Tutti ormai ci accorgiamo che c’è qualcosa di acefalo, di cieco, di pazzo o comunque di fortemente ambiguo nell’attuale sviluppo tecnologico. Sempre più spesso ci sentiamo raccontare dello straordinario progresso del digitale, dell’intelligenza artificiale e della realtà virtuale; da quasi un ventennio d’altra parte si è cominciato a parlare seriamente di Singolarità tecnologica, ossia un preciso momento storico (che dovrebbe arrivare prima del 2050) in cui l’intelligenza delle macchine oltrepasserà quella degli umani, rendendo possibili i più distopici scenari hollywoodiani. In maniera esponenziale alla nostra dipendenza quotidiana dall’universo tecnologico crescono infatti anche gli allarmi e i pericoli – più o meno sottaciuti – che un simile sviluppo incontrollato può comportare per il corpo e per la mente umana (si pensi ad esempio all’attuale dibattito sui rischi del 5G).
In effetti le odierne tecnologie sono sempre più sofisticate, inaudite e di fatto misteriose, tutt’altro che meri “strumenti” nelle nostre mani, ma anzi, noi stessi finiamo casomai per essere strumentalizzati e inibiti dalle nostre strane creazioni. D’altro canto la profonda paradossalità del progresso tecnico e dei sui effetti è stata un tema centrale del pensiero occidentale fin dalla prima svolta industriale. Oggi, pur essendo noi alle soglie del terzo decennio del XXI secolo e nonostante la catastrofica implosione novecentesca delle ideologie scientistiche e positivistiche, assistiamo ad un amplificarsi di questa doppia lama, che proprio ora manifesta come mai prima il suo carattere apocalittico e ultimativo, di vero e proprio punto di non ritorno della civiltà. L’aspetto più inquietante della tecnica è appunto il suo apparente autonomizzarsi dall’uomo, il suo procedere ciecamente, senza che nessuno sappia perché, come, verso dove e fino a quando si accresca.
La tecnologia ci appare dunque come una provocazione, l’urto provocatorio di una creatura che minaccia di impadronirsi ognora del suo creatore. Ma se ci provoca è forse proprio perché ci rispecchia in negativo, ci sbatte addosso l’inconsapevolezza automatistica e atomistica del nostro Io, che in fondo non sa – nelle gran parte dei casi – che cosa fa, che cosa vuole né perché lo vuole in generale. Il nostro Io in verità non sa neppure perché esiste. Ecco che la tecnica risponde a tutte queste domande con lo stesso mutismo con cui noi stessi, nella nostra abituale condizione alienata, abbiamo già da sempre risposto. Essa riflette quindi una situazione di fondamentale scissione, per cui il frutto di un preciso pensiero si è a tal punto separato da quest’ultimo da non essere più decifrabile né comprensibile per l’uomo stesso che lo concepisce. E ciononostante quel pensiero, nella tecnica decerebrata e decapitata, continua a pensare a nostra insaputa, e cioè a insistere ostinatamente nella sua finalità originaria. È così infatti che il pensiero – lungo l’intera storia della modernità – si è talmente tradotto in atto, in prassi, da diventare esso stesso atto puro, atto senza parola (Faust), azione sordomuta che cela accuratamente in sé il proprio vero essere.
Ma questo essere è pur sempre un pensiero, che dobbiamo portare urgentemente alla luce, se non vogliamo soccombere come umani alla tecnica e alle sue contraddizioni abissali.
Proviamo allora a risalire più indietro nel tempo, agli albori del pensiero moderno, quando la tecnica era non solo un pensiero preciso, ma un grande progetto di mondo, di umanità e di avvenire storico. Leggiamo ad esempio che cosa scriveva Francis Bacon, uno dei primi grandi filosofi dell’Empirismo inglese, attorno al 1620: «In seguito al peccato originale, l’uomo decadde dal suo stato di innocenza, e dal suo dominio sulle cose create. Ma entrambe le cose si possono recuperare, almeno in parte, in questa vita. La prima mediante la religione e la fede, la seconda mediante le scienze e le tecniche» (Novum Organum, § 52). E ancora, nel 1844, a distanza di oltre due secoli da Bacon, Auguste Comte – uno dei massimi esponenti del Positivismo francese – scrivendo a proposito dello stadio positivo della storia, in cui il progresso tecnico-scientifico avrebbe infine guidato incondizionatamente le sorti del mondo, diceva: «Si può, allora, comprendere come la nozione predominante di Umanità debba necessariamente giungere a costituire, nello stato positivo, una piena sistemazione mentale, almeno equivalente a quella che, alla fine, aveva comportato l’età teologica, con la grande concezione di Dio. (…) Soltanto la filosofia positiva può realizzare gradualmente quel nobile progetto d’associazione universale che il cattolicesimo aveva, nel Medioevo, prematuramente tentato» (Discorso sullo Spirito positivo, II).
