“Se sei capace di regolarti e acquietarti
Allora puoi giungere a stabilità.
Con il cuore stabile al centro
L’orecchio acuto e l’occhio limpido
Le quattro membra salde e forti
puoi fare di te la dimora per la pura essenza vitale”.
(Neiye, IV sec. a.C.)
Nella prima parte della riflessione apparsa su questo blog qualche settimana fa, abbiamo discusso intorno al tema delle Paure, su
come aiutare l’uomo contemporaneo ad affrontare l’ importante momento di transizione epocale che con Guzzi (2005, pag. 5) definiamo “una vera e propria nuova era di evoluzione antropologica-esistenziale dell’uomo”,
paure che lo attanagliano quando è alle prese con le necessarie ri-modulazioni dello stato interiore e mentale, al cospetto di grandi domande di senso che è portato a porsi all’interno dello scenario attuale sempre più sgretolato e appiattito su brutali modi di occuparsi delle cose del mondo e dell’umanità.
Manteniamo infatti lo sguardo all’interno di questa visione di senso su dove va l’uomo di oggi e come possa procedere nella convivenza umana rispetto ai significati che si danno ai concetti e ai lineamenti stessi della nostra umanità, quando ci interroghiamo su parole che poi diventano ruoli, funzioni, identità, come padre, madre, maschio, femmina, uomo, donna, matrimonio, vita, morte, sesso, amore, libertà, diritti, ecc. (Guzzi, 2019), che sono nella nostra società in una fase di metamorfosi rispetto ai significati che hanno avuto da sempre.
E noi praticanti in Darsi Pace chiamiamo “autoconoscimento” la via iniziatica della conoscenza di noi, della nostra guarigione per le trasformazioni dell’Io e della coscienza per dare voce a queste domande di senso.
E per fare questo
partiamo proprio da quel luogo in cui abbiamo sperimentato l’impotenza, i fallimenti, le ferite subite, per orientarci verso nuovi stati più luminosi e schiariti dell’essere,
e così pacificati siamo chiamati a muoverci verso gli altri e il mondo con una rinnovata energia creativa e spirituale.
Ciò rappresenta come sappiamo una delle tre vie iniziatiche sperimentate negli incontri delle annualità, insieme all’approfondimento culturale e alla crescita spirituale.
L’intento del progetto di studio “L’Universo delle Psicoterapie” (vedi il post precedente pubblicato il 14 gennaio c.a.), vuole approfondire altri autori, altri cammini terapeutici o scuole psicoterapeutiche e vedere quale cura è offerta in risposta ai temi pregnanti di questo periodo epocale, e abbiamo scelto di iniziare ad approfondire un approccio contemporaneo della Teoria Cognitivo- Comportamentale, l’ACT –Acceptance and Commitment Therapy (Terapia di Accettazione e di Impegno nell’Azione),
perché più di altre dichiara esplicitamente il valore della tecnica della meditazione , chiamata mindfulness, dell’ascolto e accettazione dei vissuti dolorosi insieme ad un impegno verso l’attuazione di comportamenti nuovi scaturiti dalla cura,
come se si stesse ispirando ad una psicoterapia contemplativa, della compassione e dell’attuazione di nuovi comportamenti.
La Teoria Comportamentale e la sua evoluzione
La Teoria Comportamentale (TC) nasce agli inizi del secolo scorso e si evolve fino agli ’50, siamo alla prima generazione dell’approccio comportamentale diffuso in Europa che si propone come una terapia in forte contrapposizione a quella psicoanalitica e a quelle psicodinamiche sorte anch’esse dall’inizio del secolo scorso fino ad oggi.
Essa si basa sull’assunto che ciò che si può indagare dell’individuo è solo il comportamento in risposta ad uno stimolo fisico o ambientale, e che tale collegamento tra stimolo e risposta, ripetendosi, da’ origine ad un apprendimento del comportamento che nel tempo diventa abituale (il cosiddetto condizionamento). La mente sarebbe invece una black box, una scatola nera non conoscibile scientificamente, e quindi non da prendere in considerazione.
