Cedere al buio,
può farti credere
che il sole non sorge
ogni giorno!
Ma esso sorge.
(M.G.)
Il nostro percorso di comparazione tra i modelli psicoterapeutici della cura mentale e la metodologia del cammino trasformativo in Darsi Pace prosegue dalla scorsa 2° pubblicazione apparsa l’11 febbraio, nella quale i teorici psicoterapeuti dell’ACT (Acceptance ad Commitment Therapy, la terapia dell’accettazione e dell’azione di ultima generazione negli approcci cognitivo-comportamentali) si chiedevano:
“come orientare il paziente sulla direzione “giusta”?; oppure “quali sono i valori guida per il paziente, che indicano in che cosa cambiare rispetto alla sofferenza e come volgersi al mondo in maniera più efficace?”; “cosa si vuole dalla vita?”; oppure “cosa è importante per me come persona?”
E noi darsipacisti in AttraversaMenti ci domandavamo:
sulla base di quale “nuova indicazione”, però, posso orientare la mia azione verso un comportamento più utile dopo aver liquidato i pensieri della mente che intralciano, dopo aver fatto morire l’Ego? Chi e che cosa mi può dire come cambiare?
Fin dove arrivano le psicoterapie a liberare l’uomo dalle strettoie dell’Ego e della sua distruttività?
Ossia, in che cosa consiste l’originarsi di un nuovo o rinnovato sentire o pensare a partire dal basso della nostra interiorità,
che, poi, darebbe la spinta ad impegnarsi in un nuovo atteggiamento, a partire da uno stato di coscienza meno condizionato? Bastano i cosiddetti “valori personali” a fare da guida ad una realizzazione più piena della mia esistenza?
Chi sono Io? Chi voglio essere? Che ci sto a fare sulla terra? Come posso essere felice?, sono domande che si impongono all’attenzione, e che aprono al dibattito circa le varie visioni sulla vita, sull’uomo e il suo destino, e così anche all’approfondimento delle diverse antropologie o filosofie che sostanziano le teorie e i modelli delle cure psico-terapeutiche e psicoanalitiche trasformative della persona.
Se ritorniamo quindi allo svolgimento del processo dell’aiuto terapeutico secondo la tecnica cognitivo-comportamentale di terza generazione dell’ACT, suddivisa in 2 parti, si nota che nella prima non si discosta molto da quella proposta da Guzzi nel suo invito all’autoconoscimento (2004; 2007): concentrarsi-ascoltarsi-accogliere-porre attenzione sul corpo che respira-far fluire, per tutto il tempo che serve.
fig. 1
E’ nella seconda parte che lo scenario cambia completamente, dal punto 5 in poi della figura 1.,
ossia nel modo in cui si conclude il processo dell’ascolto di sé, da come si rie-emerge da sé per ri-orientarsi nella vita e nel mondo,
e per restituire alla persona il senso di direzione e azione.
Infatti, dopo aver fatto prendere contatto con l’emozione di dolore, della paura o tristezza sottostante, la tecnica psicoterapeutica dell’accettazione si svolge così (vedi figura 1):
1° momento – Acceptance (accettazione): si chiede alla persona di
–notare queste esperienze entrandoci in contatto, accogliendole senza giudizio;
–decentrarsi-defondersi, con l’osservatore distaccato, che lascia andare i pensieri accogliendoli e facendoli fluire, facendo diminuire proprio così la loro influenza;
– contrastare (connessione) la tendenza ad evitare o a combattere le emozioni, come se fossero esperienze negative;
–proporre (un sé che osserva) tale esercizio in ogni momento in cui ci si trova in uno stato ansioso o di disagio-paura.
2° momento – Commitment (che sta per “agire con impegno”) invece, vuol dire:
–impegnarsi nella realtà, modificare o sostituire comportamenti negativi in comportamenti orientati ai propri valori più intimi ed essenziali
–più si è impegnati in questo processo, più i cambiamenti avverrebbero a cascata in un circolo virtuoso.
I valori a cui rifarsi rappresentano le qualità che la persona vuole vivere per decidere di sé.
Ed è qui, in questo passaggio, nel confronto con i punti 5 e 6 della figura riportata in alto
che vogliamo dare il massimo di noi stessi e della spinta iniziatica che abbiamo sperimentato di persona nel percorso in Darsi Pace,
confrontandoci con i modelli della “cura dell’anima” proposti, come in questo caso, quando concentrati su questa speciale esperienza della coscienza incondizionata, dopo che l’anima indurita è stata “prima lavorata almeno un po’, ammollata, accolta-accettata e liquidata” (Guzzi, 2007),
proprio qui, vogliamo inoltrarci verso le dimensioni più profonde del nostro essere, dell’essere spirituali:
non si tratta di sostare per riemergere compiendo un salto in modo intellettualistico, essendo immersi in una dimensione spirituale, ma di
poterci ri-generare tra il far morire il vecchio io, e l’ascolto dello Spirito del Nascente che preme dal basso, dalle profondità della natura che vuole indurre a suggerirci chi siamo, ossia “fuoco vivo”.
