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Mi sembra meritoria questa decisione di pubblicare estratti video dall’Intensivo di Trevi.
Questa lezione in particolare ha intercettato delle risonanze molto forti, in me.
In particolare, ha messo allo scoperto il mio atteggiamento di tante volte, dove “io sono un disastro” rimane come in background dentro di me e viene accantonato cercando, come dice Marco, di fare altro. Perché intanto, appunto, dobbiamo vivere. Abbiamo orari, scadenze, cose da fare, persone de vedere, anche se ci sentiamo un disastro.
Denunciava già anni fa Giorgio Gaber, in “Far finta di essere sani”, che
“Vivere, non riesco a vivere
ma la mente mi autorizza a credere
che una storia mia, positiva o no
è qualcosa che sta dentro la realtà.”
Da ragazzo non capivo la prima strofa, onestamente non la capivo. Ora, dopo più di mezzo secolo di pertinenza su questo pianeta, la comprendo molto meglio. Quel “non riesco a vivere” è proprio questo sentirsi “un disastro” e intanto dover vivere, perché come dice Marco molto lucidamente, dobbiamo lavorare, magari abbiamo dei figli, e comunque siamo innestati in una rete di relazioni.
Personalmente, sentire Marco dire “io sono un disastro” mi ha fatto respirare, finalmente. Cioè, lo posso dire? Non devo tenerlo nascosto? Si può dire, dunque si può dare a questo pensiero dignità di esistenza? E’ bellissimo, è il primo passo per lavorarci. Un disagio, già con il riconoscerlo, senza drammi e senza diminuzioni – già questo provoca un primo senso di sollievo. Sono grato a Marco per rimanere sempre in questo estremo realismo, per ripartire sempre da questo scabroso e benefico realismo.
Il passo successivo è quello di iniziare a disarticolare questa connessione, disidentificarsi, fino a dire “io penso che sono un disastro”, e questo capisco che ha a che vedere con la pratica. Qui parte, riparte sempre, un cammino possibile a tutti, possibile perfino a me, che sono “un disastro”.
E uno magari scopre pure degli scampoli di gioia, in questo lavoro.
Come se si fosse posto all’opera, in un’opera, benedetta nell’Universo.
Grazie.
Ma perché ci viene nascosto il significato della parola del vangelo e già qui dobbiamo chiederci perché ci deve essere qualcuno che c’è lo spiega?
Grazie, caro Marco, sì ripartire sempre da capo dalla realtà più scabra, e a volte anche pesante, credo sia il requisito fondamentale di un lavoro interiore efficace. Un abbraccio. Marco
Cara Clara, non penso che nessuno ci nasconda nulla, è che ogni autentica sapienza può essere compresa a diversi livelli. Gesù perciò parlava spesso in parabole, che poi spiegava solo ad alcuni….. ciao. Marco
Cristo è morto per gli empi, dice Paolo … e c’è da fidarsi visto che era un assassino.
Ho chiamato i miei figli Pietro e Davide … perché il primo era un assassino traditore ed il secondo un adultero assassino …
Spero che nei giorni bui negli inferi, che auguro di cuore ai miei figli, il ricordo di questi uomini, da cui traggono il nome, sia di conforto.