Vi è mai capitato di sentirvi rifiutati o addirittura disprezzati, magari proprio dalle persone da cui ricercate affetto e approvazione?
Vi siete mai sentiti umiliati per questo rifiuto? Avete fatto l’esperienza spiacevole dell’impotenza di fronte a uno schiacciante senso di inadeguatezza?
È esattamente ciò che accade a Gregor Samsa, il protagonista del più celebre (e geniale) romanzo di Kafka, La Metamorfosi (1912). Qui la sensazione di rifiuto e di umiliazione si fa concreta, reale: è il disgusto che il protagonista suscita da parte dei genitori e della sorellina essendosi trasformato, all’improvviso, in una specie di scarafaggio.29
È una situazione spiacevole, certo, ma credo che sia un’esperienza umana molto comune, anche se magari si cerca di rimuoverla o di nasconderla. Vediamo se la storia di Gregor Samsa ci parla anche di noi e ci dice qualcosa di utile.
«Una mattina Gregor Samsa, svegliandosi da sogni inquieti, si trovò mutato in un insetto mostruoso.»
Così inizia il romanzo, senza alcuna spiegazione, e il protagonista non si chiede mai il perché di questo evento assurdo e terrificante. Ma chi è Gregor Samsa? E perché si trova improvvisamente mutato in un “insetto orribile”?
Gregor è il figlio maggiore di una famiglia povera, fa il commesso viaggiatore e lavora duramente per mantenere, da solo, tutti quanti. È scapolo, ovviamente, e vive solo per la famiglia: si è messo in testa addirittura di riscattare con i suoi scarsi guadagni il padre, pagando tutti i debiti che quest’ultimo ha contratto in un’attività commerciale, e di riuscire a pagare il conservatorio alla sorellina, aspirante violinista.
Insomma, Gregor vive una vita squallida e umiliante più che umile, e non vive per sé ma per servire con devozione e obbedienza la famiglia. Vive per aiutare e per portare su di sé i pesi degli altri (il padre è troppo vecchio per lavorare, la sorellina troppo giovane e la madre soffre di asma…), ma invece di ricevere calore e gratitudine viene trattato con sufficienza, e quasi con indifferenza.
Gregor Samsa forza sé stesso e nega sé stesso a tal punto che, quando si accorge di essere diventato un insetto orribile, la sua prima e più profonda preoccupazione è che non potrà andare al lavoro, e questo potrebbe ripercuotersi negativamente sulla sua famiglia. Non si chiede che cosa gli sia successo e non si concede nemmeno di provare sgomento per la sua terribile trasformazione, ma cerca di mantenere la calma e si preoccupa di come scusarsi con il suo principale, e di come riuscire, perso il primo treno, a prendere almeno il secondo.
Ognuno, credo, possa riconoscere una parte di sé che tende a farsi carico dei pesi degli altri, a cercare sempre di “salvarli” trascurando sé stesso, mettendosi da parte.
Ma perché Gregor si trova trasformato, all’improvviso, in uno scarafaggio?
Bisogna partire da qui, dal fatto che il romanzo di Kafka rappresenta una dinamica psicologica molto comune e semplice, anche se altrettanto profonda e radicata: è quella dinamica per cui ognuno di noi cerca di ricevere amore e approvazione divenendo servizievole e accondiscendente, sempre pronto ad aiutare e a compiacere gli altri con la propria bontà, sempre pronto a forzarsi per fare più del dovuto, sempre pronto a scusare gli altri e a giustificarli incolpando invece se stesso.
Nel lavoro interiore, osservando con cura le proprie tendenze e le emozioni retrostanti, possiamo renderci facilmente conto che questo atteggiamento (almeno in parte) è socialmente una maschera e psicologicamente una difesa: vorremmo difenderci dal senso di inadeguatezza e di rifiuto che sentiamo dentro, da quella ferita cocente che ci fa sentire perennemente inadeguati o colpevoli , come se dovessimo cercare di meritarci l’amore e l’accettazione degli altri cercando di compiacerli e aiutarli.
Questo atteggiamento è uno dei tre mascheramenti fondamentali che individuiamo in Darsi Pace come strategie difensive per evitare il dolore dell’abbandono: è l’accondiscendenza, o il falso amore. “Falso” perché, appunto, non è un’autentica espressione di sé, ma è un modo di mascherare il proprio senso di inadeguatezza e la propria paura del rifiuto cercando, al contrario, di compiacere gli altri, facendo degli sforzi enormi per essere “amabili”.