A questa prima fase della TC seguono un insieme di “innovazioni”, che hanno invece preso seriamente in considerazione gli aspetti mentali-cognitivi in precedenza assolutamente trascurati: si parla, quindi, di seconda generazione riferendosi alla “fusione” di procedure di terapia comportamentale e terapia cognitiva, in quella che viene a chiamarsi Terapia Cognitivo-Comportamentale (TCC), che si impone ancora attualmente come un riferimento scientifico soprattutto in ambienti limitrofi a quelli medico-psichiatrici, e a quelli che usano un approccio farmacologico ai disturbi psichici.
La teoria Cognitivo-Comportamentale (TCC), postula una complessa relazione tra emozioni, pensieri e comportamenti questa volta, evidenziando come i problemi emotivi siano in gran parte il prodotto di
credenze disfunzionali, mantenute nel tempo, al di là della sofferenza che produrrebbero.
Quindi la TCC lavora sulle “distorsioni dei pensieri” e sulla soggettiva visione della realtà come rappresentazione auto-indotta dagli schemi interni alla mente.
Successivamente, dalla teorizzazione iniziale di Terapia Comportamentale e Cognitiva standard degli anni 1950/’80/’90, si va delineando nei successivi 20 anni fino ad oggi, una nuova corrente terapeutica che si affaccia nella letteratura internazionale.
Per spiegarla dobbiamo riferirci innanzitutto al famoso dr. John Kabatt Zinn, che dall’America, come medico e ricercatore, inizia ad applicare la meditazione a derivazione buddhista ribattezzata col termine mindfulness, affiancandola ad alcune pratiche psicologiche psico-corporee e comportamentali, con lo scopo di portare sollievo a persone affette da dolore cronico, a malati in cura presso i reparti di medicina, o a persone affette da forte stress.
Si tratta di una pratica (una sorta di meditazione intesa come consapevolezza del presente) che vuol far crescere un “ascolto del momento in atto che si vive”, e che questa attenzione al momento presente, che accade “ora”, senza che si usino valutazioni o giudizi, ma con apertura e recettività, può lenire la sofferenza, può acquietare l’animo, lasciando che i propri pensieri (le proprie narrazioni) vadano e vengano senza influenzare il proprio vissuto (Moderato, 2015).
Questo approccio ha avuto negli ultimi 15 anni una grande influenza sulla TCC, e con una sua rielaborazione ha dato inizio alla Mindfulness Based Cognitive Therapy – MBCT (Terapia Cognitiva basata sulla Mindfulness), che prevede un protocollo di circa 8 incontri in gruppo più un week end di meditazioni guidate (sul modello proposto da Kabatt Zinn), con l’aggiunta dell’insegnamento di pratiche di regolazione emotiva, compiti a casa, cambiamento di abitudini in cui si apprende momento dopo momento ad osservare i cambiamenti del corpo e della mente, ad accettare il presente così come è man mano che si fa l’esperienza dell’ ascolto di sé.
Per ultimo, sempre in America intorno all’anno 2000 Steven Hayes e colleghi, sul filone di messa in discussione della psicologia occidentale che nel frattempo si è frammentata in centinaia di approcci teorico-tecnici e clinici, e dell’ interesse verso le neuroscienze, danno origine all’ACT – Acceptance and Commitment Therapy (Hayes & Wilson, 1994), che si legge come una parola e non come singole lettere distinte e richiama opportunamente il verbo inglese to act (agire), in italiano “Terapia di Accettazione e di Impegno nell’Azione”.
Si tratta di una tecnica che tramite l’uso della
“Mindfulness in un processo di Accettazione, guida il paziente in un percorso di raggiungimento di stati più sereni di sé, e conseguentemente orientati verso un agire secondo la guida di “Valori Personali”.
L’accettazione viene proposta quale tecnica per “stare con…” il disagio o la paura, accogliere i vissuti emotivi e meditando col respiro attenuare la portata dell’emozione dis-regolata.
