Nonostante oggi si dicano tantissime parole, e le fonti di informazione di tutti i tipi lavorino a ritmi industriali, la nostra cultura vive un momento di forte crisi, direi una crisi di sonnambulismo, una sorta di attivismo alla cieca, che rischia in ogni istante di andarsi a sfracellare contro una parete. Dove sta oggi la cultura? Che significa, in un mondo come questo, fare cultura?
Una volta Marco ha detto che l’Occidente negli ultimi trent’anni è andato in pausa pranzo. Spesso però mi sembra che la nostra sia una pausa da indigestione, perché probabilmente abbiamo mangiato troppo e troppo rapidamente. Il corpo della coscienza collettiva infatti pare intasato, appesantito e dunque insonnolito dal XX secolo, non del tutto elaborato né metabolizzato a sufficienza. Troppi nodi millenari, troppi sconvolgimenti irreversibili sono affiorati tutti insieme, e questo fa sì che l’umanità sia entrata vacillando in questo secolo, quasi non fosse pronta per le sfide che abbiamo di fronte.
Eppure i tempi stringono, e urgono assolutamente nuove parole: parole forti e infuocate, che sappiano sciogliere gentilmente i pesi della coscienza, che in realtà sono anche i pesi interiori e spirituali che ognuno di noi si porta dietro dalla propria storia personale. Ma come si fa a curare noi stessi curandoci al contempo della storia del mondo? Che vuol dire maturare seriamente una coscienza universale, che rimanga anche costante-mente poggiata sul terreno della nostra esistenza personale? E soprattutto: dove troviamo le parole che ci educhino a questo compito straordinario?
Nell’ottobre del 1806, negli stessi giorni in cui le truppe napoleoniche entravano a Jena, alimentando la speranza di libertà e rinnovamento di molti tedeschi che avevano creduto nella Rivoluzione francese, Hegel scriveva: «D’altra parte, non è difficile scorgere come il nostro tempo sia un tempo di gestazione e di transizione verso una nuova epoca. Lo Spirito ha rotto i ponti con il precedente mondo della sua esistenza e delle sue rappresentazioni, ed è in procinto di sprofondarlo nel passato: vive il travaglio della propria trasformazione.
In realtà, lo Spirito non è mai in quiete, ma è impegnato in un continuo movimento progressivo. […] Lo Spirito che va formandosi matura lentamente e silenziosamente verso la nuova figura, e dissolve una dopo l’altra le parti dell’edificio del suo mondo precedente, del cui vacillare sono spie per il momento solo sintomi sparsi; il senso di inanità e la noia che pervadono ogni sussistenza, il vago presentimento di un ignoto, sono segni premonitori dell’avvicinamento di qualcosa di diverso.
Questo graduale sgretolamento, che finora non alterava la fisionomia della totalità, viene infine interrotto dal sorgere del sole che, come un lampo improvviso, fa apparire in un colpo solo la struttura del nuovo mondo» (Fenomenologia dello Spirito, Prefazione).
Nonostante gli oltre due secoli che dividono il nostro mondo da quello di Hegel, è incredibile a mio parere quanto risuonino potenti e presenti queste sue parole oggi. Uno dei massimi pensatori della storicità ci sta qui dicendo infatti che il senso di noia, di inerzia – e quindi di depressione – che sembra imperversare ovunque, non indica soltanto disfacimento e distruzione, ma è anche il segno della avvenuta nascita di una nuova epoca del mondo, che come umanità dobbiamo però imparare a riconoscere e ad abitare in modo maturo.
Ciò significa che le crepe disfatte del mondo vecchio (quale per molti versi è il nostro) racchiudono già in sé le tracce ancora nascoste, non viste, di una nuova infanzia della storia.
Alcuni miei versi, risalenti a tre anni fa, dicono infatti:
Vecchio e stanco
e decrepito
giunge un volto:
l’occhio è saturo,
la vita è piena
tanto da esplodere.
Occhio saturo,
occhio del ventre,
digeritosi sino
all’indigestione.