Da questo parole capiamo come due dei maggiori teorici del progresso scientifico moderno riconoscessero chiaramente nella tecnica e nel suo sviluppo illimitato la medesima finalità messianico-escatologica della Rivelazione cristiana. Per Comte lo stadio scientifico-positivo della storia deve adempiere a ciò che lo stadio mitico-teologico aveva solo prospettato per l’al di là. Così anche negli stessi anni valeva per Marx e per il miraggio di un Regno di totale giustizia e fratellanza realizzabile qui sulla terra, senza più bisogno di false proiezioni trascendenti. Infine, sia per Bacon che per Comte il progresso scientifico è in grado di redimere l’umanità da ciò che la tradizione biblica concepisce come peccato originale, ossia come distorsione originaria dell’essere per la cui correzione lo stesso sacrificio di Cristo è stato necessario.
Ecco allora che se ripensiamo la tecnica a partire dalla sua dimenticata e offuscata radice messianica, o addirittura evangelica, ci appare subito chiaro quale possa essere il suo significato più profondo, e cioè potenzialmente sano e poetico, anche per noi oggi.
Come già comprese Heidegger, la tecnica è per l’uomo contemporaneo l’avamposto ultimo e terminale del suo stesso spingersi fuori da sé verso la pretesa di controllare il mondo. È lo stesso uomo occidentale quindi che nella tecnica cade più inequivocabilmente vittima di se stesso, insieme allo smascheramento dell’intera storia egoico-bellica della civiltà, nel suo mistero alienante ed escatologico insieme. Se dunque è vero che sotto sotto anche la muta tecnica parla, le sue parole dicono – e anche con forza – all’uomo del XXI secolo che non può più rinunciare a morire alla vecchia forma di Sé, e di qui che nemmeno può rinviare ancora la sua rinascita integrale, totale, nell’integrità impensata e sconcertante della nuova umanità-in-Cristo. Come ci ricorda molto bene Marco Guzzi, se il tempo dell’Occidente consiste in un immenso tramontare nel nuovo Inizio, occorre capire attentamente in che modo la tecnica sia il sentiero inevitabile di questo passaggio psico-cosmico: «Ma in questo cadere, in questo abbassamento della luce, non si nasconderà una parallela e ancora occulta crescita del sole dall’altra parte del mondo, e cioè lì dove non riusciamo ancora a lanciare il nostro sguardo? Non staremo concependo in noi e dando faticosamente alla luce una nuova soggettività ordinatrice, un Nuovo Io? E l’attuale sfida tecnologica non potrebbe essere uno degli ambiguissimi strumenti della nascita di questa nuova figura di umanità, in quanto ci provoca e quasi ci forza a una sorta di salto antropologico, a una rivoluzione spirituale della nostra coscienza?» (La nuova umanità, pag. 109).
E allora, se tutto ciò risuona in noi anche solo come parzialmente vero, dovremmo augurarci che l’anno e il decennio che stanno per nascere rappresentino per ognuno di noi una ulteriore opportunità per fare esperienza di questo mistero fin negli angoli più apparentemente insensati, alienati e meccanici della nostra vita. Solo così noi libereremo la tecnica liberando innanzitutto noi stessi da ogni nascosta macchinosità e meccanicità egoica, dando luogo infine ad una tecnica inaudita dell’uomo nascente, ad un mondo che sa di doversi eternamente migliorare, ma che sa anche quanto infinitamente vasta, complessa e misteriosa sia la nostra umana salute/salvezza.
Buon anno mistico-tecnico a tutti i praticanti! –
Caro Luca, definisci acefalo, cieco, pazzo e ambiguo questo sviluppo tecnologico che rischia di soppiantare l’intelligenza e quindi la libertà dell’uomo, e fai bene a ricordarci i pensatori del passato.
