Trovare la forza dentro di noi per intraprendere azioni di trasformazione autentiche della realtà in cui viviamo è l’atto rivoluzionario.
Il grande pericolo infatti è quello di venire risucchiati e assorbiti da una accettazione passiva di questo sistema di mondo che sta andando verso la catastrofe. Conformismo rassegnato, magari colorito di sprazzi radical chic di denuncia del neoliberismo, di disimpegni per l’ambiente, di buoni propositi per l’anno venturo.
Dall’altro lato invece il rischio che corriamo consiste nell’isolamento, nel ritiro difensivo rispetto alle correnti caotiche del nuovo mondo. Vorremmo proteggerci ritirando la nostra spinta vitale, ancorandoci a delle certezze che tuttavia, prima o poi, verranno comunque a crollare anch’esse.
L’unica via di uscita risiede in una rivoluzione integrale delle dimensioni costitutive della nostra esistenza:
Scrive Alberto Melucci:
“I problemi del mondo sembrano così enormi, così irraggiungibili e la nostra possibilità di intervenire su di essi così minima, che siamo assaliti spesso dal senso di impotenza e dalla tentazione di rinunciare.
Ma dire che oggi il mondo dipende dalle decisioni e dalle scelte di ciascuno, non è solo una frase a effetto. Il fatto che viviamo in una realtà così interdipendente, che ci lega così fortemente gli uni agli altri, fa sì che il cambiamento possa nascere in qualunque punto.
È una questione che ha rilievo politico, nel senso più forte che questa parola contiene nella sua stessa radice. È una questione che riguarda la polis, la comunità di cui facciamo parte. Oggi la polis non è più soltanto la città, la regione o la nazione. Occuparsi di sé nel senso di rispondere alla domanda “Chi sono io?” in modo responsabile, sviluppando la propria capacità di agire e scegliere, vuol dire oggi anche occuparsi del mondo”1.
Abbiamo una responsabilità storica perciò come generazione di attivarci in modo inedito e nuovo per un cambiamento radicale nella direzione evolutiva della nostra civiltà. Viviamo in un mondo depresso, che sta instillando quotidianamente il germe del nichilismo, del riduzionismo e dell’indifferenza nelle giovani generazioni; che ammala le nostre menti e i nostri corpi senza il minimo scrupolo; che vende i nostri dati per proporci beni di consumo ormai pensati e tagliati esattamente su misura, facendosi beffe di ogni rispetto per il consumatore e per il cittadino.
Il limite di sostenibilità lo abbiamo già varcato, e quindi ogni attimo, ogni situazione divengono ricolmi di ansia e di preoccupazione spesso inconsce perché sentiamo di stare esaurendo il tempo a nostra disposizione.
La rivoluzione, come svolta antropologica collettiva verso una nuova forma di esistenza e di organizzazione sociale, è il destino salvifico della nostra specie. Non può essere arrestata, perché è dentro ciascuno di noi come progetto genetico oramai, come unica possibilità di vita.
Sta a noi decidere come e quando realizzarla, sperando solo che non sia troppo tardi. Ecco l’Indispensabile è dare voce, dare corpo, dare anima all’unica cosa che conta, questa fioritura rivoluzionaria dell’umano. Questa speranza di procreare un mondo non più fondato sulla competizione e sul profitto e sulla distruzione dell’altro e dell’ecosistema, ma sulla crescita reciproca, sulla salvaguardia delle degli esseri, e sulla crescita materiale e spirituale degli individui.
In questo processo dimora l’unica vera e duratura gioia che il nostro cuore cerca.
1 A.Melucci, Passaggio d’epoca, p.41.
Caro Francesco,
citi: “Oggi il mondo dipende dalle decisioni e dalle scelte di ciascuno di noi” e dici “La rivoluzione come svolta antropologica collettiva”: è compito arduo e dai tempi lunghi ma possibile ed entusiasmante.
Senza timore di cadere né in facili intimismi né in facili slogan politici.
“L’Indispensabile” è dotato di fede, intelligenza, passione, e disperazione che diventa nuovo carburante per viaggiare verso lidi di salvezza.
Perciò ho voglia di partecipare all’evento che proponete a Roma il primo dicembre.
Penso che “il disordine sotto il cielo” sia enorme, per cui non mi interessa il contingente di questo o quel partito, né l’effimero di questa o quella scadenza elettorale.
Mi dispiace che in qualche Messa si canti Bella ciao, che tante volte ho cantato in piazza ma mai lo vorrei in chiesa.
Anche perchè non vorrei Messe con il pur bel canto di “Bella ciao” e Messe con il commovente canto di “Va’ pensiero”.
A Messa voglio cantare con gioia il “Veni, Creator Spiritus”, mentre tutte le altre belle cose le canto in piazza.
La laicità è conquista fondamentale nel cristianesimo ( non purtroppo nell’Islam), e noi dobbiamo essere capaci di stare al suo interno coniugando il personale e il politico in una sfida che è aperta.
Il mio amico Matteo Zuppi, cardinale di Bologna, ha pubblicato un libro che nella scelta dei tempi non è il massimo, ma lo perdono perchè dice una cosa bellissima:
“APRIRSI ALLA DIVERSITA’ SOTTO CASA SENZA PERDERE LA PROPRIA IDENTITA'”
Io parlo sempre di “identità aperte”: è fondamentale tanto per la politica quanto per il colore della pelle.
Sicuramente è materia di riflessione per ciò che è “L’Indispensabile”.
Un abbraccio, GianCarlo
Per essere illuminata sulle mie scelte di persona anziana che quasi mai nella sua vita è scesa in piazza per motivi politici, vi chiedo: mi consigliate di farlo ora durante la manifestazione delle sardine? Consideratemi una vostra nonna, un po’ disorientata….Mariapia Porta
Grazie Giancarlo,
allora a domenica.
Un abbraccio,
Francesco
Si, vi aspettiamo tutti al Monk di Roma, in via Giuseppe Mirri 35, questa domenica 1 dicembre, alle ore 17.30 https://www.facebook.com/events/560498464780603/
Buona serata! Paola