Il fatto è questo, per dirla breve: è che noi non ci rendiamo conto. Tutto qui. Guardo dalla finestra, mi affaccio al balcone: sembra sempre tutto uguale. Le notti d’estate, spesso mi fermo indugiando fuori dalla casa in Abruzzo, nel cui cielo si scorgono miriadi e miriadi di stelle. Lo spettacolo è bellissimo, da mozzare il fiato. Ma, a dire il vero, sempre uguale: di anno in anno sono appena io che cambio, direi. Non la volta celeste.
In altre parole, il nostro cosmo sembra stazionario. Quando invece è in rapidissimo movimento, è in espansione accelerata, anzi. Come abbiamo scoperto di recente, osservando le cose più brillanti, le stelle morenti, le cosiddette supernove. Nella vampata di luce del loro istante finale, si rivelano preziosissimi indicatori di distanza. E proprio per quanto tali stelle ci hanno confidato, morendo, è stato autorevolmente archiviato il vecchio modello di universo statico, con tutte le sue – ingegnose ma inefficaci – varianti.
La stessa visione scientifica del cosmo è in rapidissimo movimento. Anzi, anche lei in accelerazione, propriamente parlando. La nostra conoscenza dell’Universo fisico, rimasta sostanzialmente stagnante per moltissimi anni, progredisce proprio adesso ad un ritmo mai sperimentato: un tempo fecondo di esaltanti scoperte, certo, ma che a volte confonde gli stessi scienziati. Del resto, anche per chi di mestiere studia le stelle, è terribilmente vera l’affermazione che estrapolo da un testo di Marco Guzzi, “Di anno in anno cresce in ognuno di noi la dolorosa percezione di subire un’accelerazione vertiginosa dei tempi, come se fossimo tutti risucchiati e frullati in un vortice, che non sappiamo cosa voglia fare di noi.”
Questa vertiginosa accelerazione, per lo studioso dei cieli, è esperienza quotidiana.
Come scienziato, non credo al caso. Ho bisogno di un modello, una linea di spiegazione di quanto vedo. Questo turbinio di scoperte accade adesso, perché adesso noi possiamo comprenderlo. L’uomo antico rifletteva nel cielo quello che era il suo schema di pensiero, cristallizzato in certezze rapprese, pochissimo morbide, spesso belliche.
Capisco allora che il cosmo è un laboratorio molto particolare, perché riflette e ci invia di ritorno, con matematica esattezza, il medesimo schema di pensiero con il quale lo interroghiamo. Più che alla domanda, mi sentirei di dire, è sensibile al framework dal quale la domanda proviene. E ad esso, si modella, si adegua. Ad un uomo fuori da ogni prospettiva di trasformazione, impegnato quasi suo malgrado a dare energia ai suoi schemi ormai collaudati e sclerotizzati, fa da copertura – inevitabilmente – un cielo di stelle fisse. Ma oggi è più difficile, richiede sempre più dispendio di energia. È invece realmente liberante cedere un pochino, è impressionante rendersi conto di essere parte di quella specialissima generazione che vede le cose cambiare sotto il suo naso, rivoltarsi e ripensarsi, come non è mai accaduto. In cielo, come in terra.
Il punto forse è allora, appena, rendersi docili a questo moto profondo di cambiamento cosmico, per non patire inutili resistenze, ma goderne gli effetti benefici.
Quando ero ragazzo, sfogliando i testi di astrofisica che papà aveva in casa, sempre curioso del suo mestiere, leggevo che i buchi neri venivano considerati appena come una interessante ipotesi. Un buco nero, sarebbe un oggetto così denso che nemmeno la luce riesce a scappare (o se preferite, che curva così tanto lo spazio che tutto gli ricade addosso, perfino un raggio luminoso). Potrà mai esistere, una cosa così? Erano appunto ipotesi, e niente e nessuno poteva dirci se e quando avremmo detto una parola certa su questi bizzarri, lontanissimi oggetti. Nessuno scienziato ragionevole azzardava ancora previsioni. Se c’erano, se ci sono, sono così lontani che è pazzia pensare di averne un qualche riscontro. E non parliamo di quelli supermassicci, dei “mostri” giganteschi dal peso di migliaia e migliaia di stelle, riunite insieme. Davvero, più fantascienza di così, se more.