E’ chiaro che in DP ci rifacciamo ad una precisa antropologia interpretativa. Ma ci torniamo a breve.
In estrema sintesi alla base di questa teoria psicoterapica dell’ACT c’è una filosofia, un insieme di tecniche interconnesse tra loro, che derivano più o meno dall’insegnamento buddhista:
l’ubiquità della sofferenza umana,
il ruolo dell’attaccamento alle credenze e ai comportamenti disfunzionali nel disagio psicologico,
il sé osservante,
il sé come contesto,
il contestualismo funzionale,
l’agire etico e virtuoso (Hayes 2013).
Queste concezioni fanno riferimento ad una precisa antropologia, così come ogni modello psicoterapeutico ne possiede una spesso implicita: concordiamo con Cencini nel dire che “osservare l’uomo senza farsi un idea di chi è l’uomo, è un mito”, … “non si può curare il dolore senza farsi un idea del senso di quel dolore e del suo posto nell’esistenza. Le differenze tra scuole psicoterapeutiche sono differenze circa le riflessioni sull’uomo e di ciò che lo rende degno e rispettabile”… (Cencini, Manenti, 2015)
Browning, S., uno studioso delle implicazioni etiche delle psicologie moderne, ha proposto delle definizioni a riguardo, ha chiamato “cultura del controllo” riferendosi ai comportamentisti, “cultura dell’armonia prestabilita” gli umanisti esistenziali, “cultura del distacco” i freudiani, “cultura della cura” alcuni psicoanalisti contemporanei, nel senso che pur senza dirlo, molto spesso una teoria diventa un’antropologia: teorizza gli scopi e i significati di essere umano, ciò che giusto o dannoso, liberante o mortificante, aperto o chiuso, ma poi si arriva a volte pure a curare e a definire l’humanum”(2007). A seconda del nucleo centrale individuato da curare si avranno le varie scuole psicoterapeutiche. E’ la speculazione antropologica che le differenzia, piuttosto che i metodi terapeutici suggeriti.
Come apparteneti al gruppo AttraversaMenti in Darsi Pace, vogliamo anche sostenere che a volte non troviamo risposte in fondo in fondo al nostro io o al nostro sentire, al nostro buio in cui non vediamo il sole, è come se ci inoltrassimo verso un abisso e abbiamo di fronte un baratro: abbiamo ancora paura, e ci sentiamo impotenti. Non crediamo che ci salvino solo i “valori”, ma per fede decidiamo di rivolgerci ad una coscienza superiore, quella del Cristo nascente in ciascuno, se lo volessimo come decidiamo di volerlo, perché ci Riveli parole nuove come dono:
O Dio vieni a Salvarmi,
Signore, vieni presto in mio aiuto,
recita il salmo 69.
Ci troviamo in ascolto di una coscienza non del tutto incondizionata, dell’autoanalisi, dell’esame di coscienza, dove si coglie il me e non ancora l’io; una coscienza implicita, spontanea, permanente sfondo della nostra vita consapevole di contatto con la realtà, sia interna che esterna. E’ un po confusa e indistinta; poi abbiamo una coscienza esplicita, la consapevolezza del soggetto di essere appunto soggetto che sta pensando, che sta operando e, radicalmente, che sta esistendo. È l’io che si coglie come principio di pensiero e di operatività, ossia della complessa attività cognitiva, volitiva e operativa. Questo sentimento immediato si formula con la parola che, in tutte le lingue, è così breve e così pregnante di ricchezza interiore:
io. Solo l’essere umano può dire: io
Questa autocoscienza è il centro unificante di tutti gli orientamenti, atteggiamenti, e comportamenti che il soggetto ha compiuto e che diventano, grazie a questo centro, esperienza, cioè unificazione del sentito.
Questa autocoscienza non riguarda solo la percezione dell’io come centro, ma anche dell’io come totalità, cioè come includente ciò che è corporeo e ciò che trascende la corporeità. Grazie all’autocoscienza, il mio corpo e tutto ciò che lo supera percepiscono un senso di appartenenza ad una totalità. Questo sentimento metafisico dell’uni-totalità è il più profondo. È una testimonianza radicale del profondo dell’essere dell’uomo.
Qui, cioè si intravede la spiritualità dell’uomo, e la decisione di aderire o aver fede in un Dio che salva, sana, guarisce, consola, e indica la strada.