Ora basta, basta
con le coltellate,
basta con il patibolo:
ormai è già morto,
e da lungo tempo.
Adesso gattoniamo
come marmocchi,
e frigniamo;
ci siamo scoperti
neonati.
Taciuto per troppo
è stato il nostro
frignare, affossato
da tanto strillare.
(…)
Non ti voltare:
il mondo è rivoltante.
Non volgere indietro:
il mondo vuole
rivoltare.
Dal 1880 al 2016:
un bel salto!
Si scavalca il buco
centrale del cuore
d’abisso, del baratro.
Allora la storia esiste.
Parla qui in modo implicito la sapienza millenaria della Rivelazione cristiana, che sta poco a poco insegnando all’umanità storica a credere non in una Salvezza che deve soltanto ancora venire, ma ad un Inizio che è già avviato, ad un Evento nuovo già compiuto, che addirittura è all’origine di tutta la dissoluzione inesorabile del vecchio mondo, dominato dalla morte e dal peccato.
Proprio questo mi pare sempre più chiaro: che il problema non è l’assenza dello Spirito, ma il fatto che noi stessi non ci accorgiamo che la Salvezza è già qui, già disponibile gratuitamente (cioè come pura Grazia) a tutti coloro che vi si affidano. Heidegger ad esempio arrivò a dire che la voce dell’Essere ci passa accanto, ma siamo noi a non ascoltarla, perché siamo troppo distratti, immersi nelle faccende spesso inutili della nostra giornata, oppure bloccati nelle nostre difese e paure non riconosciute.
In un modo o nell’altro, la Grazia non riesce a compiere la propria opera di salvezza perché gli umani si ostinano a credere che esista solo questa realtà, questo mondo distorto dalla nostra mente egoico-difensiva, che vede solo la propria stanzetta, i propri immediati bisogni, e non si rende conto di trovarsi in un metabolismo psico-cosmico di proporzioni sconfinate.
A questo proposito a me piace molto riferirmi ad uno dei massimi capolavori della storia dell’arte, la Vocazione di San Matteo di Caravaggio. Il pittore qui coglie perfettamente la dinamica straordinaria della Grazia: infatti, nello stesso istante in cui Cristo appare e sta chiamando a sé Matteo, tra lo stupore ancora incredulo dei presenti, il prescelto non si è ancora nemmeno accorto di ciò che sta accadendo, perché è troppo preso a contare i soldi ricurvo sul tavolo.
Ho sempre trovato questa scena letteralmente commovente, non solo per il modo magistrale in cui è dipinta, ma soprattutto perché mostra la realtà più nuda dell’uomo di fronte all’azione miracolosa dello Spirito. In quest’opera, secondo me, si trova racchiuso tutto il mistero del tempo messianico che stiamo vivendo, inaugurato dalla venuta di Cristo: un tempo del Già e del Non-ancora, di una Salvezza già compiuta, che deve però ancora essere riconosciuta pienamente, nella fatica immensa dei secoli e secoli di generazioni che si sono susseguite in questi duemila anni.
Credo quindi che noi umani del XXI secolo ci troviamo precisamente lì, in quell’istante mostratoci da Caravaggio, da un lato ancora immersi nell’ombra della distrazione e della vanità (come se quello che vediamo fosse l’unico mondo possibile), dall’altro già illuminati dalla Luce che incombe chiamando a gran voce, rivolgendosi proprio a noi.
Ma a cosa ci chiama questa voce? Se ascoltata seriamente, non ci chiede affatto di abbandonare questo mondo a se stesso, ma al contrario vuole che ce ne facciamo carico completamente per poterlo guarire e risanare fino in fondo. Come vediamo bene anche nel dipinto, la chiamata dello Spirito è infinitamente umile, avanza cioè tra le cose più terrene della nostra vita, e proprio per questo la sua opera è davvero potente. Cristo è semplicemente il cielo che penetra a tal punto nel cuore della terra da far sì che il miracolo della trans-figurazione del mondo non sia affatto possibile senza avere alle spalle quello dell’incarnazione.