Ed eccoci, pochissimi anni più in qua. Bene, la cosa in sé l’avrete saputa, inutile aggiungere altre descrizioni, oltre a quelle già accurate che si sono affacciate in rete: quella che già viene chiamata la foto del secolo è una immagine del buco nero supermassiccio nella galassia chiamata Messier 87, acquisita tramite l’Event Horizon Telescope. Vediamo qualcosa che non si era mai visto, che non si pensava forse di poter mai vedere. Riusciamo ad avere una immagine di un oggetto enorme, smisurato e terribilmente lontano. Un oggetto che appartiene ad una classe, appunto, d’improvviso sbalzata fuori dalle ipotesi più ardite del pensiero, per coagularsi nella densità solida del reale.
Cosa sta accadendo in questi anni? Sta acquisendo una dignità di esistenza nel nostro linguaggio comune una teoria, una immagine di cielo, che fino a ieri pareva fuori dalla nostra portata di indagine ed immaginazione. La rilevazione delle onde gravitazionali, la scoperta di nuove terre, e ora la prima immagine del buco nero, sono solo alcuni degli eventi – avvenuti tutti nello spazio di pochissimi anni – che suggellano questo cambiamento, che marcano questo turning point.
Un nuovo mondo si affaccia alla nostra percezione, usando mille nuovi segnali. Un nuovo linguaggio, anche (come è sempre stato). Perché il linguaggio è importante, è fondamentale per come leggiamo, per come viviamo il cosmo. È la nostra interfaccia con quanto accade nel mondo “esterno”. Per questo non è così fuori luogo tirare in ballo perfino la poesia, anzi osar dire, come è stato fatto, che i poeti devono riprendersi il cosmo. È infatti urgente elaborare un nuovo linguaggio, un linguaggio che avvolga di parole, vere, profonde, vissute, le nuove cose che ci arrivano dal cielo, i nuovi segnali che entrano irreversibilmente a far parte delle nostre vite. Un linguaggio che ci permetta davvero, e di nuovo, di “fare casa”, nel cosmo. Una narrazione che ci faccia sperimentare, di nuovo, l’amicizia con il cielo.
Avverte giustamente Guzzi, nel volume “Alla ricerca del continente della gioia” che “ogni disciplina si sta aprendo ad un processo di rigenerazione e di riformulazione senza precedenti. Un processo che lungo il XX secolo ha spinto il poeta a parlare da psicologo del profondo, lo psicologo a dialogare con il fisico, il fisico a diventare mistico e il mistico ad occuparsi di scienza dell’evoluzione”. Ovvero, una rinnovata unità del sapere, come strumento, utensile per l’uomo non più segmentato in mille frammenti in mutua perpetua dolorosa collisione, ma un uomo sulla via della possibile guarigione, di una inedita ri-fioritura.
Un grande risultato per questo tipo di uomo, sempre in costruzione. L’immagine che ammiriamo infatti è un risultato – soprattutto è questo – frutto di una estesa e complessa rete di relazione. Leggendo pazientemente i resoconti di questa scoperta si comprende, in modo molto limpido e bello, come niente di questo sarebbe stato minimamente possibile se questa esteso network di relazioni (che raggiunge paesi diversi, culture differenti, persone diversissime tra loro) non si fosse potuto dispiegare in tutta la sua ampiezza. Una rete grande come la Terra. Nel senso più letterale possibile: otto grandi radiotelescopi, distribuiti nei posti più distanti, hanno infatti simulato, lavorando assieme, un solo unico strumento che abbraccia tutto il globo.
Ecco dunque cosa possiamo iniziare ad imparare: la nuova scienza, proprio come l’uomo nuovo che tutti cerchiamo, sarà relazionale, sarà intrinsecamente relazione, o non potrà essere affatto (nel senso, non potrà più essere realmente feconda). Una traiettoria si è infatti definitivamente chiusa, esaurita, nel tramontare del XX secolo, un secolo di esaltanti scoperte e terribili conflitti, dove per la prima volta abbiamo osato mettere le mani nella materia oscura nascosta nelle nostre più celate profondità interne. Dove è stato ancora possibile, per un genio come Einstein, erigere quasi da solo un’architettura monumentale come la teoria della relatività.
Questo esaurì la corsa, bruciò il tracciato. Il cosmo stava cambiando, o l’uomo. Dall’io si deve ormai passare al noi. Non nel senso che non si provi ancora a dire “io”: si può fare, ci ricadiamo spesso, ma la risposta è ormai infeconda. La scienza ha esaurito la spinta propulsiva dell’atteggiamento egoico, di dominio, ne ha esplorato le potenzialità e ormai saggiato definitivamente i confini.