E’ qui che l’ACT diventa chiaramente una psicoterapia mindfulness based, e rappresenta la terza generazione degli approcci cognitivo-comportamentali ai disturbi psicologici, oggi molto diffusa.
L’ACT non si concentra più sul tentativo di modificare direttamente i pensieri distorti o i comportamenti, né le convinzioni di pensiero patologiche, ma si pone la finalità di una
modificazione profonda della relazione che abbiamo con i nostri pensieri disfunzionali e con le nostre emozioni negative” (Moderato, 1998).
Questo rinnovato rapporto nella persona, tra se stesso e la sua mente, in cui non si rimane fusi con i pensieri o le emozioni, ma distanziati ad osservarli, si tradurrebbe in una riduzione della sintomatologia, proprio come conseguenza di tale cambiamento di prospettiva.
In altre parole, secondo l’ACT,
la psicopatologia è spesso invece proprio il risultato del tentativo contrario in questo rapporto tra sé e la propria mente, ossia di evitare l’esperienza osservativa e dell’ascolto, quella del rapporto con la mente e con l’esperienza vissuta, evitare le emozioni squisitamente umane che sono spesso inevitabili come quelle di dolore, di ansia, di tristezza,
in quanto più si lotta per cercare di respingere la tristezza o una qualsiasi emozione negativa, evitandola, più questa aumenta, amplificando infine così la stessa sofferenza.
L’ACT propone quindi di contrastare questo evitamento, favorire l’accettazione dell’esperienza stessa senza giudicarla, senza l’assillo del controllo né della spiegazione.
ACT e Valori!
Ultimo aspetto importante dell’ACT è la rilevanza che essa dà ai “Valori” personali, come accennavamo prima, il cui fine sarebbe quello
di orientare l’individuo ad “uscire dallo stato penoso”, perche si orienti nella vita verso ciò in cui crede più importante per lui…!, cioè un suo impegnarsi per agire e per perseguire i propri “valori” nei contesti di vita in cui vuole impegnarsi.
Potremmo paragonare questo “agire” ai suggerimenti di Guzzi che ad ogni esercizio di auto- conoscimento ci indica sempre di chiudere con la formulazione per iscritto di un “impegno”:
-Io posso essere un po’ più…., molto più…
-Io posso essere molto meno….
Ma questo impegno è il centro nevralgico di tutto questo confronto che stiamo facendo tra pratiche psicoterapeutiche come la TCC-ACT e il nostro metodo in Darsi Pace.
La domanda che ci poniamo è:
sulla base di quale indicazione nuova io oriento la mia azione verso un comportamento più utile?
Ossia, in che cosa consiste l’originarsi di un nuovo sentire o pensare che poi darebbe la spinta ad impegnarsi in un nuovo atteggiamento? Bastano i valori personali a fare da guida, quei valori che all’inizio Guzzi ci diceva che oggi sono tutti in travaglio, o che pur essendo “presi pari pari dalle speranze messianiche, pensiamo alla pace, giustizia, uguaglianza, poi non se ne riconosce la fonte storica oggettiva dalla quale provengono” (Guzzi, 2019)? Con il rischio di una secolarizzazione degli stessi valori al servizio di altri domini?
Secondo l’ACT le energie e il tempo, prima impiegati a cercare di lottare contro le proprie esperienze interiori, dovrebbero essere investiti in azioni concrete, in un impegno fattivo, guidato dai propri valori, per rendere migliore, significativa e ricca la propria vita, rispondendo alle domande:
“cosa voglio dalla vita?” oppure “cosa è importante per me?” oppure “quali sono i miei valori?”.
L’ ACT può quindi essere sintetizzata come segue:
– Accetta le tue esperienze interiori e sii presente a te stesso
– Non evitare il contatto con l’esperienza delle emozioni o dei pensieri
– Scegli una direzione di valore
– Agisci
In sostanza questa forma di psicoterapia non modifica i contenuti esperienziali ma solo il modo in cui ci si rapporterebbe ad essi: basta questo per alleviare i forti dubbi, i dolori e le paure esistenziali di cui siamo portatori?