Ci sono quindi concezioni più ampie e fondanti il pensiero a cui noi guardiamo tuttavia: pensiamo che la persona umana è l’UNITÀ SOSTANZIALE, uno SPIRITO INCARNATO (vd. Mounier ed il personalismo, 1930-1952), e ci aiuta a rispondere alle domande, chi sono, da dove vengo, dove vado.
Dal punto di vista cristiano, scrutiamo il nostro cuore e ci vogliamo conoscere, in un cammino sempre aperto, per scoprire sempre un senso che magari come verità è già presente, o che scegliamo come verità della nostra vita vivendo in modo creativo e libero: siamo liberi di scegliere un bene che sia integrale, intendendo con questo che il bene della persona va intesa come totalità di tutte le parti (biologica, psichica, sociale, spirituale), ed in tutte le sue relazioni, con le cose, con se stessi, con gli altri e con Dio.
fig. 2
Guardando lo schema della fig. 2 , tratto da Palumbieri (1999) diciamo che la persona è un’unicità indissaldabile, un “in-sé”, un “per-sé”, un “per-altri” che sono aspetti essenziali ed esistenziali, e che si possono distinguere nella loro unicità solo nel momento dell’analisi.
Con
▪ IN-SÉ: si indica la dimensione della fisicità dell’essere umano, corporeità, io sessuato, io vivente;
▪ PER-SÉ: la dimensione spirituale dell’essere umano, ossia la trans-fisicità, la trascendenza, l’apertura a partire da sé, che include l’aspetto intellettuale, morale e religioso dell’essere umano;
▪ PER-ALTRI: la dimensione relazionale (interpersonale, sociale), l’essere con gli altri, essere per gli altri, l’essere-in comunione con gli altri
Quindi abbiamo una dimensione corporea, l’esserci della persona, come anche l’anima, la psiche, lo spirito, l’interiorità, la vita che il vivente-uomo sente pulsare in sé che si presenta come
movimento che sorge dall’interno e che ha una finalità propria, autogena,
dimostra che il vivente è in costante divenire, in un continuo processo di sviluppo, in un continuo cambiamento. È orientamento al bene del vivente. E’ come se ci fosse un principio interiore dinamizzante, che con Aristotele e S.Tommaso chiamiamo Anima.
L’uomo in sintesi è manifestazione di autocoscienza, conoscenza dei significati, fantasia creatrice, volontà decisionale, amore ricreante, mobilità infinita, aperto sempre.
La dimensione fisica della persona umana, rappresentata dalla corporeità e dalla vita, non chiude la persona in sé, ma la trascende in apertura orizzontale e verticale, in lunghezza e larghezza.
Poi ci sono i valori, ma anche la libertà, così come la religiosità.
Per concludere, ma anche per rilanciare, e darci appuntamento al prossimo articolo che possa parlare delle “psicoterapie integrate o integrative contemporanee”, che tengono conto dei vari aspetti delle funzioni dell’individuo psicosomatico, vorremmo prendere spunto da qualche passaggio dal libro Per donarsi (Guzzi, 2007):
“nel dissolversi dei nostri pensieri durante il lavoro dell’ascolto e dell’aiuto nell’autoconoscimento, impariamo a non donare loro forza, a non farli subito nostri, … decidiamo di non afferrarci a niente,…e impariamo a gustare il senso di profonda libertà e di pace che questo lasciar fluire espande dentro di noi…proviamo a percepire l’onda emotiva della vita (pag, 37).
Di cosa abbiamo paura, quali dubbi ci assalgono se lasciamo le resistenze, e il controllo, ci vogliamo separare dall’onda della vita?
Osserviamo ogni cosa con calma, e poi lasciamo andare. Più ci rilasceremo in questo modo, suggerisce Guzzi, più si dilaterà in noi uno spazio fluido di maggiore quiete.
Questa quiete non è fine a se stessa, ma vuole farci entrare in contatto più profondamente con una sussistenza di “luce sorgiva del profondo, uno spazio arioso, una sorta di infinità aperta, una potenzialità inedita di vita e di verità, che pulsa in noi e preme per esprimersi, per liberarci di tutti i nostri impacci interiori, e per fiorire come nostro vero io, come la nostra nuova umanità” (pag. 53)…è proprio nell’istante del riconoscimento di qualche forma specifica della mia alienazione che brilla in me una nuova scintilla della (mia) vera vita. Pian piano “comprendiamo così … fisicamente, che in noi opera davvero dell’altro” (id), oltre gli schemi mentali consueti, e le pretese dell’ego:
c’è da fidarsi!, di questa luce così personale che vuole orientare proprio me!,
la Luce vera in cui credo, “ciò che la tradizione cristiana chiama con esultanza il Dio con me, dentro di me, il Dio che mi salva, Yehoshua, JHWH salva: Colui che è mi salva, Gesù il mio Salvatore, vero Dio e Uomo vero (id)”.