Del resto, tutto è relazione: al fondo del fondo del reale (lo spiegano anche molti fisici non credenti, come Carlo Rovelli), tutto è relazione. Se scaviamo al fondo della materia, non giungiamo a nessuna particella “elementare”, a nessun mattoncino fondamentale (come è ancora per i modelli statici della nostra mente). Piuttosto, ci si inoltra in una fittissima ed intricata rete di relazioni. In altri termini, la relazione sembra proprio essere, per la nuova fisica, il “quantum” sopra cui tutto si costruisce. Siamo disposti a capire questo “nuovo” messaggio, che ci arriva dalle viscere dell’universo, dal baricentro dell’esistenza?
E questo universo si sta mettendo in relazione con noi, in modalità assolutamente sorprendenti. Tanto più quanto più ci mostriamo aperti. Lavorare alla nostra apertura, allora, al superamento – lentissimo e faticoso, ma possibile – degli strati di separazione e chiusura, non è affatto una occupazione egoistica o un passatempo come un altro: è al contrario disporsi di fronte al cosmo nell’attitudine più adatta, più adeguata, ad una ricezione nuova, per imparare a danzare in fase con quel moto di rivoluzione che può veramente (e allegramente) sovvertire l’ordine dominante nel cosmo.
Come può sovvertire, altrettanto allegramente, quello dominante in noi stessi.
(Crediti immagine: The Event Horizon Telescope.)
Accidenti, quanta Bellezza! E’ trainante, è affascinante, è coinvolgente, è entusiasmante!…
Grazie, Marco.
Grazie per queste riflessioni che, partendo dal cielo, raggiungono il cuore dell’uomo, cellula pensante ed amante dell’universo stesso.
Con un pizzico di invidia per il cielo stellato che ti puoi gustare dalla casa di Abruzzo, mentre io – a causa dell’inquinamento luminoso della città in cui abito – non avrò possibilità di contemplare lo spettacolo delle stelle cadenti maggioline in onda sul nostro firmamento proprio in queste notti,
ti abbraccio con affetto e gratitudine.
E con un sorriso,
angela
Grazie infinite Marco,
che dire? Mi sono emozionato leggendo questo post, e lo rileggerò, e lo rileggerò…
Di nuovo grazie e buona giornata.
Benigno
Cara Angela, caro Benigno,
grazie per i vostri commenti! Il mio tentativo era di parlare di questa scoperta, raggiungendo però al contempo il cuore, il centro delle emozioni, e non appena il dato empirico. Sono proprio contento che almeno un po’ questo tentativo sia riuscito! Angela carissima, hai ragione dalla città non si vede quasi più la volta stellata: io da Roma vedo praticamente niente, e fatti salvi quei (pochi!) giorni in montagna, potrei dimenticarmi che esiste la volta stellata! Benigno grazie perché la tua emozione, la vostra emozione è, in ultima analisi, la ragione per me per aver scritto questo pezzo.
Vi abbraccio.
L’UOMO E’ L’INCARNAZIONE DELL’UNIVERSO CHE PENSA ED AMA?
Marco e Marco, il primo, Guzzi, mi ha fatto vivere e sperimentare una conoscenza nella profondità dei miei abissi, e il secondo, Castellani, mi offre una pista di pensiero, che dà soddisfazione anche alla mia insaziabile, un po’ egoica, voglia di sapere, ed è pista che conferma le intuizioni riguardanti il trascendentale.
Così mi sembra di sentire più forte la relazione tra me e il cosmo, non solo a livello emotivo ma anche razionale.
La mia storia mi suggerisce due parole che colorano il mio sguardo sul “concavo cielo”: desiderio e nostalgia. Guzzi parla molto dei desideri che animano l’uomo e tutta la sua vita: la parola desiderio significa proprio “de-sidera” e cioè qualcosa che scende dalle stelle, ed è significativo che l’uomo abbia coniato questa parola molto prima di inventare i telescopi.
La poesia e una fede hanno spinto e guidato lo sguardo dell’uomo verso alcune verità su cui una scienza arida può solo arrancare.
La parola nostalgia, “nost-algia” significa “dolore del ritorno” ed è il lancinante, irresistibile, desiderio di tornare a casa: è il richiamo del cosmo, dell’infinito che ci abita e che ci affascina.
