Sono ormai passati 50 anni dalla missione Apollo 11, dall’allunaggio e la prima discesa di un essere umano sulla superficie della Luna. Un’impresa storica, compiuta con enormi sforzi economici e umani (erano gli anni della guerra fredda e della “corsa allo spazio”), anche se con tecnologie molto meno potenti di quelle che oggi sono alla portata di tutti con uno smartphone. Ma che cosa ha significato e cosa significa ancora oggi questo evento che ha entusiasmato e suggestionato non solo gli uomini di allora (basti pensare al fascino che esercitò l’esplorazione spaziale sul cinema o sulla musica psichedelica) ma anche le generazioni successive?
Da un lato certamente questa è stata, come si ripete spesso, un’impresa eroica dell’uomo, un trionfo (quasi prometeico) delle sue capacità tecniche, della sua genialità e della sua capacità si superare ogni limite, di spingersi sempre oltre, raggiungendo ciò che prima poteva essere soltanto una fantasia letteraria. Un’impresa tanto eroica, questa, da poter essere paragonata alla scoperta del Nuovo Mondo, con i grandi navigatori del ‘400 e del ‘500, oppure addirittura alla prima fuoriuscita dei nostri antenati dal continente africano, circa 70.000 anni fa. Insomma, come disse Armstrong, «un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità».
Eppure c’è da considerare anche un altro aspetto di questo trionfo tecnico e spirituale del genere umano, che è quello “simbolico”. Con la conquista della Luna si compie un nuovo, fondamentale passo lungo quel cammino di conoscenza scientifica del cosmo che era iniziato idealmente con le osservazioni astronomiche di Galileo Galilei, e che prosegue fino ai lanci del telescopio Hubble nello spazio profondo e fino alle esplorazioni di Saturno, e così via. Questo processo, che non a caso inizia proprio con l’inizio dell’epoca moderna, ha portato con sé però anche una carica dirompente di distruzione di antiche visioni del mondo. Quando Galilei compie le sue scoperte infatti, decreta in maniera definitiva e ormai evidente che la Terra non è più il centro dell’universo ma un pianeta fra gli altri, e che quindi non c’è più alcuna differenza sostanziale fra il nostro pianeta e gli altri (sono tutti dei “sassi” che vagano nell’infinito), e cioè nessuna differenza fra la Terra e il Cielo. Ecco perché il Galielo di Brehct esclama, fra sgomento ed entusiasmo: «oggi, 10 gennaio 1610, l’umanità scrive nel suo diario: abolito il cielo!». Le conseguenze di questo passaggio cruciale non sono solo nella ricerca scientifica, ma nella crisi di una visione del mondo, che a sua volta mette in crisi l’organizzazione umana della società. Se non c’è più il Cielo e la Terra, non c’è più neanche un sopra e un sotto, non c’è più un centro stabile e fisso delle cose, e tutto inizia a vacillare: le nostre idee del mondo e le nostre sicurezze ma anche le organizzazioni sociali basate su un Centro (la Chiesa, che proprio nello stesso periodo vive una frattura, a partire dalla riforma di Lutero; ma anche lo Stato, la ripartizione delle classi sociali, e così via). È per questo che la modernità diventa il tempo degli sconvolgimenti e delle rivoluzioni, il tempo in cui tutto ciò che pretende di stare al centro crolla o viene travolto dalla storia.
Ciò che nasce idealmente con Galileo (ma, in realtà, aveva già iniziato a manifestarsi da un paio di secoli, con la nascita di una sensibilità umanistica) è la coscienza moderna, una coscienza che vuole finalmente scoprire la verità delle cose, che vuole andare oltre principio di autorità e porre il proprio Io al di sopra della tradizione, per la propria capacità di scoprire il nuovo, di poter svelare nuove verità superando di volta in volta le illusioni e i limiti del passato. È questa coscienza moderna, con il suo spirito travolgente, che trionfa il 20 luglio del 1969, portando finalmente un uomo sulla Luna e potendo toccare con mano ciò che Galileo aveva potuto soltanto osservare attraverso le lenti di un cannocchiale: la Luna, quella Luna su cui si era tanto fantasticato, quella Luna che per tanto tempo era stata creduta il lume notturno degli uomini, o un corpo celeste fatto di etere, e l’interlocutrice notturna dei poeti – questa Luna non è nient’altro che un sasso come la Terra, un satellite che ci gira intorno, e prima o poi lo conquisteremo.
