La civiltà occidentale sta attraversando un vero e proprio terremoto politico negli ultimi anni: la vittoria di Trump in America, la Brexit, le rivendicazioni identitarie della Catalogna, il successo dei partiti anti-sistema. Dopo più di 60 anni di apparente integrazione globale, concetti come globalizzazione, integrazione europea, multiculturalità, pur nella loro evidente diversità, sembra abbiano perduto molto consenso tra i popoli occidentali.
Potremmo arrivare a sostenere che è l’intera mentalità progressista occidentale ad entrare in crisi nell’ultimo decennio. A seguito della crisi del 2008 infatti la narrazione liberal di un cosmopolitismo trionfante e benefico e di una economia finanziaria democratica e allegra, crolla sotto i colpi delle contraddizioni economiche e sociali che invadono le metropoli europee e nord-americane. Dall’elogio delle città multietniche si incomincia a notare che le nostre città sono diventate non-città, ossia agglomerati urbani scissi in ghetti di disuguaglianza, indifferenza e solitudine. Dall’elogio della diversità culturale si incomincia a notare che la globalizzazione ha svuotato le culture, ha ridotto i popoli a fattori produttivi, ha sradicato le identità sotto l’unica e inflessibile identità del mercato. Dal mito della crescita e della prosperità, si incomincia a dire che il neoliberismo ha sommerso il pianeta di rifiuti e ha condotto l’economia al collasso della disuguaglianza e della stagnazione.
In altre parole, la retorica della globalizzazione, della morale laica, dei diritti civili, che sul piano economico-culturale proponeva un nichilismo tecnico-mercantile sovranazionale e sul piano etico-politico imponeva il rispetto di un severo codice di politicamente corretto, fa emergere con violenza apocalittica le insite contraddizioni che avevano animato la stessa crescita economica dei decenni precedenti. A quel punto, la percezione che i popoli hanno dell’intero governo del mondo subisce un cambiamento radicale.
In tale contesto, l’Europa sembra solamente anticipare delle tendenze globali. Come la “terra desolata” di eliotiana memoria, il nostro continente sembra oramai stanco di se stesso, attorcigliato tra strutture tecnocratiche di governo e strutture nichilistiche di cultura, attanagliato insomma tra i diktat della Commissione europea e la chiacchiera mondana delle città metropolitane. Stanchi del nostro passato, siamo divenuti incapaci di immaginare un futuro. Stanchi delle nostre radici, siamo diventati incapaci di fiorire.
Un esempio tra i tanti di tale annebbiamento identitario è il rapporto che il popolo europeo ha con il proprio passato. Da una parte infatti viviamo come in un perenne e mal elaborato senso di colpa secondo il quale tutti i mali dell’umanità sarebbero più o meno riconducibili a una colpa originaria dell’Europa; dall’altra i governi europei continuano, magari in altri modi, a perpetuare comportamenti colonialistici in giro per il mondo. Come ogni compensazione psichica, infatti, invece di analizzare la propria colpa, ripulire il proprio passato e proseguire la propria storia, si preferisce vivere in un’immobilizzante colpevolizzazione perenne, per cui dato che non possiamo più essere i migliori al mondo, scegliamo di presentarci come i peggiori al mondo, i più cattivi, continuando senza accorgercene lo stesso senso di eurocentrismo che poi tanto critichiamo. Ci dimentichiamo quando ci fa comodo della nostra identità, e la raffiguriamo solo nelle sue deviazioni oscure.
Perché sembra assurdo dire l’ovvio, ma oggi è rivoluzionario ricordare la grandezza incredibile dell’Europa, e del ruolo storico di civilizzazione, di progresso e di umanizzazione che ha ricoperto per secoli per la cultura del mondo. Non dobbiamo cioè dimenticarci che la maggioranza degli avanzamenti in materia di diritti, cultura, arte, scienza, lo stesso concetto di progresso per come noi lo intendiamo, le stesse categorie di pensiero con cui ora tutti i popoli ragionano, lo stesso concetto di popolo e di nazione costituzionale, la stessa fame di giustizia con cui poi critichiamo il nostro stesso passato, sono nati direttamente nel grembo della civiltà europea, sono cioè emanazione di quella identità europea che poi tanto critichiamo. È in fondo una comprovata strategia difensiva quella che mettiamo in atto al livello di civiltà: autogiudicarsi per non assumersi la responsabilità storica del proprio passato e del proprio futuro.
