Liberazione interiore e trasformazione del mondo: in queste poche parole è racchiuso il cuore del movimento Darsi Pace.
Dieci anni fa, quando incontrai il pensiero di Marco Guzzi e i corsi telematici, quello che più mi catturava era la prima parte di questo binomio, cioè liberarmi, guarire, stare meglio. Ora invece mi sto accorgendo che la seconda parte è altrettanto importante, ed è la conseguenza naturale della prima.
Anche Marco Guzzi e il movimento Darsi Pace proprio in questi ultimi anni hanno preso decisamente sul serio la trasformazione del mondo, esponendosi con video, eventi e soprattutto con una visione precisa dell’uomo e della società. Questo travaso di forze dall’interno all’esterno, anche se era chiaro e dichiarato fin dall’inizio, ora è diventato più evidente e questo a volte può lasciarci un po’ disorientati. Fedeli come siamo alle nostre scissioni interne, facciamo fatica a riconoscere la naturale continuità tra la meditazione quotidiana, la scelta di credere nella salvezza di Cristo e la concretezza degli avvenimenti politici.
Provo allora a ricapitolare alcuni passaggi di questo percorso, un po’ come facciamo nei nostri incontri: per andare avanti bisogna ri-capire, ogni volta di nuovo, come siamo arrivati fin qui.
Partiamo dalla prima parte del nostro titolo, cioè dalla necessità di liberazione interiore.
Sempre più persone sentono che non è più possibile vivere con ritmi così esasperati e con una dissociazione interna così forte. Il livello di sofferenza personale spinge tanti di noi a iniziare un viaggio interiore di consapevolezza e una seria ricerca spirituale. Questa ricerca diventa quasi inevitabile proprio nel tempo storico che stiamo vivendo, cioè in questo passaggio di millennio, che vede anche le religioni e le loro ritualità traballare davanti alle richieste dei nostri cuori sofferenti e di un mondo che sta cambiando troppo velocemente. Siamo tutti, infatti, dentro un passaggio antropologico: non cambiano solo il modo in cui viviamo e le cose che facciamo, stiamo cambiando noi stessi come esseri umani.
Imparare a liberare la mente dal sovraccarico di pensieri ed emozioni, che produciamo senza sosta, ci rende gradualmente più lucidi e vivi: unire poi la pratica meditativa a una maggiore conoscenza psicologica di noi stessi e a una comprensione nuova dei fenomeni storici ci apre orizzonti pieni di speranza. Il lavoro interiore, così integrato, libera molte energie prima occupate a contenere, adattarsi, aggredire, difendersi. Libera in fondo la nostra identità profonda, che è molto specifica per ognuno di noi, fatta di potenzialità e talenti. Riscoprirli e iniziare a usarli è una grande gioia e un’autentica liberazione.
Questa scoperta o riscoperta di chi siamo, come genere umano, e di chi sono io, come persona, con tutte le mie connotazioni fisiche, emotive, psicologiche e spirituali, passa però attraverso un importante momento di scelta.
La mia liberazione interiore la sperimento nel contatto quotidiano con una dimensione di Assoluto benevolo, che è dentro di me; ma allo stesso tempo io vivo in uno spazio e in un tempo ben definito, vivo dentro relazioni, in una città e in una nazione, e qui lavoro, parlo, ascolto, agisco. Tutta questa rete è quello che noi chiamiamo “mondo”; e così, con un’impronta d’infinito nel cuore e i piedi ben attaccati a questa Terra io mi trovo davanti ad una scelta. La mia liberazione interiore mi porta cioè a dare una collocazione a questo mondo rispetto alla dimensione d’infinito che abita dentro di me.
Rispetto a questo rapporto, mai scontato, tra uomo, Assoluto-Dio e mondo, ogni tradizione religiosa ha la sua interpretazione. La fede cristiana irrompe nella ricerca eterna dell’uomo con una rivelazione: siamo abitati da Dio e siamo qui in questo spazio/tempo per fare nuove tutte le cose, per cambiare il mondo e aiutare il Regno di Dio a trasfigurare di luce proprio la nostra povera Terra.