E allora, nel paradosso dello Spirito, se è vero che il nostro è un tempo in cui mai come prima domina la distrazione di massa, lo smarrimento e la depressione, è vero anche che proprio questo è il tempo buono per risvegliarci. Risvegliarci innanzitutto alle domande più abissali dell’esistenza, quindi ad una nuova dimensione della coscienza, più vasta e più illuminata, che sappia trovare la propria luce celeste nell’umiltà dell’esistenza, la propria salvezza in quella dell’intero pianeta, e guarire infine l’intimità dello spirito solo nella paziente, simultanea guarigione della storia.
Questo è ciò per cui Darsi Pace sta lavorando da quasi un ventennio.
Buon lavoro per i prossimi secoli!
Caro Luca, sentendoti parlare (scrivere) così bene dello stato di questo nostro momento storico, percepisco in me sempre di più che questo momento storico… è “questo momento”, da sempre e solo lo stesso “momento”. Da quando l’uomo è antropologicamente apparso sulla terra (forse da prima) il “momento” è sempre lo stesso se pur in continuo cammino ed evoluzione con noi, anzi direi che “questo momento” ci cerca e ci chiama costantemente a Sé, ancora più forte da quando Cristo è venuto sulla terra, nella carne, in questa carne, per rivelarci che tutto accade qui, in noi, in “questo momento”, se ci crediamo.
Una voce attraversa l’universo e ci raggiunge, come una nota, da 14 miliardi di anni di distanza, per dirci che “questo è un momento meraviglioso”.
L’intero universo non lo sa, all’Uomo Nuovo, a noi il compito di inoltrarsi in questo mistero ed intonarsi a questa nota e portare l’annuncio a tutto il creato, che sta tutto dentro di noi, ed attende la sua liberazione.
Cristo ci viene a portare questo straordinario e tremendo annuncio.
“Questo momento è sempre qui”. Questa voce ci raggiunge ma noi non sappiamo ancora ascoltarla, darle credito, Cristo c’è ne mostra la via, ed il metodo per ascoltare questa voce… la morte dell’ego per la Vita… la Vita piena donata per il corpo, con il corpo, nel corpo…
Sempre Caravaggio, che tu citi con grande profondità (grazie per la tua descrizione attenta, che mi mostra dove sono io in questo dipinto), rappresenta in un altro quadro che a me è molto caro, un Cristo che con Umiltà (questa la mia interpretazione) si mostra a Tommaso (a me), con rispetto della sua (mia) fragilità umana, della sua (mia) incredulità e porta con estrema dolcezza la sua (mia) carne a toccare la Sua carne (in me), a professare una Verità di fede tra le più grandi e reali.
In questo gesto del mostrarsi a Tommaso, io sento trasmettere alla mia carne (con tutto ciò che contiene), una dignità ab-soluta, Cristo morto e risorto, passato per il silenzio del sepolcro, portato il mondo passato e futuro a morire con Sé fino nella tomba, ci mostra la via attraverso la quale la carne divina incontra e si fa toccare dalla mia (nostra) carne, proprio in questo corpo biologico, e mi rende divino, questo l’orizzonte che mi si apre se scendo con una umile azione nel luogo della sepoltura, dove portare con me questo mondo che mi appartiene, cui il mio io appartiene, e li morto a me stesso posso sperare di incontrare Cristo, l’Uomo nuovo in me.
Questo secondo me, il compito dell’occidente (tramontante), smetterla di inseguire il suo tramonto nell’illusione che il giorno non finisca mai, ma fermarsi, attendere la notte per vedere l’alba del nuovo giorno, che è già qui da sempre in “questo momento”, basta morire…semplice-mente (che non vuol dire facile come dice Marco), portando con noi nel nostro sepolcro la nostra storia, quella parte di mondo e di storia che ci trattiene. E per portarla con noi bisogna come mi pare tu accenni, conoscerla bene, studiarla, portare nello spegnimento anche nuove intuizioni, per potere trovare in essa quegli aneliti Cristici che cela tra le sue righe impastate di distorsioni ego-patiche, e donare al mondo nuove visioni purificate di noi e della nostra storia.