L’azione tecnica dell’ACT promuove uno stato di maggiore acquiescenza probabilmente, e questo per noi in Darsi Pace è lo stato dell’Io in Conversione, fino al punto di vivere uno stato di coscienza incondizionata:
sappiamo che per noi però questo stadio è solo la metà del processo della liberazione, mentre per l’ACT o la TCC potrebbe essere tutto il processo della cura.
Il quesito che si pone, quindi, è fin dove arrivano le psicoterapie a liberare l’uomo dalle strettoie dell’Ego e della sua distruttività?
Questo è ancora il filo conduttore che ci guiderà per il prossimo approfondimento in cui affronteremo il passaggio su un confronto tra le metodiche psicologiche e quelle spirituali o iniziatiche, dove terminano e dove si inoltrano i percorsi di crescita e realizzazione piena della propria integrità umana.
Bibliografia:
Guzzi, M. (2005), La Nuova Umanità, collana Crocevia, Ed. Paoline
Guzzi, M. (2019), intervista su: Marco Guzzi e senso comune-alla ricerca del segno perduto, in Polisemantica – https://polisemantica.blogspot.com.
Haye,. S. et al. (2013), ACT. Teoria e pratica dell’Acceptance and Commitment Therapy, Raffaello Cortina.
Kabatt Zinn, J. (1990), Vivere momento per momento, trad. it. 2016 Corbaccio ed.
AA.VV., a cura di P. Moderato e G. Presti, (2015), Cent’anni di comportamentismo. Dal manifesto di Watson, alla teoria della mente, dalla BT all’ACT, ed. Franco Angeli.
Mi piacerebbe che faceste un informativa anche sulla interessante teoria della Psicoterapia della Gestalt della quale in Italia i maggiori rappresentanti sono il prof.Salonia Giovanni e la prof.Spagnuolo Lobb Margherita.
Molto interessante e davvero ben scritta questa seconda parte della riflessione, come del resto fu la prima. Comprensibile anche per un profano, seppur nel limite di un argomento tanto complesso. Questo è lo stile di Darsi Pace: aperto a ogni questione e confronto profondo con quanto sia utile alla formazione dell’essere umano e capace al contempo di parlare in modo semplice, traducendo in “lingua comune” gli oscuri specialistici linguaggi delle scienze e di ogni altra specializzazione culturale. Sforzo tanto più prezioso in quanto volto non a una divulgazione fine a sé stessa, ma a stimolare una riflessione comunitaria in grado di produrre nuovo sapere.
Ringrazio di cuore non solo l’autore di questi interventi, ma ogni altro attivo collaboratore di DP: il vostro entusiasmo e la vostra generosità sono come benefica pioggia che feconda la terra.
Un ringraziamento a Michele per lo scritto chiarificatore e stimolante.
Lo stimolo a farsi domande e’ forte e perturbante…..
Mi chiedo, per l’appunto, se si possa trovare una risposta a domande come “cosa volere dalla vita….”, o ” in quali valori rispecchiarsi e orientarsi”, in contesti di personalità con patologie identitarie?
Come orientarsi in un luogo buio e vuoto?