Dire queste parole può fare paura, perché abbiamo ancora negli occhi la deformazione egoica e violenta che la storia ha fatto del messaggio evangelico. Ma il passaggio da fare è proprio questo: la mia liberazione interiore, illuminata dalla rivelazione di Cristo, non è indifferente rispetto al mondo, ma mi porta anzi a collaborare attivamente proprio alla sua trasformazione, mettendo a frutto il meglio di me. Non conosco i tempi di questa redenzione, ma nella fede so che avverrà, anche se in questa vita potrei non vederne i frutti.
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Proviamo ora a partire dalla parte opposta, cioè dalla trasformazione del mondo. Come si cambia in meglio la società in cui viviamo? Come si migliorano le condizioni di vita di una comunità di persone?
Queste domande non hanno etichette religiose o politiche, ma fanno parte di un senso del “noi” che è una dotazione umana di base, e che la nostra cultura moderna, specialmente quella occidentale, ha messo alla base della propria legislazione.
Fino al XX secolo la società è stata sostanzialmente cambiata, o almeno mossa, da guerre e rivoluzioni. Solo con il secolo scorso la democrazia è diventata il miglior frutto evolutivo della nostra convivenza umana: libertà e giustizia sembravano coniugate al massimo grado di possibilità per il genere umano.
Oggi però, nelle nostre democrazie occidentali, nonostante tutti i progressi della tecnologia, il livello di libertà e giustizia reale sta drasticamente diminuendo. Nel resto del mondo le cose vanno ancora peggio. La politica, deputata a orientare questi cambiamenti verso un bene comune, è sempre più inefficace, litigiosa, ripiegata solo sui problemi contingenti.
Anche dentro Darsi Pace, nonostante abbiamo un linguaggio e una prospettiva in comune, i temi politici sono ancora difficili da esprimere e condividere.
Questo forse si spiega perché bisogna ancora lavorare a fondo il terreno da cui la politica e tutte le altre discipline umane traggono origine e nutrimento: la cultura.
E’ importante ricordare a noi stessi cosa vuol dire cultura in senso antropologico. L’uomo è cultura, ogni sua azione genera cultura perché la cultura è il significato che l’uomo dà alle sue azioni. Non pura istintualità ma scelta dei significati tra i tanti possibili: in questo senso l’uomo crea continuamente il mondo in cui vive. Noi oggi purtroppo con la parola cultura intendiamo quasi esclusivamente l’industria culturale, oppure l’erudizione accademica, ma tutto questo è qualcosa che viene dopo, ed è molto meno importante, perché è solo un effetto di una cultura e quindi di una precisa visione del mondo.
Quindi il primo passo per qualsiasi trasformazione reale è capire qual è la cultura dentro cui si muovono la nostra società, la nostra politica, la nostra economia e quindi, più o meno consciamente, anche ognuno di noi.
La nostra cultura occidentale attuale è molto subdola perché pretende di essere una postcultura, cioè un qualcosa di ineluttabile che viene dopo il fallimento di tutte le culture o visioni del mondo precedenti. In realtà non può esistere una non-cultura o non-visione del mondo, perché anche questa negazione continua che noi chiamiamo postmodernità è in realtà una cultura ben precisa, che ha una sua visione dell’uomo, di Dio e del mondo. L’uomo è un produttore-consumatore, Dio è solo un concetto arcaico, mentre il mondo è lo scenario in cui il vero dio sotterraneo, l’economia del profitto senza limiti, è autorizzato a utilizzare tutto – merci, persone e risorse naturali – per il suo fine insaziabile e disperato. Smascherare questo scenario di morte, sotto il luccichio della nostra società tecnologicamente avanzata, è il primo compito per una reale trasformazione di questo nostro mondo.
Il grande assente dalla cultura odierna sembra quindi essere proprio l’Essere Umano, la sua domanda di senso e di Assoluto, l’inquietudine della sua anima. Proprio queste domande, rimosse e negate, devono diventare il centro di una nuova grande rivoluzione culturale.
