La nostra vita quotidianamente ci mette di fronte ad un grande problema: liberarci dei rifiuti. Ogni nostra attività ne produce, da quelle domestiche a quelle lavorative, persino le nostre necessità fisiologiche. Ne produciamo enormi quantità e abbiamo anche imparato abbastanza bene a distinguere i materiali riciclabili per riporli negli appositi contenitori, che gradualmente si riempiono. Eppure ad un certo punto questi rifiuti scompaiono dalla nostra vista e una volta arrivati al cassonetto possiamo anche dimenticarcene. Che liberazione, sono sparirti! In realtà sappiamo bene che non è così. L’immondizia è un grave problema dell’umanità, occupa un sacco di spazio e inquina l’ambiente. Ma finché non vediamo le immense discariche o gli ammassi di spazzatura per strada cerchiamo con tutto noi stessi di ignorarlo.
L’usuale modo che abbiamo di porci nei confronti della nostra interiorità mi sembra del tutto simile: scartare come un rifiuto ciò che non ci piace di noi stessi, nasconderlo alla nostra vista come l’umido sotto al lavello e finalmente, dopo un certo tempo, dimenticarcene.
Credendo di eliminare così i brutti pensieri, le paure, le cattiverie, la disperazione e l’avidità di cui siamo portatori, li nascondiamo in apposite discariche all’interno di noi stessi. E questi rifiuti, come quelli organici, cominciano presto a puzzare di marcio. Anche se compressi e ben nascosti hanno un odoraccio che passa i più stretti serraggi della nostra maschera. Ma un bel sorriso cerca di cancellare tutto: “Buongiorno, tutto bene?” “Tutto bene, grazie e a lei?”. Dietro a quella falsa benevolenza nascondiamo anche i nostri malesseri corporei, le nausee, i mal di testa e le articolazioni che non sempre scorrono fluidamente.
E così ho fatto anch’io per tanto tempo. Nel tentativo di smaltire questi rifiuti interiori avevo sperimentato un sistema di stoccaggio della rabbia all’interno del mio addome, ma non funzionava gran che: mi provocava una pessima gastrite… Tentando con la compressione ho provato a soffocare le paure più recondite tra diaframma, cuore e polmoni: poco spazio, il respiro non mi saliva più bene e cresceva l’ansia. Per non parlare delle mie sicurezze razionali: trovato posto nella colonna vertebrale mi bloccavano tutta la schiena! Il tentativo di incenerire questi rifiuti, poi, ha creato solo una forma più difficile da smaltire: pareva inquinarmi a tutto spessore, creando depressione e sconcerto.
Non ha funzionato nemmeno lo sgombro di rifiuti pericolosi verso altri soggetti umani (alcuni pure disposti a sacrificarsi per me!): scaricando su di loro le mie nefandezze interiori ottenevo solo un’atmosfera più inquinata, poco respirabile e scarsamente luminosa.
Insomma, per dirla breve, ho dovuto trovare altri sistemi di gestione del rifiuto. Mi son detto: non è che magari ci tiro pure su qualcosa?
Partendo dalla differenziazione mi è parso tutto più semplice. A volte non tutto è chiaro come sembra, e analizzando bene si vede come la rabbia sia solo l’involucro della paura, e la paura qualcosa di molto vecchio che ammuffisce il presente. Addirittura ho trovato in cantina roba dei miei genitori, probabilmente anche dei miei nonni e di chissà quali altri parenti e antenati che non ho nemmeno conosciuto. Tanta immondizia da smaltire, ma mica tutto da eliminare, si intenda bene! C’erano un sacco di buone intenzioni, di belle intuizioni e creazioni, magari un po’ da rivedere meditandoci su, condividendo con esperti maestri e consultando un buon Manuale. Talora gli schemi di montaggio di qualche strano meccanismo non apparivano chiari, ma una volta smontati e ripuliti delle ingiunzioni e dei mascheramenti, portati in un clima anche un po’ più favorevole, dall’umida cantina al silenzioso appartamento, già mi sembravano meglio intenzionati. Addirittura da quello che prima consideravo solo pattume ne sono usciti preziosi oggetti e pezzi unici!