Trascrivo qui un pensiero che, in questi luoghi di spegnimento, mi ha raggiunto e che i tuoi versi mi hanno ricordato.
30/11/2018
Umile-mente
aderente
col mio ventre
alla terra.
Le braccia aperte
rompono il confine della paura.
Qui solo
mette radici
e si fonda
la Concreta
Speranza
di imparare a strisciare,
poi gattonare,
ad assumere una
Postura eretta,
e forse
a camminare
con Postura
Regale.
Sovrano
tra sovrani, cui tendo la mano
per alzarsi.
Ma fino a quando vivrò
nell’illusione di volare,
di sapere correre
continuerò ad inciampare
sui miei pensieri
frantumati e frantumanti,
ed impatterò
sulla rigidità
delle mie
asprezze e
delle mie
false sicurezze
Che sono maschere di
Paura
Un ringraziamento di cuore a te Luca per il tuo impegno, per la tua ricerca di senso, per il tuo desiderio di dare un senso a questo mondo.
Grazie,
Stefano
Grazie per avermi ricordato il Caravaggio, opera che desidero tanto ammirare e meditare la cui visita e’ da tempo nei miei programmi. Il tuo post chiarisce e illumina, complimenti e continua così. Un abbraccio Fabio
Caro Luca, scrivi:
“le crepe disfatte del mondo vecchio (quale per molti versi è il nostro)”
Mi sorprende sempre questa corrispondenza tra la vita di una singola persona: nascita, infanzia, adolescenza, maturità, vecchiaia, morte; e la vita di una civiltà, del “nostro mondo” che è già vecchio, anche se sembra più vivere nel confuso attivismo dell’adolescenza. Vecchi che sono fermi all’adolescenza e che muoiono prima ancora di arrivare alla maturità.
E’ questa la condizione del “nostro mondo”?
Che non ha raggiunto la maturità e già marcisce?
Ho Fede e Spero con te che quelle “crepe disfatte racchiudono già in sé le tracce ancora nascoste, non viste, di una nuova infanzia della storia.”
Un caro saluto
Curare noi stessi e la storia dell’Europa
Caro Luca, fin da ragazzino ti sei fatto carico di secoli di storia dell’Europa , e del mondo.
Io penso che è una storia da ri-leggere, e occorre che non sia più letta solo con la razionalità, come hanno fatto tanti grandi pensatori, ma anche col nostro essere e con la nostra esperienza.
E’ necessario un lavoro di ricerca della verità molto difficile e faticoso, anche perchè ci porterebbe a fare i conti oltre che il nostro io egoico anche con le incrostazioni del nostro io ideologico-bellico.
Sarebbe bello e liberatorio rileggere la storia dell’Europa esattamente nello stesso modo in cui noi rileggiamo noi stessi nel percorso iniziatico.
In questo modo riusciremmo a vedere il peccato originale dell’Europa , che è come quello di ogni essere umano, poi le sue ombre, poi le sue difese, poi le sue maschere.
Ma alla fine sapremmo farne risplendere la luce e la bellezza e il dono di libertà e vita che è per tutta l’umanità.
Magari un giorno nascerà un gruppo di creatività “Darsistoria”, o “DarsiEuropa”, capace di individuare tutti gli snodi evolutivi della storia dell’umanità, tutti i passaggi cruciali, per poterli leggere nella loro ambiguità, nella loro bivalenza, nella dimensione evolutiva e creativa.
Forse è impossibile avere una lettura neutra, perchè nessuno finanzierebbe una ricerca che non si schieri con gli interessi di una parte ideologica o politica o economica.
Nessuno pagherebbe, ad esempio, una ricerca che aiutasse finalmente l’Italia a fare i conti con la modernità, con il risorgimento, con gli anni di piombo e infine con la globalizzazione.