La parola rivoluzione può spaventare per il carico storico che porta con sé, ma è quella più indicata perché si tratta proprio di rovesciare un intero modo di pensare l’uomo e il suo rapporto con il mondo. Questo rovesciamento non può essere violento né può essere imposto da nessuna forza esterna: sembra essere piuttosto un moto interno di nascita di qualcosa di inedito dentro ognuno di noi. Proprio questa parte della nostra umanità è, infatti, il soggetto da risvegliare in questa nuova rivoluzione: il nostro bisogno di senso, di Assoluto e di eternità, di relazioni e aggregazione, di giustizia e libertà. Il nostro bisogno di vivere la nostra dimensione spirituale, in fondo: un bisogno che accomuna tutti e che è assolutamente laico perché, prima di essere etichettato come religioso, è radicalmente umano.
Promuovere questa rivoluzione culturale è però difficile, perché il sistema di senso in cui viviamo è compatto, coerente e pervasivo. Ne siamo tutti imbevuti in ogni momento delle nostre giornate. Occorre una grande dose di coraggio, pazienza, perseveranza, ma anche una visione strategica e pragmatica che sappia tenere insieme, in ogni momento, due distinti piani temporali.
Da una parte c’è un grande progetto di umanità, che contesta radicalmente questo sistema di mondo materialista e nichilista: i suoi tempi possono essere molto lunghi.
Dall’altra ci sono i passi piccoli, graduali e forse ambigui, con cui tutto questo potrà realizzarsi nella concretezza della politica. Infatti il piano culturale non è fine a sé stesso, ma premessa per una trasformazione sociale che può passare solo attraverso la politica e la democrazia.
Questa specie di “strabismo” è la chiave del cambiamento: restare sempre agganciati alle possibilità reali, concrete e politiche, ma con lo sguardo e il cuore radicati altrove.
Oggi i tempi sembrano maturi per dare a questa grande contestazione più visibilità e più spazi pubblici. Il fermento per un profondo cambiamento culturale è già presente da più parti, ma necessita ancora di occasioni di aggregazione e di orientamento. Allora il web e la televisione, i social e il confronto politico diventano luoghi indispensabili, perché proprio qui si alimenta continuamente la cultura del nostro tempo.
La maggiore esposizione mediatica di Marco Guzzi e di Darsi Pace io la vedo così: iniziare a mettere nel discorso pubblico e politico i semi di questo pensiero, accettando il confronto con chiunque sia disposto all’ascolto, senza farsi troppi problemi di etichette, di qualunque tipo esse siano.
…
Pensare alla realizzazione di questa visione può aprire il cuore alla speranza, ma ci lascia anche un po’ sgomenti, perché questo sistema di pensiero e di vita sembra essere l’unico possibile.
Ma questa speranza e questo sgomento noi già li conosciamo, sono gli stessi che sperimentiamo nel lavoro iniziatico che facciamo su noi stessi.
Il lavoro interiore svela un po’ alla volta la follia di tanti nostri comportamenti che sembrano non avere alternative. In realtà noi però sperimentiamo che un cambiamento è possibile: volta per volta sentiamo che esiste un nuovo modo di essere noi, sentiamo la forza che ci viene da questo nuovo senso di noi stessi, e alimentati da questa energia iniziamo a pensare in modo diverso. Sono poi i nostri nuovi pensieri che ci permettono di immaginare e realizzare altre azioni, più integre ed efficaci. E’ difficile, ma sappiamo che è possibile.
Allo stesso modo nella società il cambiamento reale, le nuove scelte sociali e politiche possono maturare solo all’interno di un terreno culturale nuovo, vivo e sempre più condiviso, che sostituisca gradualmente quello attuale. Come nuovi pensieri su noi stessi generano nuovi comportamenti, così una nuova cultura dell’uomo e del senso del suo esistere può generare una nuova politica e nuove scelte economiche e sociali.
A questo punto mi sembra che la nostra frase iniziale ritrovi la sua unità.
La liberazione interiore, orientata dalla rivelazione cristiana, ha bisogno di trasformare il mondo, di collaborare alla sua rigenerazione, e il mondo per trasformarsi e progredire ha bisogno di una visione liberata e liberante dell’essere umano, che rimetta al primo posto la sua piena realizzazione che è, in definitiva, spirituale.