In questo lungo lavoro, quasi infinito, di sgombero di cantine e soffitte, sto trovando molto di me, e devo dire che questo riciclaggio interiore è proprio divertente, quasi un’arte! Si è fatto spazio, l’aria è più respirabile e la Luce passa più viva. E anche molti sintomi corporei sono migliorati… Ma questi malesseri fisici sono davvero una manifestazione delle mie sofferenze più profonde? E le malattie vere e proprie possono avere una genesi simile?
Prossimamente, come gruppo DarsiSalute, cercheremo qualche risposta, andando un po’ più nel profondo dei significati, che nelle varie visioni culturali assumono interpretazioni diverse, motivando anche approcci di cura differenti.
Questo articolo tocca un particolare che vivo con grande sofferenza, ma che grazie al lavoro interiore mi fortifica. Anzi, fa in qualche modo di questi rifiuti tele e colori perfetti. Ferite immense si trasformano in spinte liberatorie verso il celeste. E questo lo vivo in particolare nelle relazioni: da sempre le ho sofferte perché laddove bisogna essere formali e ben mascherati al quadrato sento una forte costrizione, anche nel mascherare il rifiuto. Gli amici diventano conoscenti con i quali non si può condividere il profondo, perché non si ci si pone nemmeno il problema se c’è qualcosa da scoprire oltre l’attuale miseria che si conclude con lo stesso finale ogni giorno. Anche le amicizie che sembravano più vere stanno in superficie su spessi ghiacciai. Allora i rifiuti interni ed esterni grazie al lavoro svolto e in corso cambiano forma… per forza e con amore. Restando spesso nella sofferenza di un abbraccio che cerca di aprirsi, ma rischia di rimanere apertura a senso unico.
Grazie caro Pier Luigi,
quello che scrivi mi tocca intimamente, corporalmente. Mi accorgo di condividere tutti i sistemi che hai tentato per sbarazzarti della “spazzatura”, e purtroppo, anche la percezione dell’inutilità, se non del danno, di tali sistemi di “smaltimento”, che come ben dici, non smaltiscono un piffero.
La differenziazione che tu mostri, è certo un buon metodo. Per differenziare dobbiamo “toccare” questo strato che ci imbarazza, iniziare dunque a metterci in relazione con esso, non solo a prendere le distanze. Io accanto a questa, proverei a mettere la difficilissima pratica del “non giudizio”.
Mi spiego.
Spesso la mia “spazzatura” sono pensieri e comportamenti che vengono a smentire, ad infrangere privatamente ma direi clamorosamente, la maschera che mi sono fatto di me stesso (persona compassata, gentile, comprensiva, pacata, equilibrata nelle passioni, con varie qualità spirituali lungamente maturate, etc…), e dunque hanno anche un ruolo prezioso, nel loro disordine. Mi dicono “vedi, ti stai soffocando! Non sei solo la tua maschera, dentro di te c’è un istinto vitale che hai compresso, recitando un ruolo…” Più io mi aggrappo alla maschera pensando che se la levo posso morire (e tutte le paure tremende che mi vengono addosso, dicono di quanto c’è da curare!), più loro vengono a mostrarmi tutta l’inadeguatezza esistenziale di questa mia “politica”.
Comprimere gli istinti vitali li fa regredire e “puzzare”. Noi abbiamo tanta paura della nostra visceralità e carnalità e la nascondiamo dietro un aspetto apparentemente ben ordinato, socialmente accettato, apprezzato in famiglia o in comunità, anche se spesso siamo spaventatissimi da quello che rumoreggia dentro.
Forse dunque, il primo allenamento è di non giudicarci. Anche il cattivo odore diminuirà, nel tempo in cui piano piano ci “permettiamo” di essere come siamo (e soprattutto, ci permettiamo di sentirci perdonati per come siamo). Senza prima accogliere la “spazzaura” ed addirittura amarla, non potremo bonificare niente in noi stessi.
“Gesù dice a ciascuno di noi: «Ama quella parte di te che non vorresti avere. Comincia ad avvolgerla con l’amore e alla fine constaterai di avere in te una perla preziosa, perché nella ferita riconosciuta, avvolta dall’amore, sperimenterai il tesoro che ti porti dentro» ” (Paolo Scquizzato, “Elogio della vita imperfetta”).
Qui Gesù, mi viene da dire, è “duro” pur essendo “morbidissimo”.