Ottimo lavoro, grazie, caro Michele! molto utile credo per tutti. Mi pare che in realtà le terapie legate alla Mindfullness portino con sé, non rivelandoli, fondamenti spirituali e culturali ben precisi. Il loro fondamento teorico non sempre chiaramente manifestato è il Buddhismo, e quindi la fede che la nostra mente, liberata dai condizionamenti egoici, possa raggiungere una condizione di verità originaria, ove appunto sperimentare i valori, di cui parli….. Ciao. Marco
Grazie, Michele, non solo per il lavoro che stai/state facendo, ma anche per come lo state facendo: le tue “panoramiche” nel vasto campo delle scienze psicologiche , pur sintetiche, sono svolte in un linguaggio abbastanza comprensibile anche per un non addetto ai lavori, come il sottoscritto, e stimolano ad ulteriori approfondimenti. Ringrazio anche Marco Guzzi per la sua puntuale precisazione circa la fede, non sempre manifesta, che sottende alle terapie legate alla Mindfullness. Sto giusto rileggendo, direi meglio ruminando, il suo ultimo (credo) libro Fede e Rivoluzione in cui si dimostra molto bene che il vero dilemma di chi decide di pensare non è fede sì o fede no, ma QUALE fede orienta la tua ricerca, sia che tu te ne renda conto oppure no. Grande libro Marco! Grazie.
Benigno
Grazie Chiara per averlo segnalato. È già previsto che se ne parli della psicoterapia della Gestalt. È una teoria molto importante, e sarà una delle prossime dalla quale prenderemo spunti e con la quale dialogheremo. Il tema potrà essere quello del Contatto, come fare contatto e a che livello goderne del pieno contatto, magari per vedere cosa farne di questo pieno…
che dici!??
Caro Andrea, queste tue parole confortano molto, sono il motivo che spingono a dedicarci senza interessi a questa opera. Sapere di fare un servizio che risulta poi utile è qualcosa che da senso e vitalità alle fatiche del lavoro.
Grazie, seguici sempre??
Grazie a Michele e al gruppo “Attraversamenti” impegnati in questo lavoro di informazione e divulgazione…utilissimi i riferimenti bibliografici!
Una richiesta: ho aperto il link relativo all’ intervento di Marco G. ma non sono riuscita a trovarlo…potreste darmi qualche indicazione più precisa?
Ancora grazie e un caro saluto, mcarla
Ciao Maria Carla, il link porta alla home page del blog “polisemantica”; poi bisogna inserire il nome “Guzzi” nell’apposita area di ricerca. Questo link dovrebbe condurti direttamente a quanto voluto: https://polisemantica.blogspot.com/2019/01/marco-guzzi-e-senso-comune-alla-ricerca.html
Grazie Andrea…
trovato e apprezzato!
mcarla
Ah bene! Mi godo il tuo ringraziamento, cara mCarla, come se fossi un genio dell’informatica, dimenticando per un momento la figuraccia che feci all’acquisto del pc, quando subito riportai la macchina al negozio, sostenendo che era rotta, mentre invece avevo dimenticato di inserire la spina…
…non voglio togliere spazio a commenti di certo più interessanti, così ti risparmio il mio “curriculum vitae” a proposito di computer…ciao???!
mcarla
Ciao Rosa,
la tua è una domanda difficile. Servirebbe sapere di più a cosa ti riferisci. Il problema del vuoto è leggibile sotto varie forme, anche non in senso patologico. Potresti dire di più? Grazie??
Grazie Michele,
ottimo il tuo contributo, aspettavo da tempo un approfondimento sull’ACT dato che la segue e la pratico da almeno due anni. Nel centro di riabilitazione che dirigo (Opera don Guanella) abbiamo avviato un percorso di formazione ad hoc che sta portando i suoi primi frutti.
Ovviamente penso che l’ACT non possa andare oltre l’io in conversione. Al massimo il concetto di “sé come contesto” può avvicinarsi al nostro “concetto immacolato” o Immacolata Concezione. La differenza più grossa (ed ovvia) sta nel fatto che il nostro “cuore immacolato” è ontologicamente in attesa di una Parola che lo fecondi, mentre il “sé come contesto” tendenzialmente si ferma lì…che comunque è un luogo altro, rispetto al mondo dell’ego.
Sarebbe bello se continuassi questo dialogo anche e soprattutto perché la cosiddetta scienza inizia a giungere a conclusioni vicine allo Spirito.
Grazie
Grazie Francesco Cannella di questo tuo prezioso commento. Mi ci fermo un po’ a riflettere ancora, e ti risponderò quanto prima per continuare il dialogo??