Siamo abituati a vivere immersi in un mondo di parole spesso nocive, ostili o anche monotone. Parole che vengono da molti luoghi e contesti, ma che plasmano quotidianamente e continuamente il nostro sentire, ossia il Senso entro cui facciamo esperienza di tutte le cose e della vita stessa.
Parole smorte e inerti creano quindi un mondo morto e inerte. Parole di vita al contrario generano un mondo vivente e profondamente affascinante.
Questa è la prima lezione da reimparare: le parole fanno mondo.
A seconda dei discorsi e dei sistemi di parole cui prestiamo ascolto, avremo una forma incarnata del mondo piuttosto che un’altra. Le parole danno Senso, sono il Senso del nostro stesso esistere.
Tutto allora dipende da quali parole vogliamo ascoltare.
In generale oggi il cuore umano ha molta sete, perché viviamo in un tempo desertico. L’Universo stesso sembra oggi chiedere nei nostri cuori un Senso che pare ovunque gravemente mancante, pesantemente e terribilmente assente. Il nostro tempo storico è perciò molto grave, molto difficile da sopportare.
Occorre così andare alla ricerca di uno Sguardo poetico, più profondo di questo grigiore svuotante che troviamo ormai in tutti i luoghi fondamentali della vita. Avere il coraggio di perlustrare i più intimi fondali della nostra esistenza ci potrebbe persino riservare una sorpresa: che cioè il nostro tempo è così grave proprio perché in realtà è gravido di una Parola ancora non detta.
Se ci ascoltiamo più attentamente e se in noi stessi facciamo più silenzio dalle tante parole vuote e consunte che ci girano per la testa, potremmo sentire che sotto sotto tutti noi siamo in attesa di una Parola nuova, sconvolgente, risanante. Una Parola in-attesa appunto, che nella nostra alienazione quotidiana non ci aspetteremmo mai di ricevere.
Cominciamo allora col ridirci qualcosa che tendiamo spesso a dimenticare: l’uomo vive sempre cercando un Senso che vada oltre il mondo così com’è. L’uomo cerca un Oltre nelle cose stesse, aspira costantemente e disperatamente ad andare oltre di sé assieme al mondo in cui abita. Ma come avviene questo? Come accade che a noi si riveli un Senso ultimo nelle cose?
Ciò avviene quando ci accorgiamo che le cose stesse parlano, quando esse ci parlano, proprio a noi, nella nostra misteriosa e presente esperienza di vita. Solo se ascoltiamo questo parlarci vivente della realtà (che spesso crediamo essere un semplice insieme di “oggetti” inerti) possiamo dire di aver ricevuto un Senso autentico.
La Parola in-attesa è l’esperienza di Senso, ossia di pienezza, di bellezza e di vita, che abbiamo del mondo e di noi stessi quando ci mettiamo in ascolto fiducioso e più profondo del nostro stesso esistere, del nostro essere al mondo. È forse questa l’esperienza straordinaria e rigenerante che l’intera umanità attende al culmine di questa lunga notte, di questo mutismo sonnambolico dello spirito, che negli ultimi decenni si è fatto epidemico nei sistemi di pensiero dominanti? È proprio da parole forti, decisive e sempre verdi che il mondo può oggi ricominciare a fiorire, al di là della mercificazione quotidiana dell’umano, della povertà mentale e spirituale che ci circonda (dalla politica alla scuola, dalle relazioni alla cultura ufficiale)? Se sì, da quali parole ricominciare? Da quali orizzonti di verità e di spiritualità?
In questo evento in due parti, che abbiamo realizzato col gruppo Humus tra aprile e maggio scorso, tentiamo di porci domande brucianti come queste, per comprendere un po’ meglio il ruolo essenziale che ha per noi umani il fatto stesso che parliamo, il fatto misterioso che ci sia dato quello che Heidegger chiamò il tesoro della parola.
Tutti i poeti e sapienti più illuminati ci ricordano che nei grandi momenti storici di passaggio è innanzitutto nel linguaggio che si affaccia la nuova forma del mondo. Nel travaglio incarnato del nostro parlare ha luogo il parto che dà alla luce il tempo non ancora venuto, l’umanità nascente dentro di noi. Imparare a vivere nel XXI secolo significa pertanto imparare a partecipare a questo meraviglioso processo di trasmutazione cosmica nel nostro stesso corpo-mente: la trans-formazione del mondo-linguaggio che insiste giorno dopo giorno nel silenzio operativo della vita, nell’ordine invisibile delle cose.
Buon ascolto!
È possibile ascoltare la seconda parte cliccando qui.