E allora, potremmo chiederci: come è possibile che l’Europa è in crisi, che l’identità europea è così fragile, che gli occidentali sono così stanchi di essere occidentali, che la fede è scarsa e la volontà è rara? Nell’apice del successo, il sogno europeo si sgretola da sotto i nostri piedi fino a farci vedere l’abisso: il pozzo nero che pensavamo di aver sconfitto a forza della nostra ragione scientifica, dei nostri diritti laici, della nostra morale civica, dei nostri fact-checking accurati, ci sommerge nuovamente di un’angoscia primaria irrisolta, di un senso di vuoto e di pesantezza che sconvolge l’animo umano come le civiltà politiche.
È come se l’immensa presunzione moderna, che ha guidato anche il processo di integrazione europea, di poter guidare la storia con la sola tecnica e ragione scientifica sia stata fermata proprio dagli insuccessi storici di questa tecnica e di questa ragione scientifica. Perché se fino agli anni ‘80 il successo economico aveva controbilanciato il nichilismo consumistico made in Usa, negli ultimi 35 anni lo scoppio delle disuguaglianze, la crisi del modello fordista-keynesiano, la finanziarizzazione dell’economia hanno fatto dissolvere il consenso popolare nel grande sogno di matrice europeista-moderno.
Le contraddizioni che esplodono ora hanno cioè una radice molto più profonda delle ragioni migratorie o economiche con cui gli opinionisti hanno cercato di spiegare la vittoria di Trump o il trionfo del M5s in Italia. È un’intera storia secolare che entra in crisi. È l’affidamento cieco in una tecnica spietata e fredda che entra in crisi. Si instilla nell’umano la consapevolezza che gli avanzamenti tecnici hanno condotto sì l’umanità agli apici del suo potere, ma l’hanno anche posta dinanzi alla potenzialità dell’orrore: da Hiroshima all’utero in affitto, la mentalità vittoriana, laica, moderna, convinta di sé e della sua ragione, arriva a turbare la coscienza del mondo e a destarsi dall’illusione di un’emancipazione attraverso la sola tecnica. Una volta che ci ha emancipati dalla malattia, dall’ignoranza, dal buio della notte e dal freddo dell’inverno, dall’assolutismo, dalle religioni opprimenti, la modernità arriva ad emancipare l’uomo da se stesso, inaugurando un’infausta stagione di calpestamento della dignità dell’uomo.
È per questo anche alquanto naif credere in un potere taumaturgico delle nuove tecnologie, con cui a volte anche il M5s cerca di interpretare la storia recente. I popoli europei sono oggi molto critici verso qualunque struttura tecnocratica, percepita come fredda, spietata, non democratica, e in fondo schierata a favore di interessi oligarchici. Possiamo dire che hanno torto? Direi proprio di no. Potremmo anzi dire che l’origine della crisi culturale europea sta proprio nell’incapacità del pensiero laico di integrare gli avanzamenti positivi della tecnica con il nostro millenario bagaglio spirituale.
Come possiamo uscire da questo gorgo di nulla? Da questo buco nero? Credo che avremo bisogno di molta più umiltà, innanzitutto. Molta umiltà e franchezza aiutano a interrompere atteggiamenti sbagliati, a fermare il passo prima del burrone. Anche per questo abbiamo deciso di organizzare un Festival sull’Europa il 10 e l’11 maggio, con Parole Guerriere, il Centro di Eccellenza Jean Monnet e l’Indispensabile. Abbiamo scelto di soffermarci inizialmente sulle tematiche economiche, in quanto oggi l’economia è il linguaggio universale e come tale possiamo utilizzarla per interpretare parte delle problematiche europee. Ci saranno 4 seminari con 22 relatori. 4 seminari per 4 concetti: moneta, lavoro, transizione energetica, cultura.