In effetti la superficie della Luna, mostrata con crudo realismo dalle telecamere, sembra soltanto un deserto brullo e arido, senza niente di speciale, e la stessa Terra, vista per la prima volta da un altro corpo celeste appare proprio una “palla da biliardo” che ruota e vaga in un abisso di oscurità e di silenzio. Questa è la Verità che l’uomo moderno sente di aver finalmente svelato con la forza della ragione e della tecnica. Ma a questo punto mi sembra interessante considerare il punto di vista di un grande poeta, che ebbe la fortuna, pochi mesi prima di morire, di vedere in diretta lo spettacolo del primo uomo sulla Luna. Mi riferisco ad Ungaretti, che fece una dichiarazione molto interessante per interpretare questo evento: «non è vero che il mistero si diradi; il mistero si infittisce sempre di più, anche dopo lo sbarco sulla luna, anche dopo altre scoperte scientifiche…».
Per Ungaretti insomma (e bisogna valutare se le sue parole siano state veramente profetiche) il 20 luglio del ’69 segna non tanto una “conquista” dell’uomo ma l’apertura di una porta verso l’ignoto. Aveva anche scritto, tre anni prima, in un suo saggio, che «le cose diventano più segrete via via che i mezzi della conoscenza avanzano», arrivando ad affermare un paradosso: «il sapere degli uomini aumenta il segreto…».
Ma che cosa significa questo? Da un lato, è storicamente vero che la conquista dello spazio ci ha aperto e ci sta aprendo ancora a nuovi interrogativi sulla possibilità di una vita anche al di fuori del nostro pianeta, e a nuovi enigmi circa la natura stessa del cosmo, se pensiamo che ancora oggi si stima che più del 90% della materia e dell’energia dell’universo siano “oscuri”, e cioè energia e materia di cui si ignora quasi completamente la natura. Dall’altro lato però la frase di Ungaretti ci dice qualcosa di essenziale – e di profetico – proprio sul procedere della conoscenza dell’uomo: “il sapere degli uomini aumenta il segreto” significa che più la conoscenza dell’uomo procede e più l’uomo scopre nuove aree di non conoscenza. Non solo, ma viene anche posto di fronte a nuovi scenari che lo portano a criticare le premesse stesse da cui era partito, viene posto di fronte a nuovi enigmi che per essere risolti richiedono un vero e proprio salto di coscienza, una trasformazione dello sguardo che osserva e conosce. Per questo può sembrare che, nel Novecento, si arrivi a una sorta di “crisi dei fondamenti”, in tutti i campi della conoscenza: l’a-tomo non è più una componente indivisibile, ma, al contrario, come spiega bene Fritjof Capra, si scopre formato a sua volta da numerose componenti, le quali, se studiate a fondo, non possono più essere considerate come componenti fondamentali, ma come relazioni, come scambi potenziali di energia. Sempre nella sfera della fisica quantistica si è scoperto anche che la materia è costituita da atomi che sono per il 99,9% costituiti da spazio vuoto, oppure che non è possibile un’osservazione puramente oggettiva e neutrale dei fenomeni, fino ad arrivare ad affermare che ogni fenomeno non solo è influenzato dalla relazione con l’osservatore, ma che in un certo senso esiste solo in quanto è osservato (non ha più alcun senso dire che un oggetto o fenomeno esiste per sé stesso, come realtà oggettiva ed esterna), e perciò si può dire che è creato nell’atto stesso dell’osservarlo. Questi studi segnano una discontinuità talmente forte e profonda che «le nozioni tradizionali di tempo, spazio, materia, particella, causalità, determinazione e separabilità si sono rivelate adeguate soltanto per una piccola parte dell’universo» (Mauro Ceruti, Evoluzione senza fondamenti)., e cioè quella delle misure “medie”, le dimensioni umane, ma totalmente inadeguate per studiare il cosmo o l’essenza della materia. Anche la biologia evoluzionista supera nel Novecento l’impostazione positivistica che gli aveva conferito Darwin, andando oltre l’idea del determinismo (la spiegazione dei passaggi evolutivi come qualcosa di “necessario” e la possibilità di prevedere gli sviluppi futuri), arrivando ad affermare che, se consideriamo la storia della vita biologica come un film che si può “riavvolgere” e far ripartire, allora «ogni ripetizione del film condurrebbe l’evoluzione su una via radicalmente diversa da quella intrapresa in realtà».