La strategia difensiva, tuttavia, non ci difende affatto, non funziona, ma anzi ci porta proprio a subire ciò da cui volevamo scappare: il rifiuto e l’abbandono. Questa verità la si impara lentamente sulla propria pelle. Questo atteggiamento nasce dal sentimento di essere inadeguati e dalla paura di essere disprezzati per come siamo, ma finisce inevitabilmente per rinforzare proprio quel sentimento e quella paura creando un circolo vizioso.
Infatti, più Gregor Samsa si rende servizievole e accondiscendente, sognando di salvare eroicamente la famiglia, è più viene trattato con indifferenza e quasi con fastidio. Perciò più Gregor cerca di diventare buono e obbediente e più cresce in lui il senso di inadeguatezza e di disgusto di sé. Più Gregor sente che il suo schiavizzarsi per gli altri non è mai abbastanza e più rinforza dentro di sé la convinzione di essere inutile e disprezzabile.
Ecco perché si trasforma in un insetto orribile: questa trasformazione esteriore è soltanto l’oggettivazione di un crescente senso interiore di essere ripugnante come uno scarafaggio.
So che è forse doloroso dirsi queste verità con questa franchezza, ma è solo così riconoscendo serenamente le proprie distorsioni, che possiamo guarirne. Più cerchiamo di rinforzare la maschera del falso amore e più cresce la paura di essere smascherati.
È un avvertimento, questo romanzo: attenzione – sembra dirci Kafka – a cercare di essere buoni e bravi a tutti i costi, perché si rischia di diventare mostruosi di essere ancora di più allontanati.
Dal di sotto della maschera, infatti, cresce e trapela il puzzo sempre più nauseante dello scarafaggio che sentiamo di essere, ma che vorremmo a tutti i costi nascondere.
Il libro di Kafka, con il suo esito ovviamente tragico (ma di una tragicità grottesca, umoristicamente amara), sembra essere una profezia e insieme un monito: attenzione, perché le maschere che ci siamo costruiti si stanno dissolvendo, e i mostri disgustosi che avevamo cresciuto provando paura e risentimento stanno venendo alla luce, si stanno palesando, e siamo noi, nella nostra più scoperta nudità.
Sì, la metamorfosi è un libro grottesco, di quel grottesco assurdo che con la lucida immaginazione sognante mette a nudo in maniera impietosa le aree più nascoste della realtà, al di sotto delle tante finzioni. Ed è infine un romanzo pienamente novecentesco, in quanto se è vero che dal Settecento si era iniziato a criticare la maschera dell’altruismo e dei buoni sentimenti, è fra l’Ottocento e il Novecento che questa maschera va definitivamente in frantumi, lasciando emergere le ombre retrostanti: ricordiamo che questo romanzo è del 1912 e che due anni più tardi l’Europa mostrerà su scala mondiale quali istinti orribili si nascondevano dietro la maschera della Belle Époque.
Oggi, ci troviamo ancora di più nella situazione in cui non possiamo più portare avanti delle contraddizioni ormai insostenibili. L’importante però non è esaltare l’ombra mostruosa, disgustosa o violenta che sia, che emerge in questa crisi dell’ego occidentale. La tentazione sarebbe quella di esaltare la potenza delle zone d’ombra, la loro maggiore verità rispetto alla maschera, come fece ad esempio Baudelaire, per il quale la bellezza si manifestava più spesso nella crudeltà o nel disfacimento di una carogna, o nell’infelicità.
Oggi siamo chiamati invece a curare le nostre zone d’ombra riconoscendole, dal momento che non possiamo più ignorarle. L’emersione dell’ombra è un bene solo a patto che ci si lavori, che venga accolta e integrata in una nuova personalità più integra e luminosa. La crisi della maschera, che lascia emergere l’ombra, gli insetti orribili, è solo la prima fase della metamorfosi , della lunga trasformazione dell’uomo verso la propria (sempre maggiore) integrità. È un processo doloroso e difficile, che richiede la demolizione di tutte le nostre infantili immagini ideali e l’accettazione di un oceano di dolore e di rabbia , ma alla luce dello Spirito, nell’abbraccio di una coscienza più pacificata, tutto questo può, a poco a poco, divenire possibile.
–LA METAMORFOSI:
-È Possibile Trasformare (Il Proprio Fango IN ORO CIOÈ TRASFORMARE)/SE STESSI (L’Amore È Una Forma DI CONOSCENZA)..”LA MIA STESSA MENTE (Si Trova Infatti Sia Dentro Che Fuori” DI SE’)-
Grazie Andrea per queste righe. Le ho lette e rilette e mi ci sono rispecchiata in pieno. Quanto difficile tuttavia il percorso per uscire dalla dimensione descritta !