Uno dei tratti più allarmanti di questo “tempo di privazione”, come diceva Hölderlin, è infatti la pesante mancanza di cultura e di pensiero pensante, in quanto di pensiero non-pensante ma demente ne abbiamo a tonnellate. Ecco perché quindi ritornare a impostare un ragionamento ambizioso sul destino dell’Europa e del mondo è una necessità storica, è quel primo passo di umiltà e di franchezza verso noi stessi che dobbiamo alla storia, per non lascare i nostri discendenti del tutto persi nel deserto. Perché basta una mappa per trasformare lo smarrimento in un viaggio, e la mappa ce la può dare solo il pensiero, nuove categorie mentali, nuovi punti fissi, nuove coordinate. Perché se c’è una speranza in questa crisi è che molte delle illusioni a cui abbiamo creduto in questi secoli possano crollare con rinnovata leggerezza, e possiamo ricominciare a immaginare da zero un mondo nuovo, un’Europa nuova, che sia conscia di ciò che è e possa quindi esprimere nella fratellanza dei popoli il proprio destino di gloria, di umanità e di gioia.
Il programma dettagliato del festival può essere letto a questo link.
Grazie per questo intervento, Gabriele ! Incontra molti degli interrogativi sul futuro che in questo periodo affiorano con crescente preoccupazione. Condivido ogni riflessione. Ottima l’idea del festival .
Finalmente pensieri e riflessioni nuove, stimolanti e colme di speranza!
Divulgate, divulghiamo queste idee, che dobbiamo cambiare il mondo!
Grazie!
Caro Gabriele,
ho apprezzato molto il tuo post, che trovo equilibrato e ponderato. Giustamente i malanni dell’Europa attuale, sotto gli occhi di tutti, non devono andare disgiunti dalla consapevolezza che “oggi è rivoluzionario ricordare la grandezza incredibile dell’Europa, e del ruolo storico di civilizzazione, di progresso e di umanizzazione che ha ricoperto per secoli per la cultura del mondo….”
Apprezzo in particolare l’evidenza che la tua analisi si svincola assai felicemente da certe riduzioni “sovranistiche” decisamente ipersemplificate, dai tweet di celebrati uomini politici che stigmatizzano i “burocrati di Bruxelles” o (sic!) la “unione sovietica europea”. No, per fortuna qui c’è pensiero pensante – ed il pensiero pensante, quand’anche non si fosse sempre d’accordo nel merito specifico, è pur sempre una autentica benedizione.
Un saluto!
Analisi più che condivisibile. Manca però una efficace sintesi: quale progetto, quale futuro per l’Europa di oggi che sia almeno in parte un segno della Nuova Umanità nascente?
Il progetto europeo, attualmente, può essere visto in doppia chiave: vedendone i lati positivi è possibile rinvenire molti segni di una nuova umanità nascente, in particolare nella sua storia, nelle sue ragioni di esistere, perfino nei tanto vituperati “trattati”, oggi chiaramente insufficienti.
L’altra chiave invece sono i limiti di cui pure si parla molto ma di cui non è sempre chiara l’origine: perchè l’Europa è ingessata e sembra incapace di prendere decisioni? I limiti sono molteplici: in parte le competenze limitate che la caratterizzano in parte la logica intergovernativa che a 28 membri (27 con la Brexit) mostra ormai tutti i suoi limiti.
Altro problema drammatico è il deficit democratico che può essere recuperato solo con un sussulto di uscita da se stessi da parte dei cittadini europei: questo si sarebbe davvero rivoluzionario. Dobbiamo svegliarci e riprenderci quella Europa che i fondatori avevano sognato, che in parte è stata avviata con i trattati, ma che poi è rimasta incompiuta a causa fondamentalmente di una classe politica inetta, mediocre, senza più sogni.