Ecco cosa significa che “il sapere degli uomini aumenta il segreto”. C’è un verso di Ungaretti, delle Apocalissi, che mi pare sintetizzare bene tutto questo processo, che dice: «La verità per crescita di buio». La verità, nel Novecento, cresce con il crescere del buio, cresce rivelando sempre nuovi enigmi, lasciando aperta la porta all’imponderabile, scoprendo sempre spazi più ampi di quelli che la nostra mente chiusa nel suo razionalismo è capace di immaginare.
Questo può significare e può ricordarci, oggi, l’allunaggio del ’69: che l’avventura dell’uomo moderno, lungi dal raggiungere verità verificabili o certezze definitive, è destinata ad aprire scenari sempre più sconvolgenti, che aprendosi alla conoscenza del mistero dell’universo ci aiutino a svelare anche chi è l’uomo. Cinquant’anni fa è iniziato un processo che possiamo vivere come un grande salto di coscienza, una dilatazione della nostra immaginazione che ci porti, ancora una volta, a lasciar sgretolare tutte le false certezze, i falsi “centri” del nostro essere, per aprirci a nuove visioni, a riscoprire il mistero del cosmo e dell’essere umano.
Non crolleranno, ancora una volta, le strutture basate su un fondamento non più (scientificamente) sostenibile e credibile, lasciando emergere una nuova coscienza? Non ci porterà questo passaggio, ancora una volta, a insorgere contro tutte le visioni e del mondo che vogliono ridurre l’uomo a un essere qualunque, e la Terra a un semplice puntino insignificante?
Caro Andrea, in questo bell’articolo, tu dici, “ancora oggi si stima che più del 90% della materia e dell’energia dell’universo siano “oscuri”, e cioè energia e materia di cui si ignora quasi completamente la natura” e sei anche prudente nella valutazione, perché alcuni autori arrivano a circa il 95% per il computo “materia+ energia oscura”.
Vorrei articolare due pensieri su questo, scusandomi se espando questo punto, spero non a danno dell’argomento Luna, altrettanto affascinante.
Lo vorrei fare, perché questo è veramente interessante, personalmente lo considero un dato quasi emozionante, in quanto (ma tu già lo dici bene, essenzialmente ora lo ripeto a parole mie) è come se la volontà di “possesso” sul cosmo (e la comprensione puramente intellettuale è appunto un “afferrare” spesso senza rispetto per l’oggetto che si afferra) venisse fiaccata dallo stesso progresso scientifico che ci ha portato all’illusione di “possedere” il mondo universo.
Invece l’universo si ritrae, lascia sempre spazio per qualcosa di inafferrabile, di irriducibile – e ogni conquista, come dice bene Ungaretti, aumenta il mistero.
Siamo fortunati, al giorno d’oggi. Basterebbe adeguarsi al dato scientifico, ascoltarlo davvero – anche il più sobrio e più arido possibile, senza indulgere in speculazioni filosofiche – per essere invasi dalla meraviglia. Sì, la meraviglia! Non ci pensiamo mai, al fatto che tutto quello che vediamo e tocchiamo, può essere parte appena di quello scarso 5% del reale, e che c’è dunque molto di più, immensamente di più? Che vertigine a pensarci davvero! E ancora, quante cose non sappiamo di questo cinque-per-cento, quanto ne ignoriamo ancora.
Dobbiamo essere grati alla scienza di questi anni, che lascia intravedere l’ordito di qualcosa di più grande di lei, se non altro fermandosi onestamente al “non so dirlo”. Quanta umiltà potremmo succhiare da questo “non so dirlo” riferito al 95% del cosmo! Un cosmologo onesto, di fronte alla domanda basilare, “di cosa è composto il cosmo?” dopo anni ed anni di studi, deve dire oggi “la migliore risposta, è che non lo so per la quasi totalità” (sto semplificando, ci sono mille e mille teorie in lavorazione, non ci siamo affatto arresi – ma non sto che dicendo la verità).
Il fatto è che noi ci dimentichiamo, usualmente interveniamo nel mondo guidati dal nostro piccolo io, che non sopporta, semplicemente non sopporta, di ammettere la propria parzialità di visione, la propria fondamentale ignoranza. Per il piccoli io (lo so bene, basta che mi osservo) tutto è noioso, tutto è già saputo, è già noto, è prevedibile, è scontato.