In questo nuovo grande progetto culturale, che Darsi Pace cerca di promuovere e alimentare, possiamo ritrovarci in tanti.
Da una parte ci sono quelli di noi che partono da una ricerca interiore, e possono riscoprire come la fede nel Cristo-Dio sfoci in modo naturale nel prendersi cura delle persone e della società.
Dall’altra, chi è mosso da un desiderio di contribuire al bene comune, nel volontariato, nella società civile e nella politica può riscoprire che il vero fuoco di trasformazione si alimenta solo a sorgenti interiori, profonde e spirituali.
Proviamo quindi a mettere l’essere umano al centro, e mettere al centro di ogni essere umano la sua nuova umanità, il suo bisogno di significato, di eternità, di felicità e di relazioni. Costruire questo nuovo mondo, cioè questo nuovo modo di essere nel mondo, potrebbe regalare a queste nostre generazioni, al di là di ogni etichetta politica o religiosa, la gioia di vivere una grandiosa avventura comune.
Cara Antonietta,
grazie per la tua lucidissima analisi e per la chiarezza dei concetti espressi.
In effetti, quando mi capita di discutere con conoscenti o amici che per la prima volta si avvicinano alla proposta di Darsi Pace e sentono Marco Guzzi parlare, spesso commentano: “Sì, tutto molto bello… Analisi pienamente condivisibile. Ma qual è la proposta in senso sociale e politico? Che cosa propone di fare nella realtà?” Dicono così in particolare se si tratta di persone che in passato si sono impegnate in attività di aiuto, concreto ed esterno.
A costoro suggerire di iniziare a cambiare se stessi dall’interno sembra un voler perdere tempo, perché intanto il mondo va in rovina. Non hanno la forza di ammettere che il cambiamento interiore è quello più difficile da effettuare: soffrono troppo e non hanno la spinta necessaria per guardare nel proprio cuore e riconoscere le maschere dietro le quali agiamo. Sperano che i cambiamenti possano avvenire dal di fuori, miracolosamente.
Per questo, il tuo scritto illustra molto bene la prospettiva, l’unica credo, rispetto alla quale possiamo metterci in cammino e fare qualcosa davvero di efficace.
Volevo solo aggiungere, dal basso, un commento alla tua frase: «Non conosco i tempi di questa redenzione, ma nella fede so che avverrà, anche se in questa vita potrei non vederne i frutti.» Che presa di per sé sembra avere una connotazione… malinconica.
Nella mia esperienza personale trovo conforto nel fatto che, nella consapevolezza di attraversare tempi “apocalittici”, è proprio la possibilità di cambiare interiormente, anzi di ribaltare la visione di sé e del mondo, a rendere possibile l’attualità dell’utopia, il suo essere già in atto. Ciò che si può realizzare è in un certo senso… già realizzato! Il progetto di un mondo – e quindi di un me stesso – diverso e non più scisso è vivo nel presente, non in futuro lontanissimo di cui nulla possiamo sapere. Quei piccoli passi a cui fai cenno, in verità, sono passi enormi che comunque avvicinano – e anzi realizzano – la fine dei tempi. Del resto, se abbiamo resistito a una cultura super-egoica millenaria, vuol dire che il miracolo è già in atto.
Un abbraccio e grazie di nuovo.
Sergio
Cara Antonietta,
mi hai spinto a rileggere il tuo post “Oltre la postmodernità”, prezioso.
A livello culturale siamo davanti ad un’alternativa secca evidenziata da due espressioni, che vengono fatte apparire come sinonimi, ma che sintetizzano due visioni del mondo diametralmente opposte: una è “noi e gli animali”, l’altra è “noi e gli altri animali”.
“Noi e gli animali” è cultura e linguaggio che usavamo fino a tutto il Novecento quando anche i materialisti distinguevano tra persona e animale.
“Noi e gli altri animali” significa che l’essere umano è un animale come tutti gli altri, è solo una bestia, o peggio un sacco di chimica.