Bibliografia
Browning S., Cooper T., (2007), Il pensiero religioso e le psicologie moderne, EDB.
Cencini, A., Manenti, A., (2015), psicologia e teologia, EDB.
Guzzi, M. (2004), Darsi pace, collana Crocevia, Ed. Paoline.
Guzzi, M. (2005), La Nuova Umanità, collana Crocevia, Ed. Paoline
Guzzi, M. (2007), Per donarsi, collana Crocevia, Ed. Paoline.
Hayes,. S. et al. (2013), ACT. Teoria e pratica dell’Acceptance and Commitment Therapy, Raffaello Cortina.
Mounier, E., (1952), Il personalismo, Garzanti, Milano.
Palumbieri, S., (1999), L’uomo, questa meraviglia. Antropologia filosofica I. Trattato sulla costituzione antropologica, Città del Vaticano, Urbaniana University Press 1999.
Grazie davvero, caro Michele, credo che tu stia svolgendo un lavoro immenso e necessario, mettendo a confronto metodi diversi che pure hanno molto in comune, e al contempo ponendo l’attenzione sulle fedi implicite che ogni percorso di cura/guarigione/liberazione porta sempre con sé. Noi, in DP, tendiamo ad esplicitare, specialmente a partire dalla seconda annualità, la fonte cristologica di tutto il nostro cammino. Un abbraccio. Marco
Ogni volta che
Non ho aperto gli occhi
S’è rabbuiato il mondo
Ho chiuso Le finestre
sul giorno
Caro Michele,
l’aspetto per me interessante dell’articolo, essendo io impegnato nel modello psicospirituale, è che viene distinta la struttura psichica cognitiva dai valori della persona. Molto spesso infatti si tende ad identificare la persona con la sua struttura psichica in quanto tutto viene comunque manifestato tramite la psiche. Molto facile cadere quindi nell’errore di identificare la psiche come il centro del nostro essere quando invece essa è solo lo strumento privilegiato con la quale la persona può manifestarsi nel mondo. Questo aspetto diventa di grande rilevanza nella conduzione della psicoterapia. Fa una grande differenza infatti se il terapeuta, nel favorire la consapevolezza, ovvero la conoscenza dei collegamenti che esistono tra pensieri, emozioni, comportamenti, orienta la persona anche alla scoperta dei propri bisogni autentici.
Un caro saluto.
Enrico Loria
Caro Marco G.,
a volte ho l’impressione che gli studiosi e gli psicoterapeuti, accademici o clinici, abbiano compiuto studi sempre più minuziosi su ciò che poi dovrebbe essere un ausilio a far stare meglio l’umanità, ma che poi se questi ausili li si analizza al microscopio ci si può accorgere che non sono metodi o strategie così nè tanto fruibili, nè tanto comprensibili ad una vasta moltitudine, nè così rilevanti se paragonati agli sforzi e alle apparenti complesse visioni di sviluppo innovativo che vorrebbero offrire.
Tali estremizzazioni e parcellizzazioni operative le vediamo anche in altri campi, come quello tecnologico, medico e addirittura teologico per esempio. Come se ci fosse un appiattimento su uno scientismo positivista, redditizio addirittura, che toglie il respiro, la libertà e la creatività all’uomo, che infatti sappiamo sfruttare il 20% del suo cervello.
Mentre ci interessa selezionare e rendere operativo un metodo che sia efficiente e poi efficace, trasversale ad altri campi del sapere, come un apprendere un metodo, e della immaginazione su come poter rendere migliore il mondo e le interazioni umane.
Insomma, non confondere i fini con i mezzi.
Infatti l’uomo oggi mi pare soffre molto perché niente sembra occuparsi di lui, che viene ridotto a mezzo, quanto di ciò che strumentalmente può offrire, come se fossimo tutti assetati di soddisfare compulsivamente nello sfruttamento certe mancanze, di senso, di bene, di amore, come se fossimo tutti tossico-dipendenti e imprigionati in circuiti di un piacere effimero e mai realizzante l’uomo in modo integrale.
Infatti Marco M., il punto è alzare lo sguardo, non farsi prendere o rapire dalle false illusioni, quando poi la luce sappiamo che è connaturata all’essere.
Caro Enrico, si è così, è da quando apriamo gli occhi al mondo che veniamo confusi, e siamo persi e gettati nel mondo quasi a fare numero. Vogliamo riconoscerci in ciò che per ognuno può essere il suo ruolo insostituibile, in ogni luogo del vivere ordinario.