Bellissimo testo! e ottimo strumento per interpretare la nostra società …. Radio Tre organizzò nel 2015 sette puntate sulle Metamorfosi, e io intervenni nell’ultima, la settima, dal minuto 13 in poi…. troverai molte cose simili…. ciao. Marco http://www.rai.it/dl/portaleRadio/media/ContentItem-744a0946-134a-45d5-b9ce-a9c59049aef7.html
Grazie a te, Anna. Sì, ho scritto questo testo proprio perché sentivo che la lettura del libro di Kafka mi aveva profondamente toccato, mettendo in luce una verità che per quanto dolorosa (per l’ego) può essere l’inizio di un bel cammino di crescita. Il Novecento è stato veramente impietoso, da questo punto di vista, verso tutte le maschere, scagliandosi con una potenza distruttiva e con una durezza contro ogni cosa, e portando la critica verso esiti a volte nihilistici. Ci vuole forza per affrontarlo accettando tutti i giusti smascheramenti e lucidità estrema per discernere i limiti di questa critica e andare oltre. È esattamente come nel nostro percorso di conversione e realizzazione!
Grazie, caro Marco! Pensa che avevo trovato e ascoltato questo tuo intervento ancora prima di leggere il libro. Ovviamente mi ci sono ritrovato. Ci vuole una nuova critica e un nuovo uso di questi testi fondamentali.
Grazie Andrea è la lotta che sto combattendo da tempo, sgominare le maschere radicate da troppo tempo è difficile e doloroso ma la perseveranza e l’abbandono del nostro percorso mi aiuta e leggere le tue parole mi conforta un abbraccio
Grazoe del testo interpretato e fatto calare nella realtà dell’ uomo che non ” sente ” più se stesso se non che in virtù dei bisogni altrui . Triste come triste fu Kafka. VORREI rivolgermi al bambino che è in noi con un ‘ immagine diversa anche dello stesso insetto nella realtà delle scienze naturali , per quanto piccolo ed apparentemente insignificante l insetto collabora alla fecondazione dei fiori, al trasporto del polline, alla vita dei pesci e delle rane, protegge dai patogeni le piante . DUNQUE anche l’ umano e pesante smarrimento che talvolta ci annichilisce può celare nella Grazia di uno Spirito che guarisce, la bellezza della metamorfosi ….E dunque in una visione colma di forza e fede , la trasforma zione da bruchi a farfalle !
Concludo con un secondo commento. Riconoscermi nel dramma Kafkiano mi strazia l’anima, forse alcune sfumature del vivere fraterno ed in genere della vita affettiva andrebbero scoperte e trasmesse in quei momenti cruciali dell infanzia e dell’ adolescenza …ma spesso non accade . Allora mj appare la metamorfosi come un passaggio obbligato per me e per molti , un inevitabile sentirsi sconfitti ed annullati per poi togliersi la vecchia forma costruita innaturalmente e rinascere scoprendosi ” liberi di amare” per – donarsi ….come spesso il cuore insegna ! Donarsi libera-mente .
“vorremmo difenderci dal senso di inadeguatezza e di rifiuto che sentiamo dentro, da quella ferita cocente che ci fa sentire perennemente inadeguati o colpevoli , come se dovessimo cercare di meritarci l’amore e l’accettazione degli altri cercando di compiacerli e aiutarli.”
Molto lucida ed efficace questa descrizione; la sento davvero reale, sulla mia pelle. Nel passato – e in parte minore oggi, in certi dolorosi riverberi – ho sofferto in modo lancinante, preso e perso in questo meccanismo, dal quale non scorgevo alcuna porta di uscita, ma la cercavo. Il superamento di questa condizione, capisco, esige in primo luogo la “fede”: letteralmente, credere che questa liberazione sia possibile, prima di tutto.
Ogni cammino di liberazione consapevole e concreto, che non nasconde le difficoltà ma indica una strada, ogni cammino cioè come Darsi Pace, è una benedizione, in questo senso. Il passo più difficile, ma estremamente liberante, è credere che la liberazione sia possibile. “Dobbiamo decidere di guarire”, dice Marco. Ogni giorno, decidere. Di nuovo.
Dirsi, confessare e confessarsi questo: sì, sono malato, ma posso guarire.
Ecco, l’opera. Anzi, l’Opera.
Grazie.
Parole forti e sintesi perfetta di quello che succede al nostro piccolo ma incallito ego che vuole piacere a tutti i costi senza sapere… a quale prezzo ! Facciamo quasi tenerezza x come ci tiriamo addosso cose terribili per avere solo delle briciole…
Indubbiamente la metamorfosi in ognuno di noi è un sentiero obbligato. E questo rende appena meno doloroso entrare nella sola via d’uscita della conversione del cuore e della mente, con tutto quello che queste parole sottintendono.
