Sono giorni difficili, nel segno di un evento che ha portato confusione e paure, nuove regole di comportamenti caldamente raccomandati e sempre più obbligati, che hanno drasticamente limitato la libertà di spostamento, di relazioni e di lavoro, confinando i più nelle loro case, come agli arresti domiciliari. Per me tutto questo è molto strano, perché da diversi anni ormai vivo in un regime autoimposto di forte isolamento, e ciò che della mia situazione fino a ieri era anormale agli occhi del mondo, in un certo qual modo è oggi forzata esperienza di un po’ tutti quanti. Sebbene mi sia separato molto dai miei simili, sento dentro di me le stesse emozioni di tutti, le paure, la rabbia, la confusione dei pensieri, come portate dall’aria che respiro. Perlopiù sono negative, mi avvelenano l’anima e mi fanno sentire ancora più solo.
Io non so niente, ma forse una cosa l’ho capita. Per quanto siano ridotti i contatti col prossimo, al punto di credersi naufrago su un’isola deserta, fili invisibili ci collegano a un sentire comune e la qualità di ciò che percepiamo ci orienta in forme ancora più profonde di separazione e solitudine, oppure accende un piccolo fuoco di speranza, il desiderio di far breccia nell’isolamento e di tornare tra gli altri per superare i traumi che ci hanno sconvolto, trovando forme nuove di relazioni, di cura reciproca, e più sane di quelle che ci portano tanta ingiustizia, disuguaglianze, sofferenze e infelicità.
La questione è come fare, come costruire la zattera su cui avventurarsi per lasciare l’isola deserta che più o meno ognuno di noi è. Non dovrebbe essere difficile, perché bottiglie con messaggi di ogni genere si accumulano portate dal mare sulle spiagge solitarie. Informazioni, disposizioni, regolamenti e leggi a non finire, certo utili per sopravvivere con l’apparenza d’aver fatti grandi progressi, e utili anche a non pensare, ma non per avere una visione che aiuti a prendere il largo. Senza che sappia dire perché, non ho smesso di cercare e mi sono lentamente accorto che ogni tanto arrivano bottiglie contenenti parole diverse, che mi dicono qualcosa di nuovo. Mi parlano di un continente, al di là del mare, dove un’umanità risanata vive, si evolve e lavora per un futuro diverso. Sono parole che sento animate e che mi dicono come fare, con metodo e per gradi, se quel continente voglio raggiungere, o sull’isola restare.
Ciao Andrea e grazie per le tue parole. Ho avuto la fortuna di incontrare, anni fa, in India, Vickie Mackenzie,autrice del libro ‘Cave in the snow’, durante un incontro a Dharamsala con i monaci buddisti tibetani.
Una cosa, tra le tante che disse, mi rimase profondamente impressa e risuono’ forte in me riguardo la sua permanenza solitaria e meditativa in una grotta per circa 14 anni. Disse di aver finalmente capito dopo una lunga meditazione che stare nella grotta da sola era troppo facile perche’ non c’era nessuno con cui si potesse confrontare, nessuno che la potesse provocare, nessuno che la potesse contraddire! Cosi capi’ che sarebbe dovuta, FINALMENTE, tornare tra gli umani ed immergersi di nuovo profondamente nella vita per poter continuare il cammino verso l’essenziale.
Caro Andrea, grazie.
Tu dici, “non ho smesso di cercare e mi sono lentamente accorto che ogni tanto arrivano bottiglie contenenti parole diverse, che mi dicono qualcosa di nuovo” e mi sembra molto significativo. Dobbiamo porre mano ad una grande e costante opera di “data mining” (direbbero i miei colleghi), estraendo l’oro dalla marea di informazioni, spesso futili, elargiteci come se dalla conoscenza dettagliatissima del dato numerico, si estraesse ipso facto un senso compiuto di ciò che accade.
Al proposito, già ieri nell’evento RESET del gruppo L’indispensabile, Gabriele Guzzi richiamava questo fenomeno della precisione estrema ed esasperata del dato, come fosse questo dato (aggiungo io) l’unica moderna “divinità” cui tributare attenzione e dedizione incondizionata, elidendo tragicamente la carnalissima necessità, che viene prima, di dare un senso a quello che vediamo accadere, inserirlo in un tessuto connettivo, conoscitivo, finalmente umano.
Viene bene qui, la celebre frase di Italo Calvino,
“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”
Dare spazio in noi a qualcosa che oltre la chiacchiera, ci porta notizie fresche di questo “continente della gioia” dentro il quale possiamo entrare ed uscire, in ogni momento. Qualcosa che spesso parla nel puro silenzio.
Questa forse è l’opera, adesso.
Caro Marco Castellani vorrei poter rilanciare con le parole di un mio caro amico, Peter Crawford, che diceva:”Non c’e’ inferno ma solo assenza di paradiso”.
Caro Federico, ti ringrazio per aver condiviso un tuo prezioso ricordo, il cui richiamo ti avrà fatto rivivere le emozioni di allora e che sento risuonare nelle tue parole. Questa tua riflessione ben si accompagna all’odierna lettura di alcune pagine di Massimo Diana, Credere, dove dice che due sono gli elementi essenziali dell’esperienza spirituale: il deserto e la relazione. Le vostre parole mi sono di conforto per attraversare un deserto che pare infinito.