I primi scritti di Castellani mi hanno trasmesso l’idea che l’Uni-verso possa aver espresso coscienza di sé attraverso l’uomo: se così fosse, poichè un’entità cosciente è viva, verrebbe spazzata via l’idea di un cosmo freddo e senza senso.
Quella speranza ha fatto lentamente maturare in me l’altra speranza che quel cosmo, nella mia fede creato dallo Spirito, se ha senso e se quindi prende il calore della vita, abbia espresso attraverso l’uomo anche la sua capacità di amare.
L’UOMO POTREBBE ESSERE INCARNAZIONE DELL’UNIVERSO CHE AMA: forse non ne è l’unica forma, e lo può essere nonostante la presenza del mistero del male.
Mi convince ciò che dicono Guzzi e Castellani, che l’uomo può tornare a percepire un cosmo accogliente e con significato perchè può uscire dalla gabbia di una ricerca scientifica, indispensabile e preziosa, ma ancora illuministicamente parcellizzata , per andare verso una ricerca più potente, nella consapevolezza che ogni ricerca presuppone una fede, anche se lo scienziato ricercatore non sempre lo sa.
Nella libertà dei figli di Dio, ognuno ha il cosmo che sceglie di avere.
Senza una fede sono arido e vedo un universo insensato, mentre con una fede posso sperimentare che l’immenso patrimonio della cultura greca e giudaico-cristiana può salvare me e ridare speranza all’umanità.
Esprimo la mia gratitudine a chi ci aiuta nel nostro cammino,
GianCarlo
Carissimo Giancarlo,
amico mio, sono onorato del tuo esteso ed intelligente commento. Grazie di cuore.
Metti proprio il dito nel cuore della questione, quando scrivi “… mi hanno trasmesso l’idea che l’Uni-verso possa aver espresso coscienza di sé attraverso l’uomo: se così fosse, poichè un’entità cosciente è viva, verrebbe spazzata via l’idea di un cosmo freddo e senza senso.”
Sì carissimo. Tutta la mia urgenza di comunicare è in queste tue parole. Pensare un cosmo freddo e senza senso è sempre possibile, è certo una possibilità del pensiero, perché siamo stati creati liberi. Però non è senza conseguenze! Perché di fronte a questo cosmo così pensato l’unica cosa che ha senso (o meno nonsenso) è l’espansione egoica (in fondo è la stessa cosa espressa nella Prima Lettera ai Corinzi, con straordinaria potenza e concisione, “Se i morti non risorgono, mangiamo e beviamo, perché domani moriremo.”) Afferrare tutto il possibile prima di scomparire, inghiottiti nel nulla cosmico. E questo però non soddisfa, nemmeno nel corto periodo, lo sappiamo. Qui, non si vince comunque.
Diverso se è un cosmo “amorevole”, o comunque trasparente all’Amore, che permette che questo Amore venga cercato, implorato, desiderato, pianto per la sua percepita assenza, gioito per la sua presenza, accolto. Perché in un campo di amore si respira, si inizia a respirare. A guardare davvero. Anche la smania di possesso, che è alimentata dalla paura, si attenua, all’attenuarsi del timore. “Non abbiamo nulla da temere” dice spesso Marco Guzzi. Ecco, abbiamo la possibilità di guardare il cielo così, le stelle così. Il cammino che facciamo in Darsi Pace, ma direi il cammino personalissimo che ognuno fa, con gli strumenti che qui e altrove gli vengono offerti, alla fine è per quello. E allora, anche nella sofferenza, abbiamo già vinto. Qualcuno ha vinto, per noi.
Dice il mio calendario oggi che “Guarire è toccare con amore ciò che precedentemente abbiamo toccato con paura” (S. Levine). Anche le stelle si possono “toccare” con amore. Nell’amore in effetti non vi è altro che il tocco, il contatto.
Un abbraccio!
Grazissime di cuore ai due Marco, Castellani e Guzzi e a G.Carlo Savoldi!!!
Le vostre risonanze “trinitarie” concordano in una visione cosmica veramente poetica senza l’uso dei visori 3D. La forza dei vostri dialoghi ” a distanza” ci immergono dentro un cosmo “amorevole” che ci chiama ad essere uomini cosmici risanati dalla paura di toccare per imparare finalmente libera-mente ad amare. Siamo chiamati a fare Spazio dentro e fuori, senza barriere di tempo per vivere e costruire futuro.
Alleluya Alleluya Alleluya !!!