E’ espressione coniata recentemente con sottile astuzia, buttata là con nonchalance dagli animalisti, e che è diventata il convoglio potente che porta moltissimi occidentali, innamorati dei pur ottimi cani e gatti, a non distinguere più tra persona ed animale, e li spinge verso il nihilismo e la rassegnazione alla mancanza di senso di sè stessi e del mondo.
Ho portato l’esempio di queste due espressioni per consentire con te che il campo in cui si gioca una partita decisiva è quello della cultura.
E per confermare che dentro quel campo il linguaggio ha un peso enorme, non solo per i neologismi proposti, ma per il modo mascherato e subliminale con cui essi veicolano un nuovo modo di pensare.
Con ciò vorrei evidenziare che il prerequisito per un’azione politica volta ad una rivoluzione democratica è un percorso iniziatico “personale e collettivo” del tipo di quello che pratichiamo.
E che a sua volta c’è un prerequisito al percorso iniziatico di “liberazione interiore”, costituito da un lavoro sulla cultura neoliberista dominante, materialista e nihilista, che ci vuole atomizzati, globalmente omologati, e disperati, e che è efficace, come drammaticamente confermano le culle vuote del nostro inverno demografico.
Tale cultura è figlia di quelle che nel XX secolo hanno tentato in ogni modo, attraverso le dittature nazifasciste e comuniste, di soffocare la spiritualità e cancellarla dalla faccia della terra: ma non ci sono riuscite, né potevano riuscirci, perchè l’anelito umano alla spiritualità è insopprimibile.
Noi abbiamo speranza grande e per due buoni motivi.
Infatti tu citi Mordacci e il suo libro “La condizione neomoderna”, ed io mi propongo di leggere “Verso la convergenza” di Teilhard de Chardin: ciò significa che il pensiero profondo e fecondo continua a germogliare.
Ma soprattutto noi stiamo sperimentando la realtà e l’efficacia del percorso iniziatico di “liberazione interiore”, e questo ci garantisce che anche la “trasformazione del mondo” è possibile.
Attraverso quali forme politiche e partitiche è importante ma secondario.
Ti sono grato per questo tuo contributo, GianCarlo
Cara Antonietta,
ti sono profondamente grato per questo tuo post tanto leggero, arioso e umile nello stile, quanto preciso, puntuale e profondo nel contenuto. Leggerti è un piacere per la mente, oltre che per l’anima, e forse per questo a metà lettura mi sono arrivate alla coscienza queste parole di una vecchia canzone di A. Minghi:” … che bel tempo sei tu!”. Continua, per favore, a svolgere questo prezioso ruolo di “autocoscienza” di Darsi Pace, lo ritengo molto utile.
Nel merito, mi sentirei di aggiungere solo questa considerazione: coltiviamo e intensifichiamo la preghiera, questa “cosa” così misteriosa e così potente, miracolosa direi, nella conversione di noi stessi e del mondo!
Di nuovo grazie, e un abbraccio affettuoso
Benigno
Grazie, cara Antonietta, per la tua riflessione di ampio e profondo respiro sul pensiero che anima il laboratorio Darsi pace.
Un miracolo per me esservi approdata e sperimentare ogni giorno che la liberazione interiore è anche trasformazione del mondo.
Questo mondo ci vuole subalterni, deboli e schiavi, è necessario studiare per capire cosa il pensiero ha pensato prima di noi se vogliamo davvero andare avanti e non ripetere le cose già dette. Ma ampliare lo sguardo richiede al contempo di approfondire la conoscenza di noi stessi per scoprire che al di là delle nostre ombre incontriamo la luce che ci dona nuova energia e ci consente di tornare più fiduciosi nella relazione con gli altri.
Ricominciamo da noi stessi per diventare più consapevoli di essere già dentro una grandiosa avventura comune, quella che dà inizio alla storia dell’uomo veramente uomo, dell’uomo finalmente libero dall’ istinto preumano del dominio.