Invece, è scientificamente provato, non sappiamo proprio un bel nulla.
Ma la cosa è anche più articolata di così. Allo stesso tempo, è questa l’epoca dove finalmente, e per la prima volta, possediamo un modello di universo che non sia mitico, ma propriamente scientifico. Abbiamo una mappa, per la prima volta, una teoria che descrive il tutto. Anche se ha vastissime zone in cui riporta la antica frase “hic sunt leones”.
Forse il messaggio fondamentale che oggi ci arriva dal cosmo (su cui possiamo lavorare), è che non si monti in superbia. E con il 95% di tutto che non si sa cosa sia, difficile proprio farsi prendere dalla superbia. Difficile ripetere l’errore ottocentesco, di pensare di aver capito quasi tutto, del mondo (e quindi, di come sfruttarlo).
Una difficoltà, oserei dire, realmente benedetta.
In quell’anno avevo 18 anni, ricordo un tema fatto a scuola, lo ricordo bene perché è stato l’unico tema in cui avevo preso un buon voto: avevo paragonato la conquista dello spazio alla conquista delle nostre coscienze. Avevo scritto: ci riusciremo o ricadremo negli antichi vizi.
Però, allo stesso tempo, confusamente, percepivo l’ambiguità dell’esaltazione emotiva di quei giorni; quando vedevo quell’immenso missile lentissimamente alzarsi nel cielo, sollevando una enorme nuvola di fumo, non riuscivo a non pensare che quel fumo era gettato nei nostri occhi.
Scusami Andrea se sono andato fuori tema, ma credo solo in parte.
Un caro saluto
Come Aldo, ricordo anch’io miei 19 anni, appena superati gli esami di maturità . Mi trovavo sul Sentiero delle Orobie, presso il Rifugio F.lli Calvi con un coetaneo , quando il telegionale della sera diede notizia dell’allunaggio. Ricordo l’evento ma non tanto l’emozione. Presi entrambi dai preparativi, per l’indomani, quando avremmo tentato la vetta del Pizzo del Diavolo, i nostri primi 3000 mt, raggiunti i quali , avvolti nella nebbia, smarrimmo i segnavia per la discesa tra rocce infide. Abbiamo rischiato la vita, forse più noi , di chi stava facendo una passeggiata sulla luna. Grazie comunque a chiunque ha cuore per affrontare ogni avventura della vita, sulla terra, nello spazio , ma soprattutto dentro di noi.
Grazie Andrea che hai risvegliato i miei sogni, agli inizi del mio confronto con la vita seria e tosta, quando ancora si cantava ” che sarà, che sarà che saràaaa , che sarà della mia vita che saràaaa …so far tutto e forse niente, ma domani si vedrà… Da allora ho sempre cercato anch’io l’Indispensabile, che non mi pare pero, si trovi sulla luna !
Carissimi saluti anche a Marco , cercatore dell’indispensabile tra le stelle….vedi mai che forse …..ciao a tutti.
Ivano
In quell’anno avevo 16 anni, ( oso continuare sul filo autobiografico) ero in colonia sull’altipiano di Asiago e movevo i miei primi passi sul pianeta educazione…ero concentrata sulla mia ‘impresa storica’ e non riuscivo a partecipare all’entusiasmo collettivo. Il crudo realismo delle immagini della superficie lunare non riusciva a distruggere la mia poesia: contavo la durata dei miei amori con l’apparire della luna… sentivo il mio corpo agganciato alle fasi lunari…e ancora oggi mi consiglia i lavori nell’orto …
Ieri come oggi mi riconosco nelle parole di Ungaretti : il sapere degli uomini aumenta il segreto!
Torno sull’allunaggio del 1969. Un evento che oltre ad aver fatto scattare in me un “selfie” di memoria che mi ritraeva la dove mi trovavo quel giorno, mi riporta ora su quel punto del Post di Andrea che getta una luce sulla nostra coscienza moderna , con quell’assioma apparentemente oscuro di Ungaretti “ La verità per crescita di buio “ .