PS: che ridere, mi hai fatto tornare alla mente un ricordo dell’India piuttosto imbarazzante. Anni fa, volli visitare i luoghi in cui aveva vissuto Bede Griffiths. Vestito d’arancione come un santo pellegrino, nella ressa per salire sul treno persi quella sorta di pareo male annodato. Non indossavo altro, credendo che sotto non fosse usanza portare mutande. Nell’improvviso silenzio del pur gremitissimo vagone, a me parve stonata la risata di una bambina, che diede il via all’ilarità generale. Fu così che ebbi la prima e unica illuminazione, l’immediata rivelazione che l’India non sarebbe stato il paese della mia iniziazione.
Caro Marco, nel tuo denso e bel commento io trovo solo oro, come del resto in ogni tuo intervento. Mi dai la speranza che anche nel mio silenzio, così rumoroso, così pieno di chiacchiera interiore, io possa infine far spazio a quel qualcosa di cui dici. Grazie!
Il dito e la luna. Siamo in tanti a succhiare un’infinità di “data”, in attesa di altri dalle centinaia di esperti governativi.
Nell’omelia delle 7 stamattina papa Francesco chiede a tutti di stare in quel silenzio che ci insegna ad ascoltare.
E ieri mattina aveva parlato dello spirito che soffia dove vuole e che noi dobbiamo sentire per “realizzarlo” in libertà.
Sono sbalordito perchè prima lo sentivo solo come una voce in mezzo a troppo vociare politico-mediatico.
Questo è un invito all’essere umano a fermarsi, a rientrare in sè stesso, a meditare come lui ci invita a fare nel fulgore dei dieci minuti di adorazione del Santissimo in silenzio assoluto, nientemeno che su Rai 1 : è un gesto rivoluzionario, una sfida potente alla babele della chiacchiera pervadente e pervasiva.
Dice anche che non dobbiamo fare opere buone e sante per santificarci.
Ma che dobbiamo convertirci e santificarci per fare opere culturali economiche e politiche sante.
Così potremo veleggiare verso porti sicuri, diversamente dalle navicelle dei governi e dei media per i quali vale il detto che nessun vento è buono per il veliero che non sa verso quale porto volgere la prua.
Caro Giancarlo, ho letto più volte il tuo intervento e a ogni passaggio mi sento preso da una sensazione strana, una sorta di calma e di urgenza al contempo. Come se dovessi e volessi partire, senza oltre indugiare, ma con la giusta misura di ogni gesto orientato a quello scopo.
Ritorno al tuo commento, alle tue parole precise e ordinate, stavolta facendo precedere e seguire la lettura da alcuni minuti di silenzio. Ed è un bel sentire. Grazie.
Ciao Andrea ho letto con interesse il tuo post che mi ha condotta dritta dritta a tanti anni fa alla fase in cui cercavo un posto sicuro e il coraggio per iniziare un viaggio necessario che sentivo premere dentro di me.
Sentivo” un piccolo fuoco di speranza, il desiderio di far breccia nell’isolamento e di tornare tra gli altri per superare i traumi che ci hanno sconvolto” queste tue parole sono la sensazione precisa di quel momento e anch’io scrissi un post che se vorrai puoi ancora leggere è del 2011 e si intitola “Il sottile senso della rinascita”
Credo che quell’episodio divertentissimo che ti è successo in India e che hai raccontato con tanta sottile ironia, che ti confesso ha fatto ridere anche me, rivela una tua capacità di affrontare e rielaborare anche gli eventi più scomodi, è evidente che hai una vivacità gioiosa e una carica di fiducia che deve solo emergere…infondo anche l’India ha contribuito al tuo percorso iniziatico facendoti cadere qualche illusione.
Patrizia! Dovrei fermarmi al punto esclamativo, perché non ho parole adeguate per dirti quanto il tuo commento sia provvidenziale, né per esprimerti come si deve la mia riconoscenza. Ho l’impressione fortissima d’essere stato letto dentro, dove l’accesso è vietato da un terribile guardiano della soglia. Il tuo potente post del 2011, i commenti di allora e quelli che qui hanno preceduto il tuo intervento, tutto ciò mi dà la stranissima sensazione di riconoscermi su un antico sentiero e non disperso nella foresta. Se i preziosi commenti precedenti mi hanno indicato una meta, tu mi mostri quale direzione prendere a un certo bivio. Mi è difficile capire come questo sia possibile e perché ciò mi tocchi così intimamente. È in questo modo che risponde, (e proprio a me!), il silenzio così a lungo interrogato?
Grazie!
Così agisce lo Spirito, ti legge dentro e poi ti risponde…ci sei Andrea, non avere paura della Speranza, apriti a lei e appena puoi abbandonati
Caro Andrea,
mi emoziona sempre leggerti.
Spero tu possa scoprire che non sarà una zattera su cui remare faticosamente a portarti in salvo ma un meraviglioso veliero a vele spiegate, gonfie del vento che conduce oltre il limite… quello dello Spirito!
Un abbraccio
Lula
Non sempre è fatica e disperazione la lunga navigazione. C’è incertezza sulla rotta, c’è la paura di non farcela ad attraversare la grande acqua, ma ci sono anche momenti meravigliosi, in cui spinti da `correnti favorevoli ci si abbandona a guardare le stelle e al canto delle balene. Il naufrago sulla zattera ritrova la speranza e il mozzo sul veliero sogna di essere capitano. Il vento è popolato di invisibili presenze e di voci amiche, che ci abbracciano eternamente. Così ora io ti sento, cara Lula, come una creatura di questo vento, di questo Spirito, e ti ringrazio per la tua amicizia.