Un abbraccio cosmico
Giuseppina
Impressionante, strabiliante, esaltante, commovente. La sorpresa di queste vostre rivelazioni ” trinitarie ” che mostrano l’unità , che si realizza nella coscienza umana , tra le cose del cielo e quelle della terra, oltre che tra di voi pensanti relazionali, mi colpisce e mi interroga come Newton , quando lo colpi in tesa una mela matura, anche se non aveva ancora scoperto la forza di gravità. Ovvero il cielo decise quello che , venne poi compreso , sulla terra ! Partirei dai vostri imput, per formulare questa ipotesi da verificare in noi: L’universo è un essere pensante e relazionale, che può qualificarsi come un IO SONO che si rivela nei nostri desideri umani d’amore aperti ad ogni possibile. Una verfica la feci già da bambino, quando ero lontano da casa e solo . Allora ” accarezzavo le stelle ” con grande nostalgia, e ricevevo l’IO SONO che mi mancava . Forse sono blasfemo, ma gli scienziati , anche quelli interiori come me, devono pur osare e rischiare .
“Guarire è toccare con amore ciò che precedentemente abbiamo toccato con paura” Bellissima verità cosmica, sperimentabile in noi !
Grazie amici inter-stellari , un carissimo abbraccio.
Ivano
Grazie per le vostre riflessioni così rasserenanti.
Riflettevo su queste due visioni del cosmo:
“Pensare un cosmo freddo e senza senso. Afferrare tutto il possibile prima di scomparire, inghiottiti nel nulla cosmico.
Oppure pensare a un cosmo “amorevole”, o comunque trasparente all’Amore, che permette che questo Amore venga cercato, implorato, desiderato, pianto per la sua percepita assenza, gioito per la sua presenza, accolto. Perché in un campo di amore si respira, si inizia a respirare.
Guarire è toccare con amore ciò che precedentemente abbiamo toccato con paura.”
E mi sono venute in mente queste parole di Gesù
“Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”
Un abbraccio
Grazie Giuseppina, grazie Ivano, le vostre risonanze sono per me preziose perché mi confortano nella condivisione di questo spunto nuovo di vedere il cosmo, trapuntato di calda speranza: che poi niente altro è che lo sviluppo coerente di quello che ci viene suggerito nel percorso Darsi Pace, quello che si evince dai saggi su cui lavoriamo, come la “La Nuova Umanità” nonché da alcune delle letture indicate, come il “Tao della Liberazione” (che ha alcuni capitoli molto significativi sulla cosmologia).
Caro Aldo, grazie a te e per la frase di Gesù, mi viene da pensarla non più ad una lettura “moralistica” (ovvero, “se non obbedite sarete puniti”) come il nostro ego ci suggerisce – e purtroppo non solo quello a volt – ma ad una semplice e partecipata evidenza, detta in amicizia ed empatia (“vi imploro di iniziare a pensare l’universo in modo diverso, altrimenti la bellezza non vi potrà raggiungere”).
Un abbraccio.
Altrimenti detta, con tono schietto e sorridente, può suonare così:” Convertirsi conviene!”
Grazie Marco e tutti voi per queste
riflessioni molto profonde, nelle quali il mio piccolo io si perde e non sa cosa dire.
Poi espiro e ricordo che ho sempre guardato il cielo, con una grande curiosità e con grande rispetto, provando sempre (quando sono un po’ meno distratto) un senso di libertà nel relazionarmi con questo spazio senza confini.
In questo percorso in darsi pace, ho riscoperto e la sconfinata libertà dello “spazio” e imparato a percepire il peso del confine, del mio limite.
Due realtà che sorprendentemente coesistono nell’uomo…in me, che sono “fatto” di particelle infinitamente piccole e vivo in uno spazio infinitamente grande.
Mi hanno sempre affascinato l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. Studiamo e cerchiamo le particelle sub atomiche più piccole, per trovarne il fondamento, e studiamo ed osserviamo lo spazio siderale nel tentativo di capire da dove veniamo, dov’è il suo ed il nostro inizio.
Scoperta melodiosa…
proprio noi siamo l’espressione dell’universo, che contiene queste due direzioni, che in noi si incontrano, l’ascesa verso le stelle e la discesa nei misteri della materia.
Proprio in noi si manifesta continua-mente quell’inizio che cerchiamo nell’infinitamente grande e nell’infinitamente piccolo.
Proprio noi abbiamo questa delega spaventosamemte grande di dare spazio in noi all’inizio di tutto, in ogni momento.