Ad ogni nuova scoperta astrofisica o di altra natura scientifica, l’essere umano può oggi comprendere che più utilizza l’osservazione oggettiva e scientifica per accendere delle luci di verità, più scopre che il buio dell’ancora inconosciuto gli si ripresenta ancora più misterioso
Gli scienziati però non mollano…insisteranno sempre ad indagare il mistero infinito della vita fino al giorno che cadranno in ginocchio e in adorazione per aver visto il tutto dell’Universo, ovvero Dio, nel suo più vero volto .
E l’esperienza del sommo poeta nel XXXIII canto del Paradiso, la dove scopre che Dio ha le fattezze di un volto umano, perché vi riconosce , tutto tremante, il suo stesso volto.
Riferendo dei tre cerchi tinitari nei quali poneva tutta la sua attenzione oggettiva, scopre la fisica quantistica , poiché s’accorge che sta influenzando – con la sua relazione desiderosa e infiammata d’amore – ciò che sta osservando : “ Quella circulazion che si concetta, parea in sé come lume reflesso, dentro di sé, del suo colore stesso, parvemi pinta de la nostra effige “
Cioè :è solo il poeta che può scoprire il mistero, che sa fare luce senza aumentare il buio , non lo scienziato funzionale ai desideri dei poteri economici e militari che mentre accende una luce sul mondo, aumenta il buio in modo inquietante. Penso, che l’essere umano possa scoprire dell’intero universo, solo ciò che è capace di desiderare con cuore puro, mai ciò di cui vuole appropriarsi.
Così, tornando alla nostra luna , cosa vogliamo scoprire di essa ? Chè è un satellite naturale che segue la rotta della Terra come ha sempre fatto, o magari che la luna è simile ad una sorella che collabora di notte a dare una mano alla sorella maggiore che tiene una famiglia numerosa su questa Terra ? Cosa vogliamo vedere, pensare, sorridere, amare ?
Per i militari di questo mondo, sarà una base di appoggio per la conquista dello spazio più lontano.
Per gli scienziati che lavorano per i militari, sarà oggetto di indagini e di campioni da esaminare.
Per me invece, è la mia Luna ! Quella che canto con i miei nipotini quando insieme guardiamo la luna che gli spiego, è quella degli Alpini, perché ovunque essi vanno marciando di notte, la luna li segue sempre, come una dolce mamma che non li abbandona mai , così insieme cantiamo meravigliati e con tono sommesso ; “ Guarda la luna come la cammina… e la scavalca i monti come noi altri alpin… ohi si, si cara mamma nooo…senza alpini come faròoo !”
Così mi pare di aver capito che più che la luce del MODERNO SAPERE che accende anche il buio, è la più ANTICA SAPIENZA che ci appaga illuminando , apposta per noi, solo ciò che crediamo e più amiamo. Dunque il problema è imparare ad amare e di questo, qualcosa lo possiamo imparare anche nei gruppi Darsi Pace.
Buon allunaggio a tutti, sulla propria luna.
Ivano
Caro Ivano,
nel tuo interessante commento, scrivi “è solo il poeta che può scoprire il mistero, che sa fare luce senza aumentare il buio, non lo scienziato funzionale ai desideri dei poteri economici e militari che mentre accende una luce sul mondo, aumenta il buio in modo inquietante.”
Certamente capisco e non contesto il senso di quanto scrivi, tuttavia sento anche che si può prestare a qualche fraintendimento, certamente non voluto da te. Penso si debba evitare di porre scienza e poesia su piani diversi, soprattutto in questo secolo, che sta sperimentando una inedita congiunzione virtuosa dei vari approcci alla comprensione del mondo (e di cui Darsi Pace è efficacie testimonianza nel suo procedere teorico e nella prassi dei corsi).
La cosa veramente emozionante e salutare è che stanno saltando tutti i vecchi schemi, una nuova cosmologia “morbida” sta sorgendo, per la quale una alleanza con il pensiero poetico è non solo utile, ma necessaria, al progresso dell’avventura umana. La nuova scienza è umile, consapevole di quanto non conosce, e in questa umiltà naturalmente si intreccia con il sentire poetico ricercando nuove e stimolanti alleanze. In AltraScienza ci occupiamo proprio di questo, e per la verità il campo è ormai aperto e sono molti gli stimoli in questo senso.
