I. Reset: ripensare l’umano durante la quarantena
Vorrei partire da un’affermazione personale:
anche in questa fase difficile, ambivalente, apocalittica per certi aspetti, ho fatto esperienza del fatto che la pratica spirituale può mutare lo stato delle cose.
Per pratica spirituale intendo quella dinamica di osservazione di sé e di connessione con la fonte dell’essere, che opera poi delle azioni concrete di riformulazione della vita comunitaria e politica. Dopo Cristo infatti, come dice Hoelderlin, Anche gli spirituali devono essere nel mondo.
La rivoluzione infatti è una trasformazione del mondo per come è dato e per come si è strutturato fino ad oggi, e questo tendiamo a dimenticarcelo. Accettiamo le cose per come sono, e così tendiamo ad avere un atteggiamento sottomesso, rassegnato e compiacente. Ci lamentiamo tutti di come vanno le cose, da che mondo è mondo, ma alla prova dei fatti ciascuno di noi preferisce perlopiù le comodità della propria sicurezza psichico/domestica abituale.
E così stiamo male, perché la psiche è in quanto tale relazionale, e in quanto tale familiare, sociale ed ecologica. La psiche è politica nella sua stessa morfologia, in quanto abitata da strati e strati di inconscio collettivo, e perché la realizzazione piena di ognuno di noi è possibile solo nel terreno di condivisione e comunione politica con il resto dell’umanità.
Il singolo, l’individualità non esistono al di fuori di una collettività: la psiche è sempre sociale. La coscienza è sempre coscienza dell’Alterità: non esiste un io senza un non-io e soprattutto senza un Tu e un Noi!
II. Riscoprire la coscienza della rivoluzione
Questo per dire che in questi giorni ho compreso forse ad un nuovo livello il nucleo fondativo di Darsi Pace. Le generazioni nate nel dopo guerra infatti, a partire dagli anni 80’, hanno via via abbandonato la speranza politica in una trasformazione del mondo, per come si è andata configurando a partire da metà ottocento.
Gli ultimi quarant’anni della nostra storia hanno visto un grande riflusso della coscienza rivoluzionaria, che aveva fatto forse indigestione rispetto ad una stagione politica segnata dalla violenza e da varie strategie della tensione.
Credo che da qualche anno siamo entrati invece in una fase nuova. Stiamo diventando sempre più consapevoli di come la crisi sociale ed economica procurino e alimentino sofferenze psicologiche ed ecologiche drammatiche. Stiamo cioè diventando consapevoli della insostenibilità del sistema tecno-mercantile che abbiamo costruito negli ultimi secoli.
Ci troviamo perciò, a mio avviso, nella fase storica singolare in cui riscoprire ad un nuovo livello la bellezza e la passione dell’impegno politico. Sì! Proprio questo ho sentito negli ultimi tempi: il gusto di prendermi cura e di dedicare le mie energie per cambiare il mondo. E scoprire che questo atto cura anche la mia psiche, in modi anche più radicali e profondi di quanto possa fare una terapia individuale a sé stante.
Come C.G. Jung, fra gli altri, ci ha fatto riscoprire l’importanza dell’esperienza personale, per la riscoperta degli articoli di fede, e cioè la provocazione alla trasformazione interiore come ricomprensione della rivelazione cristiana; così credo che questo tempo ci stia sollecitando a riscoprire, ciascuno per sé e tutti assieme, nel corpo direi, la bellezza di dare vita ad una comunità rivoluzionaria, ovviamente intonata alle sensibilità del nuovo millennio.
È solo scendendo nelle asperità e nelle oscurità della storia che realizzo me stesso e che integro, in ultima analisi, anche le dimensioni molteplici della mia anima.
La rivoluzione della nuova umanità è terapeutica, detto in estrema sintesi. Anzi potremmo dire che la nuova umanità nasce solamente al crocevia fra liberazione interiore e trasformazione del mondo. Lì dove manca uno dei due poli, sentiamo che qualcosa non va. Io voglio rinascere assieme agli altri e all’Essere di cui facciamo parte, questo sto comprendendo.
Ciascuno di noi soffre anche e soprattutto per un modello di vita troppo individualistico e competitivo, compensatorio e consumistico, e in fondo poco creativo e frustrante. Ciascuno di noi soffre cioè per la mancanza di luoghi e di tempi in cui ritrovarsi assieme ad altri esseri umani per condividere i processi di trasformazione interiore come slanci per una rigenerazione della vita collettiva.