(E. Balducci, La terra del tramonto, pag. 12)
Ho letto con estremo interesse quanto condiviso da Antonietta e di seguito anche i commenti dei compagni di viaggio, che ho molto apprezzato. Proprio oggi mio figlio compie venticinque anni, è a lui ed ai ragazzi della sua generazione e a quelli della generazione ancora precedente che va il mio pensiero. Antonietta si chiede…”Come si cambia in meglio la società in cui viviamo? Come si migliorano le condizioni di vita di una comunità di persone?”…la mia risposta è ridando voce e futuro ai nostri ragazzi. Mentre noi abbiamo intrapreso la via della liberazione interiore e contribuiamo al bene comune nei modi più confacenti, i ragazzi occidentali vagano nelle nebbie di un sistema sociale, politico e culturale che attinge da loro energie e creatività offrendo in cambio lavori mortificanti e sotto pagati. Gli stati depressivi e l’ansia sono oramai diffusissimi tra i giovani, per non parlare di alcool e droga. Allora mi chiedo, quanto tempo ancora impiegheremo prima di poter arrivare alla fase che Antonietta ha evidenziato giustamente in rosso, come il colore di una spia d’allarme, prima di riuscire a promulgare nuove politiche economiche e sociali per ridare speranza ai giovani? Secondo me la sfida più grande sarà la riforma scolastica e delle università, insomma di tutto il sistema educativo/culturale che oggi soccombe sotto i colpi mediatici e della pubblicità alienante. La crisi che stiamo vivendo non è congiunturale, ma deriva dalla naturale conseguenza delle regole economiche e politiche che sono state poste a fondamento della vita sociale. Tutte le crisi, seppur dolorose, sono anche delle opportunità. Occorre sviluppare nuovi pensieri, pensieri pratici in grado di dare risposte efficaci ai problemi. Questo è un compito per giovani menti, per chi oggi è al massimo della potenza creativa e sente scorrere il fuoco nelle vene. L’invito pertanto è quello di sostenere i nostri ragazzi, di prestare loro attenzione e ascolto profondo, affiancandoli nelle loro iniziative, quando sentiamo che sono dettate da quella Sorgente che è in ognuno di noi..”Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in sovrabbondanza””. (Gv. 10,10).
Cara Antonietta,
sì assolutamente sì. L’essere umano al centro, è ripartire nel compito bello e difficile (quasi come amare) di umanizzare la società, liberarci progressivamente da questo regime tecnocratico/pubblicitario e ascoltare il cuore, le emozioni, come luogo dove non può esserci menzogna, dove l’essere umano veramente ci parla del suo anelito, della sua fame di senso che nessun prodotto e nessun consiglio per gli acquisti può placare.
Mi pare che ogni personalità autenticamente spirituale si trovi naturalmente in risonanza su questi temi, e questo alla fine ci consegna la speranza e anche un sorriso, perché nonostante tutto il cuore dell’uomo è irriducibile e sempre chiama e cerca la strada per una autentica liberazione. Personalmente trovo molte di queste istanze nel pensiero di don Giussani e certo molti potrebbero portare altre analoghe suggestioni e concordanze.
Prima che dividerci sulle sigle politiche o sulle singole iniziative (che aprono necessariamente e beneficamente ad un ventaglio di opinioni), dunque, siamo uniti a livello più profondo, nel lavoro paziente per una nuova umanità, lavoro che compiamo nonostante le nostre immense fragilità, ma lieti che “Volle venire Colui che si sarebbe potuto accontentare di aiutarci” come dice San Bernardo.
Un abbraccio.
Ringrazio Antonietta per esprimere la sua bella e anche concreta speranza, nutrita una fede piena di spirito e di umanità. Al primo anno di frequentazione di Darsi pace, io ho le stesse speranze ma non la stessa fede, nel senso di fede cristiana /fiducia. Ma riconosco che abbiamo (ed ho) un bisogno primario di questo slancio, che riafferma la profonda radice umana della storia e l’irriducibile aspirazione umana al senso e all’infinito.
Grazie Antonietta, hai reso un grande servizio a tutti noi, con questa tua ri-capitolazione, fedele, gentile e leggera del percorso iniziatico di Darsi Pace. e che solo un cuore liberato come il tuo poteva fare .