Bacon ritorna sul peccato originale che ha offuscato la mente e il cuore dell’uomo, e ci dice che la fede può riportarlo all’originaria innocenza e la ragione aiutarlo a dominare la tecnologia.
Anche Comte avverte il pericolo e confida nella forza del positivismo che, pur essendo poi stato accantonato, contiene la speranza che l’uomo sappia mantenere il controllo della tecnologia bruta e quindi possa conservare la libertà.
Forse serve che diventiamo un po’ tecnologici per difenderci, forse anche un po’ economisti e sociologi e politici, come siamo tanto tentati di fare, ma tutte le sapienze e le filosofie gridano che prima l’essere umano deve conoscere sè stesso ed essere sè stesso, e diventare cioè un Io in relazione: senza questo, perfino la preghiera sarebbe inutile:” Si cor non orat, in vanum lingua laborat”.
Auguro a tutti noi un buon anno in questo cammino, GianCarlo
Caro Luca,
ti ringrazio per questo intervento così denso, che ho letto – anzi direi assaporato – con molto gusto.
Mi sembra che ci sia molto bisogno, in quest’epoca di trasformazioni tecnologiche così “accelerate”, di una riflessione sul tema, ma che sia “popolare” e comprensibile ma non banalizzante – proprio come questo tuo bel post – e non appena ristretta in ambiti accademici, poco o nulla percolanti nella ferialità delle nostre esistenze.
Siamo in un vortice di cui non possiamo assolutamente valutare gli effetti ma che già appare totalmente inedito, nel cammino umano. Siamo centrifugati lontano da quel che vivevano e pensavano i nostri nonni, i nostri padri, con un tasso di accelerazione che sembra il riverbero esatto di quell’accelerazione universale – che tutto allontana da tutto, con una furia sorprendente – che i fisici hanno (appunto) scoperto solo da pochissimi anni.
Gli esempi concretissimi sono tanti e mi sorprende che non vengano quasi mai messi a tema. Cosa vorrà dire, tra un po’, ritrovarsi ad esempio con dieci, venti anni di cronologia WhatsApp o Facebook, con tanto di messaggi di gioia e di rabbia e litigi e dichiarazioni d’amore o di stizza verso persone che oggi forse non ci sono più, o non sono più in quei rapporti con noi? Cosa provoca nella coscienza umana questa implacabile esattissima permanenza digitale, per cui nemmeno un capello sfugge alla catalogazione tecnologica?
In verità è una cosa totalmente inedita, in verità non lo sappiamo.
Alle volte si trovano, certo, tentativi di ragionare su questo, ma perlopiù intendono rimanere lontani dall’ambito spirituale (come se fosse possibile un’analisi reale ed equilibrata rimanendo così “ristretti”) e dunque le analisi che vengono prodotte sono, queste pure, acefale, perché non tengono conto di tutti i fattori in gioco: in questo senso fai molto bene a ricordarci come tale distorsione è tutta moderna, perché l’ambito tecnico è sempre stato visto sotto una luce anche spirituale, proprio per poterne coglierne appieno la sua portata.
E’ assolutamente necessario avviare e riprendere questo cammino di pensiero e farlo in senso largo, propriamente popolare, proprio perché questa vorticosa trasformazione coinvolge tutti. Al di là dell’uso che pensiamo di fare della tecnologia, si tratta ultimamente di non venirne usati, o venirne usati, comunque, in modo minore. Solo un percorso di consapevolezza ci potrà aiutare in ciò.
Auguri a tutti per un nuovo anno di cammino e di fondata speranza.
Caro Luca,
che bel modo di finire l’anno, leggendo le tue considerazioni che riportano a noi in modo duplice – come singoli individui (che in latino vuol dire “in-divisi”) e come appartenenti al genere umano – una tematica tanto coinvolgente quanto per certi versi… “mefitica”.
Grazie. E grazie anche a Giancarlo e Marco per le loro “espansioni”.