Ma a noi basterebbe avere queste consapevolezze e fare i primi passi, sulla linea di “un Evento nuovo che è già avvenuto”.
Un abbraccio, GianCarlo
Vi ringrazio molto per il vostro apprezzamento e partecipazione a queste parole.
Vorrei dirti, Stefano, che i tuoi versi e le tue considerazioni colgono molto bene la frequenza che ho cercato di mostrare nel mio scritto. Per lo Spirito in effetti non valgono le leggi della fisica, e spesso io dico che mi faccio male non tanto quando cado a terra, ma quando cado in cielo. E’ lì che mi trovo spesso a volare troppo in alto, come Icaro: se precipito poi a terra è sempre perché prima ero già precipitato al di là dei miei limiti. Le opere di Caravaggio sono non a caso ancora oggi così vive e contemporanee, proprio perché ci parlano nudamente della nostra condizione tremendamente terrena, attraverso una luce che sgorga però come dall’interno della carne stessa.
Per rispondere poi a GianCarlo, direi che il grande compito epocale di guarigione dell’Europa sta da secoli precisamente in questo: trovare terra, trovare cioè quella patria e quelle radici che non stanno nel “passato”, ma all’opposto ci precedono sempre in avanti, ci stanno di fronte, mai del tutto viste e conquistate. La modernità esordisce non a caso con il grido di Colombo che trova terra al di là dell’Oceano. L’Occidente stesso nasce dal viaggio interminabile di Ulisse, che ritorna infine a casa. Eppure Nietzsche, ai confini estremi della modernità, ci dice che il nostro è un tempo che ci condanna ad essere “i senza patria”.
Noi, come civiltà, dobbiamo ancora capire il senso di questo essere senza-patria, e quindi la natura non terrestre della nostra Terra madre, giacché solo così potremo anche guarire tutte le nostre patrie nazionali e le identità umane in generale.
L’Occidente oggi, in altre parole, è chiamato a ricomprendere il senso della Terra promessa come vera Patria, vera Terra che si fa corpo, carne e storia in noi adesso. Questo è Cristo. E questa è anche, volenti o nolenti, la missione originaria della nostra civiltà nel mondo (a maggior ragione lo è oggi, che fatichiamo così tanto a ricordarcene). Il Regno di Dio è qui tra noi solo se noi lo accogliamo, punto. Per poterlo accogliere tuttavia, dobbiamo essere innanzitutto coscienti di desiderarlo. Qui sta la fatica.
Sotto questo segno, credo che nei prossimi anni sicuramente inaugureremo nuovi progetti culturali finalizzati a un’interpretazione poetico-rivoluzionaria della nostra storia (già dataci in fondo dal pensiero di Marco). E, aggiungerei, col preciso intento (assolutamente non-neutrale) di ricominciare a farla sul serio, la storia. –
Grazie di nuovo a tutti,
un caro saluto, Luca. –
Caro Luca, grazie.
Mi commuove e mi edifica questa tua chiaroveggente e appassionata lettura del nostro tempo . Ci invita a lasciare con urgenza ineludibile la nostra lunga pausa pranzo (causa abbuffata) e a intrapendere nuova-mente la Via di salvezza che umilmente costruisca FU-TU-RO qui ed ora in un fecondo intreccio intergenerazionale, come esprimono poeticamente alcuni miei versi (Divampa fuoco di FU-TU-RO /IO e TU siamo dentro il rogo/Baciare per bruciare / con parole incandescenti / i nostri falo’ di Vanità’ dementi / avanzi di cultura dello scarto // con scatto reale rovesciare / in silenzio i potenti dai troni / abbassare umilmente i toni / con nuova visione senza droni / a mani vuote esultare // di magnifica misericordia / di memoria sovversiva / carica di potenza esplosiva / per costruire bomba atomica / di nuova Umanità inclusiva.
Si, grazie a te e a quanti hanno iniziato a risvegliarsi e a risvegliarci, caro Luca.
Un abbraccio
Giuseppina