E’ con molto piacere che pubblichiamo l’appello dell’economista Lea Cassar e l’intervista da lei rilasciata a Dario Lo Scalzo per PRESSENZA – Agenzia Stampa Internazionale (23.05.2020)
Oltre ad essere titolare della cattedra di Economia Empirica all’Università di Regensburg (Ratisbona), Lea è anche una praticante dei Gruppi Darsi Pace.
In queste settimane ha lanciato un appello indirizzato alle nuove generazioni affinchè partendo dall’emergenza Coronavirus traggano spunti di riflessione e ricerchino delle opportunità per innescare un reale cambiamento sociale ed economico capace inoltre di far fronte alla crisi ecologica attuale.
Nel breve video l’appello di Lea Cassar. A seguire la stimolante intervista all’amica economista.
Buona lettura e buon ascolto!
- Spesso sono i momenti di crisi che spingono alla trasformazione personale e sociale. Anche l’emergenza Covid-19 può essere un’opportunità di cambiamento. In questi giorni lei ha stimolato i giovani a coglierla. Qual è la sua proposta?
- Io vorrei innanzitutto convincere i giovani che possono, anzi devono, assumere un ruolo di primo piano nello spingere per questo cambiamento economico e sociale. Chi meglio di loro? Loro sono il futuro. Se si continua con il modello economico attuale sono i giovani e le nuove generazioni che pagheranno il conto di questa crisi. Sono loro che erediteranno questa catastrofe ambientale e queste imbarazzanti disuguaglianze economico e sociali. Una via potrebbe essere appunto quella di lanciarsi nell’imprenditoria sociale.
L’emergenza Covid-19 deve essere un’opportunità di cambiamento. Il modello economico e sociale esistente, che persegue ciecamente la crescita economica, che impone ritmi frenetici alle nostre vite, che riduce tutto a merce, non è sostenibile, né da un punto di vista ambientale, né da un punto di vista sociale e personale. Questa non è certo la prima di crisi che affrontiamo (né sarà l’ultima se continuiamo a non capire!) ma una cosa è sicuramente diversa rispetto alle precedenti: per la prima volta il mondo si è fermato. È come se Madre Natura ci stesse dicendo: “ragazzi, prendetevi una pausa di riflessione”. Ecco, durante questa pausa io vorrei invitare tutti, ed in particolare i giovani, a iniziare a immaginare un nuovo mondo, un mondo migliore, in tutti i suoi dettagli. A domandarsi: Che caratteristiche avrebbe? Come possiamo promuoverlo?
Io credo che in questo nuovo mondo non ci sarà posto per il modello d’impresa “tradizionale”, il cui principale se non unico scopo è l’arricchimento personale attraverso la massimizzazione del profitto, spesso a scapito dell’ambiente e dell’equità sociale. In questo nuovo mondo va promosso un nuovo tipo d’impresa, la cosiddetta “impresa sociale”. L’impresa sociale è un’impresa come le altre, quindi caratterizzata da autonomia decisionale, approccio innovativo e modalità imprenditoriali, con l’unica differenza che il principale obiettivo non è la massimizzazione del profitto, ma il benessere sociale, il raggiungimento di impatti sociali positivi. Il profitto è sicuramente ben accetto, ma rimane uno strumento per raggiungere un obiettivo sociale piuttosto che rappresentare un obiettivo a sé, e dopo aver permesso il recupero dell’investimento iniziale, questo deve essere reinvestito, almeno in parte, nell’impresa. Quindi ciò che distingue le imprese sociali dalle organizzazioni non-profit ed enti caritatevoli è che esse perseguono una attività continuativa di produzione di beni e servizi ad utilità sociale che permette loro, in molti casi, di essere finanziariamente sostenibili e quindi indipendenti da donazioni e sovvenzioni.
- Nel modello socio-economico esistente che favorisce l’idea neoliberista quali sono le vie percorribili per lanciarsi concretamente nell’imprenditoria sociale?
- A livello personale, i primi passi possono essere immediati. Ai giovani che nutrono un potenziale interesse per questo tipo di iniziative suggerirei di approfondire l’argomento cercando un corso d’imprenditoria sociale all’università oppure online. Sebbene l’offerta formativa su questo tema sia ancora alquanto limitata, esistono eccezioni. L’università di Trento, per esempio, offre un Master in Gestione delle Imprese Sociali, presieduto da uno dei maggiori esperti d’impresa sociale in Italia, il Prof. Carlo Borzaga, attuale presidente Euricse (Istituto Europeo di Ricerca sulle Imprese Cooperative e Sociali) e membro fondatore del network EMES (The Emergence of Social Enterprise in Europe). Per quanto riguarda i corsi online, suggerisco vivamente il corso molto pratico (in inglese) d’imprenditoria sociale offerto dal Prof. Ian C. MacMillan e dal Prof. James D. Thompson (Wharton University) su Coursera.
