio si è fatto uomo? Io rispondo: Perché Dio nasca nell’anima e l’anima a sua volta in Dio. Per questo è stata scritta tutta la Scrittura, per questo Dio ha creato l’intero mondo: affinché Dio nasca nell’anima e l’anima a sua volta in Dio” (Trattati e prediche).
Ma se Dio nasce davvero nella mia anima, non ne sarò dunque io madre quindi responsabile di far crescere il divino che c’è in me? E se l’anima nasce a sua volta in Dio non ne sarò allo stesso tempo anche figlio?
Il filamento (Staubfaden) è invece quella parte dello stame che porta e sostiene le antere con il polline. Lo stame costituisce la parte maschile del fiore ed ha quindi, come detto, una funzione di sostegno.
Esso tuttavia viene definito himmelswüst, dove wüst ha il significato di deserto, desolato ma anche caotico, disordinato. Celan sembra alludere a un tormento profondo. Il fiorire è qualcosa di ardentemente desiderato quanto sofferto. Il filamento anela e si slancia verso il cielo, ma è un cielo deserto, caotico. Quando ci mettiamo in cammino per una trasformazione che sia davvero autentica assaporiamo talvolta anche molto sconforto e disillusione. È come scolpire una figura: l’immagine prende via via sempre più forma ma la pietra che lavoriamo spesso è molto dura.
In questi passaggi così difficili è importante accogliere questa amarezza e consolarla. Continuare a procedere tenendo per mano quella parte di noi che vorrebbe lasciarsi andare e scivolare via. L’anima fiorisce o avvizzisce a seconda del nutrimento che le diamo. E se il terreno nel quale fiorisce è l’Essere che mai si sottrae e eternamente si dà, rimane a noi la responsabilità di custodirne il campo, di liberalo e pulirlo da ciò che lo infesta.
Di che cosa nutriamo quindi la nostra anima? Questa è una domanda che dovremmo porci continuamente. Questa consapevolezza torna ad essere presente in Celan e l’ultima parte della poesia è un protendersi, è uno slancio verso questo anelito, questo desiderio di appagare una sete struggente di infinito. L’Io umano proprio nell’anima infatti recepisce la parola che lo feconda e che lo disseta. Ed infatti dopo aver ricevuto questa parola l’anima si fa corona rossa della parola di porpora.
Anche il color porpora ha un significato simbolico molto forte. Il color porpora è infatti un color rosso sfumato di blu, dove nel linguaggio simbolico dei colori il rosso rappresenta l’amore divino e il blu la verità celeste. Il colore porpora incorporando il rosso e il blu esprimerebbe quindi l’amore per la verità. In questa luce risuona ancora più potente il verso di Celan: la parola di porpora è quindi una parola che è amore per la verità.
Ponendoci in ascolto quindi, proprio a partire spesso da una condizione di amarezza, dolore e rassegnazione, riceviamo una parola che dalla polvere, dal basso della nostra condizione esistenziale – spesso imprigionata nei muri algidi di un’anima impaurita – ci innalza a una condizione di regalità. Possiamo quindi in ogni momento decidere di procedere oltre la spina, cioè oltre il doloroso ripiegamento su se stessi, e di schiudere finalmente la nostra “corolla-anima”, facendoci a nostra volta catena di trasmissione e cantando la nostra parola di porpora:
Con lo stilo anime chiare / con il filamento deserto cielo, / la corona rossa / della parola di porpora, / che noi cantammo / oltre, o oltre / la spina.
Grazie, Maila, per averci donato questa bellissima poesia di Paul Celan! Per me personalmente è un duplice dono perchè paradossalmente amo la poesia, o meglio bramo di amarla, ma spesso non riesco a comprenderne il significato e ciò mi addolora. Mi addolora perchè sento che nei versi poetici a volte si nasconde qualcosa di profondamente espressivo della vita umana che potrebbe aiutarmi ad intravederne il senso, a viverla più coscientemente, a trasformarla,
Ti sono profondamente grata e spero che questo post sia solo l’inizio di una esperienza per me nuova, affascinante, sorprendente. Un abbraccio
Maria Letizia
Grazie cara Maila,
è molto bello questo tuo scritto, e mi convince sempre di più di quel che mi pare di aver capito della poesia, e cioè che è sempre ed invariabilmente una parola di guarigione. Così “imparare a guarire” veramente si appoggia in maniera decisiva sulla parola poetica, che riesce a parlare in un territorio che è ben oltre la logica razionale (la cui radicalizzazione è all’origine di tanto disagio psicologico), in un territorio soleggiato, risanante, dove le mille possibilità giocano e danzano libere anche dal principio di non contraddizione, felicemente poliedriche, polifoniche.
