Ormai è più di un mese che il mondo intero si trova in una situazione assolutamente inaudita. Una condizione che è indubbiamente di lutto, privazione, paura, ma che d’altra parte manifesta dei segni innegabilmente promettenti che fino a pochi mesi fa erano del tutto inimmaginabili.
Rob Jackson ad esempio, presidente del Global Carbon Project, ha di recente scritto: «Non sarei scioccato nel vedere un calo del 5% delle emissioni di CO2 quest’anno, qualcosa che non si vede dalla fine della seconda guerra mondiale. Né la caduta dell’Unione sovietica né le varie crisi petrolifere degli ultimi 50 anni hanno influenzato le emissioni come questa crisi».
La domanda petrolifera mondiale è in crollo vertiginoso, e in generale i rendimenti previsti dei combustibili fossili sono precipitati dal 20% al 6%, vale a dire in linea con quelli dell’eolico e del solare. Qualcosa di unico, che non si sarebbe mai e poi mai verificato spontaneamente. Come ha dichiarato Kingsmill Bond, analista di Carbon Tracker, «questo significa che quasi sicuramente il picco delle emissioni è stato raggiunto nel 2019, e forse anche quello dei combustibili fossili. È ancora possibile una nuova impennata nel 2022, ma sarà di breve durata e poi comincerà una discesa inarrestabile».
Questi pochi ma impressionanti dati ci mostrano a mio parere la straordinaria complessità della fase storica che stiamo attraversando. Una crisi terribile, ma che non è affatto riducibile al linguaggio terrorizzato e spesso terroristico che ci viene imposto tutti giorni dai mezzi di comunicazione ufficiali. La penosità della quarantena, che non fa che mettere ancor più in evidenza la fragilità ormai conclamata della nostra democrazia, viene aggravata dalla mancanza di chiavi interpretative spiritualmente all’altezza di questo evento storico.
Un evento che dopotutto conferma in modo inequivocabile la natura essenzialmente apocalittica del nostro tempo, proprio come Darsi Pace va sostenendo a chiare lettere da decenni. Che già l’intero XX secolo sia una immensa e catastrofica svolta nella storia antropologica non è d’altra parte una nostra invenzione: sociologi, antropologi e scienziati di tutto il mondo sembrano ormai avallare questa consapevolezza, che ha radici per altro nelle fondamenta stesse della modernità in quanto tale.
Il Coronavirus ci sta solo dicendo che il punto limite di un intero assetto psico-cosmico della civiltà è veramente arrivato. I modi di vita più elementari che fino all’altro ieri erano assolutamente indiscutibili e irrefrenabili oggi sono proibiti per legge o messi quantomeno in forte discussione, costretti ad una riformulazione radicale che difficilmente sarebbe subentrata senza un qualche scossone di un certo peso.
Di fronte a questo scenario sconvolgente, tragico ma anche indubbiamente propizio e carico di potenzialità, il silenzio imbelle del mondo culturale è quantomeno disarmante. È possibile che di fronte a questa sfida inaudita non si sentano parole diverse, più nutrite di visione, di senso e di un orientamento spirituale che ci aiuti non solo ad affrontare le difficoltà presenti, ma soprattutto a costruire un futuro auspicabile nell’ignoto mondo che ci attende dopo la crisi stessa?
In che modo occorrerà riformulare non solo i nostri modi di vita più elementari, ma la nostra stessa mentalità e pensiero condiviso? In quali termini una battuta d’arresto come questa ci costringe addirittura a rifondare alla radice il nostro modo d’essere umani sulla terra, a partire dalla nostra più intima condizione interiore?
Per questo ora urgono parole potenti, parole nuovamente ispirate e lungimiranti, che sappiano non meno che reindirizzare il corso planetario della civiltà umana. Occorre quindi ripensare in questa chiave l’Europa, l’economia, la politica, la cultura, la democrazia stessa e tutti quei luoghi antropologici che consentono all’umano di essere se stesso e di accrescersi nei secoli come specie.
Una nuova voce deve cioè emergere dal silenzio misterioso e tragico di questa quarantena globale.
Questa pandemia è come un grande sipario che discende sul teatro antropologico a cui abbiamo preso parte fin qui: è quindi il segno di un possibile ricominciamento, assai fecondo e attraente, della storia del mondo per come l’abbiamo sempre conosciuta.
Ecco perché domenica prossima, alle ore 17:00, terremo in diretta sulle pagine di Darsi Pace e dell’Indispensabile un grande evento telematico dal titolo Reset – Ripensare l’umano nella quarantena globale.
Seguiteci in molti, affinché tutti possiamo contribuire a questa grande chiamata rifondativa per l’avvenire dei prossimi secoli. A domenica! –
Grazie caro Luca.
Hai ragione, mi sembra che in ben pochi ambienti si abbia il coraggio di prendere di petto questa sfida, di rimettersi in discussione per formulare veramente un “nuovo pensiero”. Di qui forse il sollievo che avverto nel petto, leggendo il tuo post, e di contrasto, il senso di noia e insopportabile perdita di tempo, che mi assale di fronte all’ennesimo dibattito televisivo su come affrontare al meglio il periodo del Coronavirus.