Gentile Gabriele,
sono d’accordo con il senso generale del suo post, quando esso si riferisce alla speranza di vedere una politica europea mossa meno da criteri strettamente economici in favore di criteri più umanistici. Tuttavia, l’analisi che lei presenta mi sembra intrisa di una visione alquanto pessimistica dove sono messi in luce soltanto gli aspetti meno luminosi di questo presente, senza mai mettere in luce anche gli aspetti positivi dell’Unione Europea o della cultura europea attuale.
Il suo post è molto ricco. Pertanto, mi soffermo su alcune frasi che hanno particolarmente catturato la mia attenzione e che non riesco a comprendere fino in fondo: « In altre parole, la retorica della globalizzazione, della morale laica, dei diritti civili, che sul piano economico-culturale proponeva un nichilismo tecnico-mercantile sovranazionale e sul piano etico-politico imponeva il rispetto di un severo codice di politicamente corretto, fa emergere con violenza apocalittica le insite contraddizioni che avevano animato la stessa crescita economica dei decenni precedenti ». Non capisco a cosa si riferisca concretamente con «retorica della globalizzazione», «retorica della morale laica», «retorica dei diritti civili», la quale «sul piano economico-culturale proponeva un nichilismo tecnico-mercantile sovranazionale».
Se comprendo bene, per lei la politica «progressista» dell’Unione Europea sarebbe alla base di un nichilismo tecnico-mercantile sovranazionale. Personalmente non sono d’accordo sul fatto che dietro questi ideali ci sia del nichilismo. Dunque cosa bisognerebbe auspicare ? Cosa significa concretamente essere contro la retorica della morale laica ? Per caso auspicare una politica etica vicina a quella dell’Ungheria e della Polonia ? Essere contro la retorica dei diritti civili significa voler abolire il divorzio, eliminare le unioni civili, etc. ?
In un passo ulteriore lei scrive : « Potremmo anzi dire che l’origine della crisi culturale europea sta proprio nell’incapacità del pensiero laico di integrare gli avanzamenti positivi della tecnica con il nostro millenario bagaglio spirituale ». Immagino che con bagaglio spirituale intenda Cristianesimo.
La ringrazio per aver accolto queste mie osservazioni tra i commenti.
Grazie, Gabriele, non possiamo ragionare di Italia al di fuori del suo ruolo in Europa.
Credo sia fondamentale che, mentre denunciamo i suoi errori e delitti, noi gridiamo dai tetti ad alta voce lo splendore di un’Europa che è la culla della dignità della persona umana, della libertà e della democrazia, e che oggi è ancora essenziale per il loro mantenimento.
Riflettere sull’Europa non può prescindere dalla rilettura della sua storia per purificarne la memoria, spezzando le catene, non delle idee, ma delle ideologie della modernità che l’hanno imprigionata.
Imprigionata e, svuotata di afflato spirituale, fatta precipitare nell’arido razionalismo laicista che ha generato il nihilismo dilagante, ed allontanato le persone perfino dall’impegno politico.
Anche perchè in Europa i diritti sociali sono stati sacrificati ai diritti civili individualistici ed egoici.
Per purificare quella memoria credo che i praticanti Darsipace debbano purificare prima la propria, debbano levarsi gli occhiali dai diversi colori con cui hanno sempre guardato la realtà, e debbano fare i conti con la parabola della pagliuzza e della trave di evangelica memoria.
Come per la meditazione e la preghiera, credo che anche prima di cominciare a riflettere, debbano porsi nello stato giusto.
La chiave di rilettura della storia d’Europa non può essere né quella della Ragion di Stato, né quella della “post-verità”, ma deve essere quella della “Caritas in veritate”: in coerenza tra metodo e fini.
Mantenendo la metafora proposta nel post “La politica prima di Darsipace?”, si potrebbe pensare che il contenitore in cui tutti desideriamo appassionatamente stare sia come un grande giardino che tutti concordemente vogliamo coltivare delicatamente a mano, senza pesticidi, per ottenere prodotti salubri e saporiti, salvaguardando noi e il Creato.