Già Marco diceva qualche giorno fa che il discorrere quando si fa decisivo deve appoggiarsi o alla parola poetica o alla parola rivelata, deve comunque esondare dall’ambito dell’argomentare comune, che spesso ritorna su circoli viziosi e tortuosi e non ci libera, ci fa ammalare. Già la parola usata bene guarisce: cos’è mai, infatti, la psicanalisi se non una tecnica di guarigione attraverso la parola? Oltre questo, la parola poetica ha un potere di guarigione fortissimo. Laddove la parola usuale spesso è polarizzata e divisiva, lei è morbida e lenitiva.
Abbiamo bisogno della poesia non tanto per vaghezza culturale, ma per star bene, per guarire. Quella “parola incantata” di cui siamo misteriosamente nostalgici, così accanitamente mancanti.
“Nessuno ci impasta ancora di terra e argilla
Nessuno guarisce la nostra polvere con una parola incantata.
Nessuno.”
A me rimanda, in qualche modo, al bellissimo testo di Echoes, dei Pink Floyd, specialmente laddove recita che “nessuno ci ha chiamato alla terra…”
And no one called us to the land
And no one knows the where’s or why’s
Something stirs and something tries
Starts to climb toward the light…
Coniugare cielo e terra è il compito assolutamente soverchiante ed insieme totalmente necessario, per ricomporre, ricomporci, riproporci nuovi, come rinascenti, come appena nati. La poesia è un viatico fondamentale, per questo.
Grazie.
Grazie, cara Maila, sì Celan è davvero abissale, quando lo iniziai a leggere, alla fine degli anni ’70, mi colpì subito questo suo essere estremo, sempre nella Strettoia, tra cenere e Regno.
Qui puoi ascoltare la sua voce, mentre interpreta Psalm:
https://www.youtube.com/watch?v=KhbPbbJXu5Y
Un abbraccio. Marco
Ti ringrazio Maria Letizia per aver letto e apprezzato il mio scritto. Se ti piace questo modo di sentire e vivere la poesia vieni a trovarci sul nostro sito humuspoetico. C’è un bel gruppetto di ragazzi che sta svolgendo proprio questo lavoro. Vivere e diffondere la poesia non come genere letterario ma come essenza profonda dell’essere umano. Spero ci troverai delle chiavi interpretative interessanti.
Grazie Marco C. Anche per me la parola poetica quando scaturisce da certe profondità abissali è sempre una parola che guarisce. Forse perché ci riconnette con una dimensione profonda, spesso trascurata,messa all’angolo e quindi sofferente. Lasciar parlare questa parte significa integrarla e l’integrazione delle parti è già via di guarigione.
Grazie Marco G. Si conosco quell’interpretazione di Celan. Prima di questo scritto l’ho ascoltata molte volte. Mi colpì moltissimo la sua voce. È una voce che taglia, non so come spiegare, è proprio come lama affilata.
Cara Maila
mi piace questa interpretazione di “Niente” e di “Nessuno”. Proverò a farla mia! Molto bello questo testo pieno di suggestioni profonde! Grazie.
Letizia
Grazie Letizia,
la poesia è viva quando sa evocarci appunto nuove suggestioni, accompagnandoci nelle nostre trasformazioni quotidiane.
Un saluto
Maila
Grazie, cara Maila per questo bellissimo Salmo di P. Celan riportato e ascoltato in lingua tedesca che non conosco. Grazie per la tua profonda lettura poetica.
Le suggestioni che mi sono pervenute dall’interpretazione di Ni-ente e Ness-uno ( il mio cognome è Nieddu che in sardo vuol dire nero e nella mia giovinezza sono stata a lungo vestita di nero per motivi di lutto) confermano preziose suggestioni che da un pezzo accompagnano le mie piccole poetiche trasformazioni quotidiane e ne aprono di nuove, tutte profondamente consolatorie perché …una rosa è una rosa è una rosa.
Ora so meglio perché su F.B mi chiamo rosa niedda( rosa nera), non solo perchè amo tantissimo questo fiore che coltivo e continuo a cantare oltre o oltre la spina ma anche perché forse, ora grazie a Celan e a te sarà uno dei miei Salmi preferiti… Si: “resteremo qui fiorendo: di niente, di nessuno rosa.”
Grazie Giuseppina,
sono molto felice che questa poesia ti abbia evocato suggestioni così intime, così legate alla storia della tua vita e del nome che porti! Trovo queste consonanze bellissime, un segno della vita che ci svela misteri che parlano di noi usando i canali più diversi.
Grazie per il tuo commento.
Un caro saluto
Maila