Soffriamo cioè perché non riusciamo a riversare le nostre energie compresse nel terreno condiviso dell’esperienza.
III. La nuova umanità è coniugale
Perdonatemi la lunghezza del testo, ma questo ho sentito e per me questo ha significato l’evento del 19 di aprile 2020. Il punto decisivo a mio avviso sta nell’integrazione della dimensione economica con quella psicologica, e della sfera politica con quella artistica, che in fondo ci hanno detto la stessa cosa a livelli differenti:
questo reset ci sta mostrando in modo evidente che i paradigmi su cui si fonda il sistema di potere dominante sono inefficaci ad affrontare le sfide del prossimo millennio.
Non è questione di essere d’accordo o meno: siamo chiamati a ripensare il sistema nella sua complessità. La rivoluzione è cioè l’unica opzione sostenibile per la salvezza dell’umanità e dell’ecosistema. Questa rivoluzione implica poi una conversione personale e una prassi storica di trasformazione concreta delle politiche economiche, della comunicazione di massa e delle organizzazioni partitiche. Se cioè non saremo capaci di riformulare a questo livello di profondità le dimensioni fondamentali della nostra esistenza, saremo destinati al fallimento. Più a fondo questa rivoluzione necessità di una creatività poetica capace di risvegliare l’anima occidentale proprio alla fine dei tempi.
Stiamo cioè tentando di elaborare una visione anzitutto, un terreno nel quale integrare gli aspetti evolutivi della modernità e le critiche legittime che ad essa sono state mosse. È un’integrazione politica dell’ombra che gli ultimi secoli hanno prodotto, perché hanno voluto proseguire testardamente nella loro unilateralità, così come accade oggi, senza ascoltare quelle voci di protesta delle distorsioni del sistema, di cui il comunismo è stata una manifestazione esemplare.
Ecco l’insegnamento: la discesa a terra, ovvero la misura dell’atto poetico/politico, è la via per la guarigione. Una rivoluzione animata da un nuovo entusiasmo che però sia consapevole delle difficoltà e delle prove dell’incarnazione. Una rivoluzione cioè che non divenga preda di facili illusioni, o di movimenti adolescenziali di contestazione. Una rivoluzione adulta, che richiede anzitutto di essere riscoperta e vissuta dentro di sé, in una relazione nuova con gli altri e con la vita.
Ecco il link alla diretta:
Caro Francesco,
ho riletto adesso, con calma e direi con gusto, il tuo ottimo articolo. Mi pare di poterlo chiamare (ri)fondativo, perché non ha scandalo di (ri)percorrere i passi sostanziali che danno luce e calore alla visione portata avanti da Darsi Pace, la quale poi, a sua volta, non è appena una “genialata” estemporanea e magari scaltrita ma cresce (ed in questo dimora luminosa la garanzia della sua robustezza) nell’ascolto umile ed aperto della natura e del significato stesso dell’Incarnazione, per cui il mondo “ci riguarda” e non è appena un accidente alla libera espansione del nostro Sé o qualcosa da cui estraniarsi in cerca di chissà quali mistici traguardi.
E capisco in prima persona, che se dico che “mi riguarda”, vuol dire che non posso “imparare a guarire” senza prendere il mondo, e l’intervento politico su di esso, come una variabile imprescindibile della mia guarigione. Lo capisco adesso, ma devo sempre (ri)comprenderlo, perché devo fare questo lavoro oltre il pensiero dominante, il pensiero pigro: quel pensiero che negli anni settanta ci chiamava ingenuamente alla prospettiva di un mondo rivoltato finalmente libero da ogni alienazione, che oggi in spensierata antitesi, ci convince di un mondo inossidabile e su cui nessuna possibilità di intervento è possibile, invitandoci a ritirarci nella cura dei nostri “malesseri speciali” (come lucidamente cantava Franco Battiato in “Un’altra vita”, canzone il cui testo andrebbe probabilmente imparato a memoria, dove nella polarità da superare tra “eccitanti/ideologie” e “tranquillanti/terapie” dice già tutto).
Sono abbastanza “antico”, e ho vissuto la stagione in cui ci si illudeva di “guarire” intervenendo sul mondo, senza alcun lavoro specifico su di sé. Adesso il campo si è ribaltato, si cerca risposta al proprio disagio nella spiritualità disincarnata e/o nella terapia psicologica, convinti che se almeno il mondo va in rovina, ci si possa costruire un ambito, si trovi un riparo, magari sul lettino di un terapeuta. Se niente può essere cambiato, e per questo sto male, che almeno io trovi un rifugio!