In quel giardino ci sono tante aiuole, contenitori specifici, con tante essenze diverse: rose e pini, come dice l’amico Castellani, e poi tulipani e glicini, frumento e mele.
Sappiamo come è andata tra coltivatori stanziali e pastori nomadi, ed è la storia dell’io bellico.
Enorme ed entusiasmante è il lavoro che ci attende, di capovolgimento verso l’io in conversione, necessario perchè possiamo vedere con sguardo limpido la verità delle radici autentiche dell’Europa e le sue vicende travagliate nel bene e nel male.
Bene il Festival, ma con la dovuta prudenza davanti alla tentazione di trovare subito le ricette.
Buon lavoro , GianCarlo
Caro Gabry, questa analisi mi sembra la base di un possibile manifesto per una nuova Europa, c’è tanto lavoro, certo, ma le idee basilari ci sono, e lo sgretolamento di questa UE, radicata nel fondamentalismo neoliberista, procede ineluttabile. Purtroppo ciò che il globalismo tecno-mercantile sta procreando è una fortissima reazione nazionalistica: sappiamo che la rigidità della maschera produce sempre la crescente oscurità dell’ombra….. ma resta il nostro compito di elaborare le sintesi inedite che non restino imbrigliate nell’alternativa tra i gemelli opposti, che in realtà si alimentano a vicenda. Il prossimo convegno di maggio mi sembra un ottimo contributo in questa direzione. Grazie, un abbraccio, papà
Buongiorno Gabriele ,
complimenti e Te e a Tutti i giovani ce hanno collaborato e contribuito alla realizzazione di questa iniziativa !
Permettimi: Il festival l’avrei dedicato però al “bel paese” alla nostra cara Italia più che all’Europa.
Un focus sulla situazione del popolo italiano ….. (provocazione per i relatori invitati ) e voi giovani siete il futuro dell’Italia più che dell’Europa ….quindi il manifesto potrebbe essere per una NUOVA ITALIA;
all’Europa ci pensano già in molti…..forse in troppi ….
Grazie !
Lodovica
“…ciò che il globalismo tecno-mercantile sta procreando è una fortissima reazione nazionalistica: sappiamo che la rigidità della maschera produce sempre la crescente oscurità dell’ombra….. ma resta il nostro compito di elaborare le sintesi inedite che non restino imbrigliate nell’alternativa tra i gemelli opposti, che in realtà si alimentano a vicenda.”
Mi piace molto questo richiamo a delle sintesi inedite, questa volontà di non appiattirsi né sugli scomposti rigurgitanti nazionalismi né nel triste tecnomercantilismo dominante.
Questo caro Marco mi sembra un obiettivo esaltante, totalmente condivisibile,
forse l’unica cosa veramente “nuova” che ci attende.
Grazie!
Ringrazio il sig. Salvoldi per le sue osservazioni e le gentili ammonizioni verso quel tipo di lettura della realtà che offre nutrimento ai sovranisti e ai populisti. Mi riferisco a quel messaggio fondato sull’idea che i problemi della società attuale derivino tutti dalle politiche europee. Faccio notare che non sempre i problemi sociali e politici che noi avvertiamo qui in Italia sono condivisi anche dalla maggioranza degli altri paesi europei. E laddove vi è una coincidenza, si tratta sempre di paesi che hanno dei tratti in comune, o per meglio dire delle tare in comune, come ad esempio la scarsa adesione alle regole di convivenza civile, ingente evasione fiscale, lo sfruttamento in nero, criminalità organizzata e la corruzione (Italia, Spagna e Grecia, se mi limito all’area euro). Questi vizi causano non un malessere, ma il malessere nel nostro Paese.