Vorrei confrontarmi proprio su questo, che mi sembra non sia fuori tema rispetto al tuo post. Ovvero non sui massimi sistemi, ma su una cosa proprio “di pancia”, se volete. Voi riuscite ancora a seguire con qualche interesse uno di questi dibattiti televisivi? Anche con intellettuali di grido, dico. Con fior fiore di intellettuali, scienziati ed economisti, dico.
Io no.
Se allora parlo con la mia pancia (“Perché non vuoi ascoltare, pancia? Che hai?”) lei mi dice (con le contrazioni muscolari, non a parole) che non ne può più del teatrino solito. Di gente che non accoglie nemmeno nell’anticamera del cervello l’ipotesi di cambiare veramente qualcosa, da ora in poi. Nonostante quello che dicono, mi sembra tutta gente che non vede l’ora di riprendere le corse di prima, tali e quali. E con queste, riprendere a fronteggiare la propria infelicità strutturale, stemperata qui e là da un aperitivo o una piccola trasgressione, o desiderio di trasgressione, ma niente di più.
Gente che non ci crede più che qualcosa possa veramente cambiare, nella loro vita e (dunque) nel mondo. E siccome non ci crede, tenta di barcamenarsi fino a che, per età e salute, rimane un soggetto attivo. Poi dovrà necessariamente cedere il timone, ma per ora non ci pensa.
Quella gente (quello stato dell’essere) così mirabilmente descritto in “Time”, pezzo del lontano 1973 (se leggete il testo, capite molto bene: fatelo)
https://www.youtube.com/watch?v=JwYX52BP2Sk
Quella gente mi riguarda, perché quella gente, spesso, comprende anche me.
Solo che ogni tanto riesco a vedere che c’è altro, oltre la “quieta disperazione” del canto, c’è appunto un altro canto.
Bisogna fare la fatica di ricordarlo, di aggrapparsi alle occasioni (come questa) che ci aiutano amichevolmente, a ricordarlo. “Imparare a guarire”, mi dico sempre, è un lavoro, bisogna andare contro la forza di gravità.
Come ogni vero volo, è una sfida alle forze apparenti.
Gli ospiti dei salotti televisivi (anche se da casa) ripetono parole piccole, non vogliono spaventare nessuno, ma così facendo alimentano la nostra percezione tristezza e il nostro sentimento di impotenza. Soffiano sulle nostre tentazioni menzognere; non per cattiveria, ma perché in cuor loro, non pensano sia possibile altro. In cuor loro, hanno preso questa infezione moderna, del nulla, e sono “morti” alla speranza.
E invece non è tempo di pensiero piccolo. Come si fa davanti alla morte rimanere ancorati al pensiero “debole” ?
Ci vuole un pensiero potente, una parola potente. Altroché.
Paragonabile alla caratura del desiderio del cuore: roba forte.
Mica per educande, per timidi commentatori, o pacati predicatori.
“Per questo ora urgono parole potenti, parole nuovamente ispirate e lungimiranti, che sappiano non meno che reindirizzare il corso planetario della civiltà umana. Occorre quindi ripensare in questa chiave l’Europa, l’economia, la politica, la cultura, la democrazia stessa e tutti quei luoghi antropologici che consentono all’umano di essere se stesso e di accrescersi nei secoli come specie”, tu dici, definendo la rotta con precisione.
Da fisico, poi, capisco che ci vuole veramente tutta la distrazione del mondo, per scansare quel senso di meraviglia che viene dalle nuove scoperte della scienza, e del cosmo. Tutto ci provoca a fare il salto, tutto dice “non vedete? sapete quanto è grande l’Universo, sapete quando è nato, sapete che l’avventura di capire il 95% del tutto è appena iniziata, e vi accontentate? Non fate il salto verso il nuovo pensiero? Il vecchio è finito, finito, finito”
Per niente di meno, vale la pena di attraversare questo periodo, per questa infezione di nuovo pensiero.
Grazie.
E’ la prima volta nella storia del pianeta che miliardi di esseri umani si chiedono lo stesso “perchè?”.
Davanti alla carestia, al terremoto, alla peste come descritta da Manzoni ne “I promessi sposi” con l’immagine di Cecilia, ed oggi davanti al Covid19 le persone non possono non chiedersi:”Perchè?”.
La domanda può accompagnarsi a comprensibile angoscia, dolore, rabbia, ribellione, ma insieme ad interrogativi esistenziali su sè stessi e sulla vita, e su società, economia e politica.
Il “perchè?” oggi lo si può rivolgere alla Cina, alla globalizzazione, a sistemi economici rapaci sia comunisti che del capitalismo finanziario, al disprezzo nei fatti del Creato anche se come ambiente viene tanto osannato a parole.