Noi siamo infinita-mente un luogo abitato, ab-soluta-mente abitato, senza soluzione di continuità, luogo abitato.
Mi pare sempre di nuovo, grazie a queste condivisioni, che tutto sia così sensato perché profondamente pensato, desiderato.
Circa 20’anni fa, ho fatto il muratore ed ho imparato che per fare una casa semplice con muri e tetto, ci vuole molta intelligenza, molto impegno, per niente casualità. Dovessimo lanciare miliardi di volte in aria a caso tutto il necessario per costruire una casa, mai otterremmo ciò che desideriamo. Figuriamoci per avere un fiore, un albero, l’azzurro del cielo, la pioggia, gli astri, l’universo… ogni organo del mio corpo… Io.
Tutto mi pare attenta-mente pensato.
I monti sono pensiero, gli astri sono pensiero, io (noi) sono (siamo) pensiero.
A volte percepisco un senso di appartenenza a questo pensiero, come se queste cose mi appartenessero o meglio come se mi abitassero, se io appartenessi a questo pensiero.
Poi mi distraggo e rientro nell’ingnoranza di tutto ciò.
Un ringraziamento a Marco Castellani e a tutti voi per la condivisione di questo “spazio”, che ci contiene e ci abita.
Stefano
Grazie caro Stefano,
il tuo intervento è ricco di spunti interessanti, sarebbero veramente da seguire uno alla volta. E’ bello condividere con voi, in questo spazio, questo tentativo sempre approssimato, sempre perfettibile, di non essere (troppo) separato dall’universo. Devo dire che ho iniziato a vedere il vero valore della mia scelta professionale quando, grazie alle letture e grazie sicuramente anche al percorso Darsi Pace, ho iniziato a vedere che la mia scelta poteva essere “messa a servizio” di questa possibilità. Ad ora non vedo che in essa la sua vera dignità, ed il suo significato per la mia vita.
E’ bello provare a sentire ed esplorare questa connessione con il cosmo, anche dai vostri commenti è evidente che sorgono sempre nuovi spunti, ed è veramente corroborante poterli seguire, approfondire. L’attitudine aperta verso il cielo, è qualcosa che rallegra, conforta, aiuta. E’ bello studiare il cielo se possiamo dirlo alle persone, aiutarle a riconciliarsi con esso, a pensarsi immersa in un cosmo vastissimo, ma pieno, morbido, accogliente.
Per che deve nascere il “cosmo” in fondo è così, l’universo è esattamente la pancia della mamma, calda, accogliente, sicura. Possiamo osare di recuperare questo senso, in modo più radicale ancora, meno immediato ma forse non meno vero? Penso a questo quando Guzzi dice nei corsi, che siamo in un ambiente “ben protetto”.
Per me un ambiente ben protetto, è una pancia. Inutile girarci intorno. E’ così.
Dante pure mi sembra d’accordo (anzi rilancia alla grande, in modo meta-fisico), quando afferma coraggiosamente,
“Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore.”
Un cosmo così, non a caso ha dei caratteri femminili, opposti a certa visione unilateralmente maschile, di “dominio” (di un maschile irrelato alla parte femminile, dove solo nella relazione maschile e femminile fioriscono nella loro vera natura).
“La luce delle stelle fisse / come un rifugio capovolto” cantava Fabrizio de André molti anni fa.
Anche questa immagine mi è sempre piaciuta.
E quando dici
“Tutto mi pare attenta-mente pensato.
I monti sono pensiero, gli astri sono pensiero, io (noi) sono (siamo) pensiero.”
come non pensare ancora a Dante, il suo “Amor che muove il Sole e le altre stelle” ?
Non si tratta di questo?
E’ evidente che il bimbo in attesa di nascere è oggetto di una storia di amore (almeno nella gran parte dei casi).
Vive per quella, si nutre di quella.
Possiamo riprendere questa evidenza, nel nostro universo?
Provocatoriamente, direi, può essere per noi una “pancia” ?
Che altro c’è di più interessante, da studiare? Da sperimentare?
Da provare, da sperare di sperimentare?
Da lavorare, ogni giorno, per alimentare questo sperare?
Ancora grazie ancora a te Marco e a tutti voi,
mi dispiace di non poter scrivere ed interagire spesso qui e nel blog, ma purtroppo tempo ed energie sono risicati. (l’argomento maschile femminile è certamente nuovo terreno di crescita) speriamo di potersi incontrare magari (almeno alcuni) a Trevi.
Un saluto a tutti.
Stefano