Perché in realtà è il compito che ci indica, che ci è difficile.
Ma da soli, ci sarebbe impossibile…
Grazie.
Grazie cari per i vostri commenti. Il mio post, volutamente semplice e breve, giova dei vostri arricchimenti.
Ornella: credo che l’amicizia sia uno degli elementi che venga toccato profondamente dal lavoro interiore. Infatti, come scrivi, spesso ci accorgiamo che le nostre relazioni non hanno grande profondità e quando tentiamo di andarci l’altro non è facilmente disponibile. La mia sensazione è che, insieme alla trasformazione di noi stessi, gradualmente avvenga anche uno spostamento delle relazioni verso chi può risuonare con questa nostra nuova umanità. D’altro canto non potrebbe essere diversamente, ma non è facile, in quanto anche le vecchie e superficiali amicizie sono false sicurezze da lasciare… Non è nemmeno facile riuscire nella costruzione di nuove relazioni: richiede impegno, tempo, disponibilità, apertura, e magari sono io il primo a non averne, o metterne, a sufficienza. Il lavoro continua…
Marco: mi trovo perfettamente d’accordo con te per quanto riguarda il giudizio e la necessità di lasciarlo andare per un’accoglienza di noi stessi più aperta. Caspita, “amare la spazzatura” suona proprio riprovevole, ma una volta verificato che l’abbiamo concepita così per via delle convenzioni sociali, religiose ed educative, e sotto la spinta egoica del perfezionismo e della separazione… allora si può chiamare diversamente e accettare come parte di noi stessi, e del Tutto. Quello che resta è sempre un delicato lavoro di discernimento su cosa sia davvero da lasciare e cosa da trasformare o accettare anche così com’è, un po’ come nello svuotare la cantina. Ma risulta più semplice in quegli stati di noi stessi in cui sperimentiamo quell’affidamento liberato e liberante, in cui tutto è lasciato e tutto torna a noi allo stesso tempo come in forma “perfezionata”. Allora mi viene in mente Gesù che dice: «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt 19,29).
Sempre un po’ “fuori tempo massimo” come spesso mi capita per la lettura dei vari post sul sito…ma ci tenevo ad esprimere tutto il mio apprezzamento per questo scritto di Pier Luigi perché la metafora dei rifiuti e del loro smaltimento mi ha tenuto e mi tiene costantemente impegnata…posso dire da una vita!
E ancor di più in questo periodo che offre un po’ a tutti più disponibilità di tempo per fare piccoli e grandi ‘repulisti’ (anche se non è poi così facile perché si tratta di scegliere cosa vogliamo tenere, smaltire, riciclare…e farci inevitabilmente domande su domande su cosa valga la pena conservare (e rinnovare) piuttosto che eliminare del tutto!
Personalmente durante queste operazioni in me si alternano momenti liberatori di grande soddisfazione (soprattutto quando riesco a buttar via) ad altri dove un sottile senso di colpa si insinua a rovinarmi quello che ho appena portato a termine… in genere non dura molto anche perché mi consola il pensiero che finalmente ho fatto più spazio in casa, dal cassetto al grande armadio, alle singole stanze (e questo devo dire che mi fa respirare meglio) !
Grazie ancora Pier Luigi, ciao,
mcarla
Grazie Maria Carla, il lavoro non è affatto semplice e scevro da inciampi! In realtà ci sono anche oggetti che sembravano eliminati e tornano invece a rimaterializzarsi, spazi che apparivano liberati e puliti che ritroviamo sporchi e impolverati. Proprio come i lavori di casa, la pulizia e l’ordine interiore vanno continuamente ripresi e ricominciati. Però continuare in questo cammino, nel complesso, è sempre un po’ anche avanzare e approfondire, realizzarsi e rinnovarsi.
Un caro saluto
Penso proprio sia il compito di vita per ognuno di noi…
un abbraccio, mcarla
Mi piace molto questo post.
In effetti a volte buttiamo le cose perché non sappiamo come guardarle. Quel barattolo di marmellata finito che ieri avrei buttato, oggi in tempo di quarantena (di tempo lungo), posso guardarlo e vederlo come un vaso, in cui propagare piante. Somiglia al “fare tesoro” delle esperienze.