Mi dispiace ripetere lo stesso concetto che già ebbi modo di esprimere nel commento al post “La politica prima di Darsipace?”, ma ritengo utile ritornavi. Lo scrive anche in maniere chiarissima il sig. Salvoldi «Per purificare quella memoria credo che i praticanti Darsipace debbano purificare prima la propria, debbano levarsi gli occhiali dai diversi colori con cui hanno sempre guardato la realtà, e debbano fare i conti con la parabola della pagliuzza e della trave di evangelica memoria».
Rifacendomi ai preziosi insegnamenti del prof. Guzzi insisterei anche in questo caso sull’autoconoscimento, cioè la condizione fondamentale per affrontare lo stare al mondo e quindi qualsiasi azione. In questo caso l’autoconoscimento (o presa di coscienza individuale) non si riferisce tanto (e soltanto) all’individuo umano quanto all’individuo come parte dello Stato. Prima cioè di criticare e di mettere in discussione il progetto europeo occorre che noi, in quanto Stato (Italia), ci sottoponiamo a un autoconoscimento e direi anche a una sana autocritica, che non mi sembra di aver sentito negli interventi del prof. Guzzi tenuti alla Camera.
Carissimi,
vi ringrazio per i commenti stimolanti che avete dedicato al mio post.
Come premessa, ci tengo a precisare una distinzione che reputo molto importante quando si parla di queste tematiche. Euro, Unione Europea ed Europa sono tre concetti diversi. Quando critichiamo l’attuale assetto ordoliberale dei trattati europei, la distruzione di gran parte della potenzialità economica del nostro paese, e la fine dell’applicazione della costituzione formale dell’Italia repubblicana, come ammette con orgoglio il grande “europeista” Guido Carli, non critichiamo l’Europa, con la sua storia di diritti e di raggiungimenti sociali. Critichiamo solamente un’organizzazione sovranazionale chiamata Unione Europea, che non è l’Europa, che invece esisteva prima ed esisterà anche quando questo progetto finirà.
Che voglio dire con questo? Che proprio per gridare dai tetti con credibilità la bellezza dell’Europa, come diceva Nenni quando parlava di questioni europee, dobbiamo uscire dal “giardino d’infanzia delle nostre illusioni”, dobbiamo cioè “prendere le nostre decisioni senza evadere dal reale all’irreale”. Da economista non posso cioè non vedere cosa l’Unione Europea ha prodotto nei paesi membri, e fluttuare nell’ideale di qualsivoglia “sogno europeo”, che senza una spietata e cruda analisi di ciò che OGGI è l’Euro e l’Ue, rischia di derubricarsi da solo a mera illusione.
Oggi, l’Ue è lo spazio più avanzato del processo di liberalizzazione dell’economia, svuotamento dei parlamenti nazionali, e privazioni di strumenti di direzione economica per i governi, che significa ad esempio che i mercati disciplinano i governi e non i governi che disciplinano i mercati. Questo ormai lo dice anche un economista mainstream come Rawi Abdelal. Per portare avanti quindi il vero sogno europeo, dobbiamo forse destarci da una certa narrazione europeista molto naif, e quindi dannosa per l’Europa stessa.
Trovare soluzioni di “cambiamento” di tale assetto non è facile, solo grandi politici lo sapranno fare. Come narrazione culturale, noi possiamo però distinguere questi tre concetti, e senza banalizzazioni estremistiche, sovranisti di qua ed euroinomani di là, raccontare a tutti quello che l’Unione Europea oggi è: uno spazio non democratico, guidato da interessi nazionali germanocentrici, come dice Mario Monti, che ha sostituito la politica con una struttura tecnocratica senza controlli e responsabilità politica, ma che persegue un chiaro disegno istituzionale. Mentre dico questo, mi sento totalmente europeista. Anzi, mi sento più vicino ai valori, alla storia, allo spirito del nostro continente, se denuncio tutto questo, piuttosto che se lo giustificassi o gli dessi legittimità politica.
Detto questo, so che questo è un tema sensibile, e ognuno ha idee diverse. Possiamo continuare tale dibattito anche in sede del nostro evento di maggio.
Un caro saluto
Gabriele