Nel tuo testo, inizialmente mi sono divertito al quasi ossimoro del «distopico hollywoodiano», in cui la contrapposizione sembra però rovesciata rispetto al recente passato: la valenza negativa viene sostenuta qui dall’aggettivo “hoolywoodiano”, un tempo invece simbolo di brilli e successo, mentre”distopico” assurge per noi oggi, apocalitticamente, a una connotazione positiva! Interessante.
Una domanda mi è balenata quando, nella parte finale, citando Bacon, Compte e Guzzi, sottolinei la funzione paradossale che la tecnologia potrebbe avere nel presente o nel più o meno prossimo futuro: sarà causa della distruzione finale oppure stimolo per una vera rinascita?
E la domanda è questa (non ho una risposta, ovviamente): “E’ l’unica possibilità che abbiamo quella di proiettare le nostre visioni migliori su un esistente che, per quanto bene abbia fatto a tratti e per quanto ci tenga invischiati senza possibilità o necessità di fuga, ci sta portando sull’orlo dell’in-umano o, come lo chiamano certi soggetti poco raccomandabili, il trans-umano? Non ce la facciamo proprio a immaginare di fondare qualcosa di veramente nuovo, cioè un sapere libero dai paradigmi della vecchia scienza, che molti danni ha fatto e sta facendo proprio a causa del suo approccio costitutivo, galileiano, rispetto al mondo?”
Chissà…
Comunque, colgo al volo il tuo suggerimento e dedicherò il tempo che mi resta a cercare di capirne almeno un po’ di più, a partire dai miei personali… “paradigmi”.
Buon anno.
Caro Luca,
lego con attenzione il tuo interessante commento. Volevo aggiungere una notizia che mi ha interessata molto: ultimamente ho seguito su You Tube alcuni interventi di Federico Faggin, che con la moglie, ha fondato la Faggin Foundation, associazione che è interessata alla ricerca scientifica della coscienza, nell’ipotesi che essa sia una proprietà irriducibile della natura. Secondo questa innovativa visione lo studio della coscienza richiederebbe un approccio multidisciplinare che coinvolga la fisica, la matematica, la biochimica, le neuroscienze, le scienze cognitive, l’informatica e la filosofia. Cosa che non è mai avvenuta fino ad ora. Quel che è straordinario è il fatto che Faggin è stato uno degli autori della rivoluzione della Silicon Valley, ha inventato e realizzato la tecnologia SGT, che ha permesso di realizzare i microprocessori, memorie e sensori di immagine ed è stata adottata in tutto il mondo. Ad un certo della sua vita e dei suoi studi si è reso conto che nessuna macchina super tecnologica può imitare il cervello umano, perché, al di là delle loro straordinarie capacità operative, un robot o un computer non hanno consapevolezza e quindi non possono sperimentare nulla, sia dentro di sé che fuori di sé. Semplifico molto la teoria (che ricorre anche a concetti della fisica quantistica) e l’approccio complesso e veramente interessante di questo scienziato, informatico ed industriale, insignito nel 2009 della National Medal of Technology and Innovation, il più alto onore conferito dal governo USA, dal Presidente Obama, in una cerimonia alla Casa Bianca nel 2010. Faggin ha vissuto una vera e propria “conversione” che lo ha convinto che la coscienza sia una proprietà irriducibile della natura già presente nella “sostanza” primordiale da cui sono emersi lo spazio, il tempo, l’energia e la materia.Secondo questa visione questa sostanza deve avere una proprietà di auto-riflessione che le permetta di conoscersi, facoltà che ovviamente nessuna macchina potrà mai avere. Sono rimasta molto colpita da questa visione che da una parte completamente diversa giunge a conclusioni profonde e rivoluzionarie che coniugano orizzonti fisici, biologici e spirituali. Insomma uno dei padri della rivoluzione informatica ci dice che il cervello non è assolutamente simile ad un computer, né può esserne il modello.