Poi i perchè si estendono ai governi che non hanno nemmeno le elementari mascherine, o alle Regioni tutte travolte dalla immane catastrofe.
Lo stesso atto di rivolgersi domande su temi fondamentali è una “con-versione” che a me sembra una rivoluzione copernicana consistente nella capacità delle persone di trasferire lo sguardo dai computer e dagli smartphone pieni di chiacchiere che distraggono alla propria interiorità.
Infatti è l’essere umano che deve leggere il mondo per vedere “i segni dei tempi”.
Siamo noi umani che costituiamo la coscienza del cosmo che conosce sè stesso proprio attraverso noi.
Abbiamo sperimentato il profilo antropologico illuministico che ha dato risultati fallimentari, perchè era monco, ed infatti oggi gli intellettuali, che sono caduti nella fossa del loro nichilismo disperato, davanti all’immane tragedia del Coronavirus non possono che essere in un “silenzio disarmante”, e io direi anche inebetito e che fa pena.
Se è così, vuol dire che è a noi che è demandato il compito di usare la nostra capacità di capire per creare un futuro diverso, e lo dobbiamo fare attraverso la ragione benedetta, ma accompagnata da una fede, da una visione dell’essere umano completo, con un profilo antropologico che della persona valorizzi l’interiorità e la spiritualità.
Concordo con l’amico Castellani che la valanga di dibattiti televisivi è semplicemente inguardabile, con la maggior parte degli invitati che sono lontani anniluce da quelle visioni creative e salvifiche che invece a noi sono offerte, ma solo ad una condizione: che stiamo nella fede aperti ad essere canali, cioè solo strumenti ma formidabili.
Buon lavoro a te,Luca, e a tutti gli amici de “L’Indispensabile”
GianCarlo
ciao a tutti,
vorrei dare un piccolo contributo a questo dibattito, indicandovi il link di un articolo dell’economista Yunus, Premio Nobel per la Pace, apparso su Repubblica di oggi. In questo articolo Yunus, fondatore del Microcredito, ridisegna la nuova economia mondiale del dopo coronavirus, propugnando l’impresa sociale. Questa è l’occasione decisiva per farlo, ci dice, siamo davanti ad una oppurtunità senza precedenti!
Finalmente una proposta concreta in mezzo a tante chiacchere ideologiche e non che abbiamo letto e ascoltato ovunque in questi due mesi … Speriamo che l’appello mondiale di Yunus dia i suoi frutti, risvegliando le coscienze, altrimenti quando ci ricapiterà un’altra occasione?
https://www.repubblica.it/economia/2020/04/18/news/coronavirus_yunus_non_torniamo_al_mondo_di_prima_-254319011/?ref=RHPPTP-BH-I254328403-C12-P4-S4.3-T1
Un caro abbraccio
Palma
Ho grande stima di Yunus e del microcredito, e penso che l’impresa sociale sia prospettiva innovativa e molto buona.
Mi spaventa però Yunus quando afferma che lo sviluppo economico “renderà tutti felici”.
E quando dice che bastano un buon hardware e un buon software;
basta che tutti abbiano consapevolezza sociale ed ambientale;
basta un’economia nuova guidata da un buon governo.
Ma perchè e da dove dovrebbe nascere il buono nell’economia e nei governi?
Si chiede un’alternativa al neoliberismo finanziario ingordo e predatore, e questo è giusto.
Ma alla radice si mette ancora l’illusione illuministica di Rousseau: e questa ha già fallito perchè insufficiente e monca.
caro Giancarlo,
premesso che non condivido la riduzione, più o meno distorta, che fai delle parole di Yunus, penso che invece di filosofeggiare sulla persona di Yunus, dovremmo concentrarci e valutare la proposta che lui fa: rientra nella nostra visione dell’Uomo Nuovo? Ci può aiutare a creare una nuova economia? Se sì, come tu sembri affermare, allora chiediamoci: cosa possiamo fare per promuoverla? Forse se ne potrebbe parlare a Darsi Polis, forse il gruppo dei giovani potrebbe informarsi e approfondire questo argomento … si potrebbero fare pressioni sul Governo per far mettere a disposizione dei fondi per realizzare le imprese sociali, per dar loro dei vantaggi fiscali etc etc … insomma ora serve concretezza.
Un caro saluto
Palma
Buongiorno a tutti,
Ho letto l’articolo di Yunus e condivido sia l’interesse di Palma che i dubbi di fondo di Giancarlo. Non credo però che ci sia una contraddizione: la visione ( ultraterrena, eterna per noi cristiani) deve coniugarsi con i piccoli passi sempre parziali della realtà. Io credo che dobbiamo proprio abituarci a questo, a vedere la Terra dall’immensità dell’Assoluto e allo stesso tempo a cercare quello che è possibile fare adesso, nella concretezza, nell’inevitabile ambiguità.
Alla fine poi è la stessa cosa che accade nelle nostre vite…
A oggi pomeriggio, con tutto il cuore sono con voi e con l’Indispensabile.
Antonietta