Nel percorso ci sono, poi, degli spazi di verde illuminato che la vita non ci nega mai, Darsi Pace ad esempio.
Ve ne sono grata, così possiamo vedere l’aspetto buono dello scarafaggio…
grazie ad Elisabetta, Andrea, Marco… e tutti quelli che condividono l’Opera .
Grazie Andrea per questa interpretazione a cui non avevo pensato. Mi ha colpito il fatto di vedere la stessa immagine che ho scelto per i miei studenti che quest’anno faranno la maturità. Abbiamo affrontato il testo kafkiano ma questa visione così incarnata del nostro percorso, del percorso dell’essere umano mi pare fondamentale da trasmettere. Ho sempre pensato che la trasformazione di Gregor in “Ungeziefer”che non è precisamente uno scarafaggio ma un insetto dipendesse dal rapporto problematico che Kafka aveva col padre che aveva definito “insetto” un suo collaboratore. Dal padre dunque, dal rapporto con quest’uomo che non amava il figlio, che lo faceva sentire un “inetto” nasceva secondo me e secondo le interpretazioni che leggevo quel senso di inadeguatezza e di solitudine che traspare dal racconto delle vicende di Gregor. Ma la tua visione è più profonda, il disgusto che nasce dall’insopportabilità di portare una maschera che deve inesorabilmente esplodere distruggendo la vita di un intera famiglia. Ma è una vita ordinaria e completamnte ego-centrata. Ho sempre pensato che in questo racconto ci fosse un ribaltamento emotivo e sentimentale. Mi pareva che man mano che Gregor prendeva coscienza della sua nuova forma, molto bello il momento in cui scopre il gioco, diventasse più “umano” e proprio al culmine di questo processo si lascaiasse morire in un gesto di estremo altruismo. La sua morte libera la sua famiglia dal peso del mostro. Kakfa conclude il racconto con una gita in cui si parla allegramente del futuro di Grete, Eppure questo senso di leggerezza, questo gioire della morte di Gregor, quest’indifferenza alla sua solitudine mi sembravano così ingiuste. In fondo mi ero affezionata al povero Gregor. ma questa tua interpretazione mi ha indotto a pensare diversamente. Gregor sceglie di morire, è consapevole che la sua vita mostruosa deve andare incontro alla morte, noi dobbiamo scegliere consapevolmente di morire sia come maschere che come ombre. E’ doppia la morte di Gregor, lui muore due volte e forse le ha scelte entrambe. L’insetto orribile è capace di pensieri più profondi del commesso viaggiatore e secondo me in questa morte rivela la sua vera umanità.
Cara Angela, che bello affrontare questo testo al liceo! E’ molto difficile, ma sicuramente può tirare fuori tante emozioni e esperienze vissute.
Ho letto la lettera al padre e capisco a cosa ti riferisci sull’interpretazione dell’immagine dell’insetto. Kafka sicuramente rielabora moltissimo la sua esperienza esistenziale nei suoi romanzi (anche il personaggio “K.” del Processo non potrebbe essere lui stesso – K. come Kafka – proiettato in una realtà immaginaria?) però credo che il personaggio Gregor Samsa e l’uomo reale Franz Kafka non siano del tutto sovrapponibili, e che comunque la Metamorfosi abbia un valore profetico che va ben oltre la biografia dell’autore: arriva a prefigurare un processo di emersione dell’ombra che nel 1912 era appena iniziato!
Per quanto riguarda la morte dell’insetto, che ristabilisce un’apparente serenità nella famiglia, io la vedo così: mi sembra come una di quelle fantasie della nostra parte disperata che pensa che morendo e levandosi dai piedi farà finalmente felici gli altri (da cui si sente odiata) e finirà di soffrire. Mi sembra che questo pensiero sia alla base di molti comportamenti autolesionistici e di tante tendenze suicidarie, specialmente di giovani che non riescono a vivere la metanorfosi positivamente, ma in reltà è sempre un pensiero che nasce da un profondissimo disprezzo di sé e forse inconsciamente da un desiderio di vendetta verso chi ci ha feriti (se mi ammazzerò ti farò finalmente soffrire e ti punirò per tutto il male che mi hai fatto).
Insomma, la morte dell’insetto a me pare solo il fondo di una spirale discendente, di un circolo vizioso di autodistruzione. Il problema è: come vivere la metamorfosi senza autodistruggersi?
Vedo che hai tantissimi spunti di riflessione per le tue lezioni! Auguri!
Andrea