Grazie ragazzi e complimenti accorati per il vostro impegno e il vostro studio. Siete anche molto bravi a spiegare cose molto sottili e perciò non facili.
Non sono con voi fisicamente (e anagraficamente), lo sono spiritualmente… Walter
Mi avete trasmesso in modo organico tante parti che anche io sento ormai indispensabili. Parole che almeno si esprimano e siano ascoltate nel qui ed ora che stiamo vivendo insieme. Quante volte ormai capita che tu stai dicendo una cosa ma l altro ti ha gia’ interrotto per associarlo a un altra esperienza sua o di altri già vissuta. È difficile stare insieme…perciò grazie per l esempio che ci avete dato nel lasciar che uno parlasse e gli altri ascoltassero fino in fondo…È difficile qd la parola che ti viene detta non corrisponde e tu scegli di morire anziché reagire subito. Poi magari dopo un po’ di silenzio ci torni su e riesprimi quello che volevi dire con parole più precise.
E l altro capisce.
Tanti modi da ritrovare per dare più senso come voi dite bene…
Grazie
Bravissimi, puntuali precisi efficaci, avete rianimato in me il profondo senso della parola e rinvigorito la volontà di avere cura delle parole che pronuncio e di quelle che ascolto…”le parole fanno mondo”
Un silenzio da cui fiorisca la parola, bene-detta.
La parola può proprio essere il fiore che torna a sbocciare all’alba, dopo il crepuscolo dell’Occidente e la sua notte.
Parola espressione della coscienza di ogni persona e del suo essere, declinata nelle singole storie personali e nelle molteplici culture.
Parola che viene dopo il silenziamento delle proprie maschere, nel silenzio disteso del proprio essere, in stile mariano.
Nei termini proposti dalla poesia di Holderlin, giustamente letta in tedesco.
Parola che vuole uscire, che cerca il “senso” perchè crede che la vita ha un senso.
E ce l’ha per chi decide di darglielo, per chi decide di essere libero e quindi creativo, perchè la parola è potente e crea mondo.
Daria parla a cuore nudo invitandoci così al coraggio di esporsi, in relazione vera, per conoscere se stessi conoscendo un po’ anche l’altro.
Daria, Luca, Fabio, e gli amici di “Humus”, voi siete già inizio di realizzazione di quanto avete rappresentato con le parole, perchè sono “verbum” e “logos”, e colorate di emozioni, di cardiacità.
“Trans-formazione” del “mondo-linguaggio”, come dice Luca, è sfida meravigliosa, è intrinseca al percorso iniziatico di “DarsiPace”, e riguarda tutti i nostri gruppi di cratività culturale.
E ciascuno di noi può dare un contributo prezioso, cominciando a mettersi nella postura giusta che dia spazio a quel silenzio che è “gravido di parole in-attese”.
Grazie per il vostro lavorare sodo ed entusiasiasmante, GianCarlo
Grazie…e applausi, in silenzio…sí, anche io concordo ( e da tempo sperimento) che silenziarsi è il primo, indispensabile passo da fare perchè le parole possano dirci qualcosa di vero, per noi: ossia, possano coincidere nei pensieri, emozioni e visioni, e così comunicandoli creare relazioni di senso. Necessita ritrovare una verginità della parola, nell’ ascoltarla prima e nel pronunciarla poi. E perchè possa accadere questo é essenziale un nostro percorso di purificazione … come sa chi lo sperimenta ( in Darsi Pace o altrove)
senza il quale è come lavare I panni con l’acqua sporca! Inoltre, il tempo che viviamo all’insegna del consumo di tutto …e quindi, per primo, delle parole e delle immagini a loro attribuite … ci chiede con più urgenza la loro selezione: é vero, scegliere cosa mangiare; quale cibo davvero nutre e quale solo in apparenza, e anche quale cuoco lo prepara! Visto che oggi anche lui é diventato una star!
M’interessa anche il rapporto tra parola e immagine: quali corrispondenze?
Se noi intendiamo per parola, I segni dei rispettivi alfabeti del mondo, come si relazionano alle stesse cose, pur pronunciando segni diversi?
Se un abitante di un villaggio giapponese e uno italiano vedono acqua, entrambi la riconoscono anche senza esprimerla a parole ( con le quali invece non la riconoscerebbero) e quindi essa esiste anche senza il nominarla, e possono berla!
Ma, se non é presente, e bisogna chiederla, allora sì entra in campo la convenzione della parola!
Perchè in questo senso, anche le parole che usiamo sono convenzioni, come le ore, I calendari e oggi I disegnini su w.app! Ma la Parola, quella che sotto intendono I Poeti, I Profeti, I Sapienti dove si trova, nelle cose che vediamo?
Saluti cari. Brunella