Caro Francesco, non è sbagliata la terapia psicologica, so per esperienza che a volte è necessaria. Né è sbagliata, in sé, l’idea di intervenire sul mondo. Ad essere sbagliato – lo capisco meglio leggendoti – è prendere queste polarità come separate, seguire una o l’altra a seconda della moda, che è ultimamente determinata (mi insegna da sempre don Giussani, che non era esattamente un trotskista) proprio dal potere.
Sganciare le due polarità alla fine è rendersi inefficaci, creativamente e generativamente impotenti, e questa impotenza – poiché nasce da una opzione interiore e non da una circostanza oggettiva – ricade a peso maggiorato sul nostro stato di salute, interiore ed esteriore.
Perciò, ogni tentativo serio e appassionato di riconnettere queste due polarità, mi viene da pensare, è intrinsecamente e irrevocabilmente rivoluzionario. Ed è, mi viene anche da pensare, totalmente cattolico. E fa stare meglio.
Aggiungo un nota generazionale. Noi “grandi” (alcuni di noi) abbiamo spesso scosso la testa, di fronte a certe pretese “rivoluzionarie” dei tempi passati. Ma anche se non abbiamo condiviso certe istanze, ugualmente ci sorprendiamo alla volte con una grande nostalgia addosso. Perché alla fine l’idea che si potesse cambiare il mondo, rendendolo migliore, più bello e leggero, ebbene quell’idea ci piaceva. Ancora ci piace.
Dunque riprendere un’idea di rivoluzione possibile, aggiornandone i tratti, è anche molto terapeutico.
In fondo, l’anima nostra, attende questo.
Caro Francesco, giustamente dici dell’indigestione di politica e del rivoluzionarismo degli anni ’80, quando dalla miriade di gruppi eversivi sono derivate le Brigate rosse.
Il fatto è che quella indigestione ha provocato la morte della passione politica per diverse generazioni.
Il virus all’origine della malattia era un’ideologia dalla genesi lunghissima che ha lasciato irrisolti ancora oggi gli anni di piombo, la resistenza/guerra civile (al Porziùs i partigiani comunisti hanno fucilato tutti capi partigiani cristiani del Friùli), lo scontro tra socialisti e comunisti del 1919 che ha spalancato le porte al fascismo, e prima Porta Pia.
Nel 2020 fanno premio ancora le cristallizzazioni ideologiche e la storiografia agiografica, conseguenza di un mix micidiale di giacobinismo e di bolscevismo.
Ognuno di noi può sperimentare che chi racconta fatti “sconvenienti” viene tacciato “di destra”.
Ma la purificazione della memoria per la pacificazione è alla base di tutti i processi di riconciliazione attuati nel mondo.
E credo che sarà possibile anche per noi e si tratta, come dici, di integrare l’ombra: così come lo facciamo a livello personale, va fatto anche a livello di storiografia.
Occorre rileggere la storia per integrarne tutte le ombre, tutte insieme, sennò il processo sarebbe sterile.
Oggi credo che possiamo ricordare il 25 aprile in una prospettiva di scioglimento delle durezze persistenti per procedere alla ricostruzione che ci interpella nel disastro del coronavirus, perchè “niente sia più come prima”.
A proposito di 25 aprile voglio ricordare che sono alla scuola di mio padre che al tempo della dittatura era obbligato, nel sabato fascista, a fare istruzione militare. Ha sempre indossato la divisa da ufficiale e mai la camicia nera, che sarebbe stata più conveniente, ma lui era un cattolico antifascista: e gliene sono grato.
Francesco, hai sintetizzato il lavoro di “Reset” che il gruppo de “L’Indispensabile” ha fatto, ed io concordo con la linea tracciata, con i passaggi necessari, con la “visione” che anima tutto.
E dici : “Questa rivoluzione implica poi una conversione personale e una prassi storica di trasformazione concreta delle politiche economiche, della comunicazione di massa e delle organizzazioni partitiche”, sennò falliremo.
Conosco l’urgenza delle questioni incombenti, e vedo il sacro furore giovanile, ma la mia lunga esperienza mi dice che per non fallire dobbiamo essere consapevoli che per creare i presupposti per una rivoluzione democratica del XXI secolo occorre un lavoro di diversi anni sul piano culturale.
Lunghi anni per costruire, far maturare e diffondere una cultura nuova, e solo con quella potremo passare ai livelli della costruzione di una politica, di un’economia, di una giurisprudenza nuove.