Personalmente era quanto andavo cercando di fare tra me e me, per ri-motivare il mio lavoro iniziatico, giunto al punto in cui ci si confronta con le nostre in-capacità di amare.
Andavo arrabattandomi , tra i miei appunti e le mie nebbie, per cogliere il filo di senso del percorso fino ad oggi svolto, mentre ecco la sorpresa del tuo straordinario dono, giunto puntuale e sincronico con il mio attuale vissuto, riassunto in quanta tua frase : “ per andare avanti bisogna ri-capire, ogni volta di nuovo, come siamo arrivati fin qui” .
E questo tornare per ri-capire vale anche per tutto il percorso della mia vita, spesso sfuggita, e che solo a ritroso posso oggi meglio comprenderne. Lo vado scoprendo con sgomento e con speranza nel suo senso più umano , grato a questo percorso iniziatico, che davvero, sempre meglio comprendo, dopo abissali paure, nella sua gentilezza benevola che a noi si offre come la nostra rivoluzione interiore.
Una rivoluzione che gioiosamente scova e ci libera dalla nostre abituali strutture negative, svelandone i segreti e le distorsioni, fino a scoprire in noi : “ un nuovo modo di essere nel mondo “ con uno sguardo più libero , fiducioso e creativo, cosa che anche la politica dovrà tenerne conto.
In questo spirito rinnovato e risvegliato da te, continuerò il mio cammino telematico ma fortemente unito nell’Uno spirito di vita che a tutti noi , sempre amorevole si offre , nel suo esserci per noi, e nonostante le nostre , le mie , resistenze.
Un caro saluto a tutti i commentatori che arricchiscono il bel lavoro di Antonietta, d’accordo nel proclamarla ” auto-coscienza di Darsi Pace 2020 !”
Ivano
Grazie cara Antonietta,
da tempo riconosco in te la chiarezza di concetti complessi soprattutto quando si entra nell’area della politica. È un’area in cui è necessario entrarci a piedi scalzi certi che non ci importa più di imporre una nostra idea, ne’ di contrapporsi agli altri perché tutto questo è il vecchio modo di essere improntato sullo stato difensivo e di attacco.
Senza un lavoro interiore serio non possiamo avvicinarci a questo campo.
E neppure senza il riconoscimento dell Assoluto che continua a condurre la vita anche in mezzo alle catastrofi più grandi, noi possiamo portare una parola che sia vera, duratura ma anche calma e gentile. Pierre Teilhard de Charden in prima linea durante la guerra del 14′, mentre i suoi amici gli morivano sotto gli occhi ascoltava il cinguettio degli uccelli, guardava la luna ed intuiva il futuro del mondo in evoluzione. Come avrebbe potuto se non fosse stato per la sua immane fede ?
Con queste due ali che ci sorreggono, lavoro interiore e fede in Cristo possiamo inoltrarsi in ogni ambito con grande umiltà ma anche forte decisione per aprire una breccia alla ricerca di quel senso della vita che si fa piccola nel vicinato di dove abitiamo o lavoriamo e grande negli ambiti pubblici, amministrativi, ma che sempre richiede le stesse cose: di essere riconosciuti e rispettati nel nostro essere persone umane senza dismisure così sproporzionate fra gli uni e gli altri e nell apertura per tutti di una vita ricca di relazioni e creatività per il bene sociale e personale.
Grazie ad Antonietta e un grazie a tutti quelli che hanno postato commenti.
Un cambiamento anche se faticoso e doloroso con il vostro sostegno e contributo e’ possibile.
Mi basta sentire questo per sentirmi meglio.
Ringrazio tutti per i commenti e spero che possiamo continuare a sentire insieme la speranza e la gioia di questo pensiero, che contesta e costruisce allo stesso tempo.
Secondo me è proprio la solidità di questo modo di pensare, di studiare e poi di credere e agire che farà la differenza.
Auguro a me e a voi di continuare ad affrontare con il nostro metodo iniziatico anche i temi più complessi, i nostri “interiori” e quelli del mondo.
Un caro saluto
Antonietta