Il resto, la separazione tra cultura umanistica e scientifica, con inaridimento (garantito) reciproco, è già visto, già esplorato, già concluso. La scienza vera è ben altro che asservimento al potere, tanto che i veri scienziati sono quasi sempre scomodi, per lo status quo. Lo scienziato vero è aperto alla meraviglia, legge il cosmo come un libro di inesausta bellezza. Esattamente come il poeta.
Quello che potranno fare insieme, per loro stessi e per tutti noi, lo abbiamo solo iniziato a vedere.
Ma già ci piace.
Un caro saluto!
Grazie Marco per il tuo aggiustamento a redenzione fraterna del mio errore. In effetti ho descritto una separazione drastica tra scienza e poesia che non rispetta quel principio della integrazione che è strutturale al lavoro di Darsi Pace. Affermare una cosa che percepiamo come importante e per noi vera, per contrapposizione ad un’altra, è la solita vecchia e logora logica dell’ego che separa, invece di ascoltare, approfondire, integrare. La nuova scienza che tu incarni non è certamente quella che ho descritta come asservita ai poteri dei militari . Tendenzialmente, sparo sempre a zero sulle cose che odio, ed esalto quelle che amo, poi ci rifletto sopra e cerco di curarmi . Trovo sempre molto preziosi i tuoi commenti che trovo su Facebook , e sul presente sito e ti ringrazio.
Un caro saluto anche a te, buona estate.
Ivano
Grazie a te, caro Ivano. La tua disponibilità morbida alla “correzione” (che poi è solo una modesta proposta di aggiustare il tiro, insieme) è per me un insegnamento, credimi. Grazie anche per le belle cose che mi dici sui miei interventi su Facebook e sul sito DP!
E’ vero che esiste una “vecchia scienza” che è l’espressione di vecchi modi di vedere il mondo, essenzialmente egoico-bellici. Questa non è mai morta e non lo sarà mai, perché corrisponde ad una modalità possibile di atteggiamento verso il reale, quella che cerchiamo pazientemente di superare, ricadendoci sempre e sempre, per poi uscirne di nuovo, e respirare. Tuttavia, come il post di Andrea fa ben capire, si affaccia da tempo, sempre più convinta, una modalità diversa, che è sostanzialmente “amica” della poesia: amica, perché compagna di cammino (in questo approccio integrato e indivisibile).
La scienza nuova ha il fascino di un bimbo curioso del mondo e delle sue meraviglie (così non mancano esempi, anche nel mondo della scuola, mi permetto qui di rimandare all’esperienza che conosco direttamente, consapevole che ne esistono molte altre, http://blog.marcocastellani.me/2019/06/la-vera-stella-che-vuoi-essere.html), un bimbo più interessato al mondo come sorgente di stupore, che come possibilità di possesso.
Mi piace tantissimo la frase di Thomas Berry, riportata nel Tao della Liberazione (e sono molto grato a Marco Guzzi per avermi portato a questo libro, che ha capitoli fenomenali sulla nuova cosmologia),
“A noi non mancano le forze dinamiche necessarie per costruire il futuro. Viviamo immersi in un oceano di energia inimmaginabile. Ma questa energia, in definitiva, è nostra non per dominio, ma per invocazione”
Qui dentro c’è tutto. L’oceano di energia, ci spinge a volerlo conoscere. Ma a differenza di un tempo, lo scienziato deve mettersi in ginocchio, alla fine. Lasciarsi invadere da questa energia, non tentare di possederla. Farsi trasformare, non trasformarla. Un moto certamente più femminile, rispetto alla volontà di dominio e manipolazione tipica di un maschile non “educato” alla convivenza e allo scambio con “l’altra metà del cielo”.
Come scriveva anche Etty Hillesum nei suoi diari (tra quei testi che, come Guzzi ben ci ricorda, esulano allegramente dalla divisione in generi, evidenza di quel superamento dei confini che riguarda anche la scienza e l’arte poetica), quel bisogno di mettersi in ginocchio che è dello scienziato, del poeta, dell’uomo e della donna, insomma, che desiderano vivere davvero.
Grazie, un augurio di buona estate.
Bell’ estratto e belle riflessioni…..in fondo più si sa e più si capisce di sapere poco!
Si, altro bello spunto per capire anche l’ importanza di conoscere me stesso, “navicella spaziale” che mi potrebbe far poi connnettere al mistero della “Sternen Zelt”,la tenda di stelle sopra di noi, come Schiller fa cantare nella IX di Beethoven.
Grazie tanto