Mi accingo, con molta umiltà e sommessamente, a provare ad esprimere ciò che vedo e sento riguardo questo tema cruciale. Quindi, se è vero come è vero che ogni azione ed opera dell’umano riflette la sua visione del mondo e se questa, come sappiamo, si è espressa attraverso l’Io bellico ed ego-centrato che noi tutti conosciamo, diventa inevitabile che anche l’iper-veloce progresso tecnologico che abbiamo costruito mostri alla fine tutti i caratteri tipici bellici ed ego-centrati della nostra civiltà al tramonto. Se proviamo ad immaginare di mettere insieme la clonazione, con la stampa tri-dimensionale, ormai capace di stampare organi funzionanti, l’ingegneria genetica e l’intelligenza artificiale, i nuovi software quantici di ultimissima generazione e le distopiche ricerche sulla costruzione di uteri artificiali in grado di emulare in tutto, l’ambiente naturale materno, anche con la riproduzione del battito cardiaco, ecco che ci troviamo in pieno nell’incubo disegnato dal film The Matrix. Insomma saremmo, ancora e come sempre, al punto di partenza ovvero nel punto terminale della parabola evolutiva dell’Io bellico ego-centrato il quale niente sottrae al conflitto ed alla guerra, che prima era solo tra umani e poi si trasferisce a quella tra umani e androidi umanoidi, questi ultimi capaci infine persino di emulare i nostri sentimenti. Insomma lo specchio di noi stessi. Questo mi sembra un quadro dove le dinamiche della paura sono solo nascoste da una maschera tecnicamente più sofisticata, da una proiezione esterna dei conflitti umani che restano irrisolti e che pertanto si perpetuano senza soluzione di continuità. In questo scenario il pensiero nichilista e senza anima, senza cuore si esalta e cerca di recidere anche la più flebile speranza in un futuro cambiamento della prospettiva umana. A me sembra, dopo queste considerazioni, che la risposta sia, ancora una volta, nella capacità di noi umani di lavorare ad una conversione, ad una ri-congiunzione della nostra anima con il nostro Io scisso e separato, affinché si realizzi quella unità che sola può rivelarci il mondo sotto una nuova luce capace di dare vita, con queste energie rinnovate e ritrovate a quella “nuova umanità” che si percepisce come ormai immanente (nel senso di improcrastinabile ma non delineabile nei tempi temporali cui noi siamo abituati). Un lavoro profondo, radicale, non più rinviabile, che rivoluzioni completamente il nostro paradigma interiore, rappresenta la possibilità di rendere questa iperbolica accelerazione tecnologica come la nuova barca di Caronte che, traghettando questa civiltà attraverso la sua traiettoria terminale, offre a questa umanità morente il passaggio verso e quindi l’approdo a quella nuova umanità nascente a cui noi vogliamo offrire il nostro contributo. Grazie
Ringrazio tutti e buon anno nuovo. Volevo chiedere a chi può aiutarmi, di consigliarmi un libro di storia o storiografia degli stati uniti d’america del xx secolo.
vorrei sapere come la loro economia si è sviluppata dalla fine dell’800 fino alla caduta delle torri gemelle o alla caduta del muro di berlino.
grazie! A presto!
Caro Luca, mi hai fatto ricordare un vecchio film di fantascienza “Il pianeta proibito”. Racconta di un pianeta lontano dove abitava una avanzatissima razza aliena che era riuscita a costruire una Macchina capace di dare forma e vita ai loro pensieri, era sufficiente pensare e il pensiero veniva realizzato. Però appena la Macchina è stata accesa, il pianeta si è popolato di mostri che hanno sterminato tutti.
Questo perché anche in quegli esseri così intelligenti c’era un Ombra non risolta e la Macchina inesorabile ha dato sostanza e vita a quell’Ombra feroce.
E’ una metafora della nostra incapacità di gestire la conoscenza?
Però mi hanno dato molta speranza le parole di Marco Guzzi che hai ricordato.
“Ma in questo cadere, in questo abbassamento della luce, non si nasconderà una parallela e ancora occulta crescita del sole dall’altra parte del mondo, e cioè lì dove non riusciamo ancora a lanciare il nostro sguardo? Non staremo concependo in noi e dando faticosamente alla luce una nuova soggettività ordinatrice, un Nuovo Io?”
E anche quello che scrive Simonetta sulla Coscienza come una proprietà della natura già presente nella “sostanza” primordiale da cui sono emersi lo spazio, il tempo, l’energia e la materia
Forse questi aspetti ci impediranno di distruggerci e ci guideranno verso la Salvezza.
Un caro saluto
C’è sempre la possibilità che tutto finisca ( per gli esseri umani ) per via di inquinamento o malattie o altro, e che sia la terra a resettare tutto ricominciando da zero, con un microbo sopravissuto, buon anno a tutti,