Inoltre, i giovani di qualsiasi formazione scolastica e accademica possono fare esperienza sul campo mettendosi in contatto con il gruppo Enactus della propria università (o formarne uno se già non esistesse). Enactus è una comunità di studenti, accademici e imprenditori di tutto il mondo con l’obiettivo comune di portare il cambiamento sociale attraverso l’imprenditorialità sociale. Oltre ad Enactus, i giovani possono mettersi in contatto con organizzazioni e reti di supporto specializzate sull’imprenditoria sociale, come Ashoka Italia e i diversi “Impact Hub” in Italia.
È chiaro però che le iniziative personali non bastano. Bisogna anche operare a livello istituzionale e governativo per creare un “ecosistema” che favorisca questo tipo di imprese. Alla base di un sano ecosistema d’imprenditoria sociale ci sono almeno quattro pilastri:
Accesso ai fondi: La sfida principale per gli imprenditori sociali è l’accesso ai fondi, sia nella fase di lancio (start-up capital) che nella fase di espansione (growing-up capital) dell’impresa. È quindi fondamentale facilitare il più possibile l’accesso ai fondi attraverso la diffusione di venture capital, prestiti, crowd-funding e sovvenzioni, da fonti sia pubbliche che private, e che siano mirate alle imprese sociali.
Capitale umano: Per gestire un’impresa sociale di successo è necessario avere mentori, dipendenti e consulenti di talento. Per generare questo capitale umano c’è bisogno di istituzioni e iniziative che promuovano l’istruzione e il training in imprenditoria sociale, per esempio attraverso corsi universitari, organizzazioni di conferenze, e la creazione dei cosiddetti “incubators”. Fondamentali sono anche le piattaforme online (come per esempio Good Jobs e Talents4Good) che facilitano il matching tra lavoratore e datore di lavoro nel mercato del lavoro con impatto sociale.
Regolamentazione e quadro giuridico: devono essere tali da rendere la creazione e la gestione di imprese sociali il più semplice possibile (in poche parole: poca burocrazia), e tali da incentivare la creazione di imprese sociali o la trasformazione di business tradizionali in business sociali, attraverso, per esempio, la concessione di agevolazioni fiscali.
Sviluppo di una rete di supporto: è necessaria per favorire l’interazione e lo scambio tra i diversi attori coinvolti nell’imprenditoria sociale, per sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema, e per facilitare azioni congiunte. Questa rete include media che trattano temi legati all’imprenditoria sociale e ad un’economia sostenibile (come, per esempio, Impakter), organizzazioni che erogano certificati e premi per le migliori imprese sociali, e organizzazioni di rete e di supporto come quelle prima menzionate.
- Quali sarebbero gli ambiti che più beneficerebbero dello sviluppo dell’impresa sociale? E che benefici concreti potrebbero conseguirne?
- Tutti o quasi tutti. Sebbene attualmente le imprese sociali in Europa, insieme alle altre organizzazioni del terzo settore, operino principalmente nel settore dei servizi sociali, dell’impiego e del training, dell’ambiente, dell’educazione e dello sviluppo economico e sociale delle comunità (e in Italia in particolare nell’ambito dell’inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati), queste sono organizzazioni estremamente versatili con caratteristiche molto simili alle imprese normali quindi hanno il potenziale per operare in qualsiasi campo di attività che sia d’interesse alla comunità.
Per darvi un’idea degli enormi benefici che si potrebbero conseguire con lo sviluppo dell’imprenditoria sociale in diversi settori, vi faccio due esempi di imprese sociali di grande successo. La prima è chiamata Embrace Innovation, creata da un gruppo di studenti di Stanford e il cui scopo è di risolvere il problema della morte prematura di circa 1 milione di neonati all’anno nei paesi in via di sviluppo a causa dell’ipotermia. L’ipotermia (abbassamento patologico della temperatura corporea) potrebbe essere facilmente risolta con un incubatore tradizionale, ma il problema è questo costa circa $ 20.000 quindi molti ospedali nei paesi in via di sviluppo non possono permetterselo. Che tipo di risposte a questo problema ci possiamo aspettare dagli agenti tradizionali, ovvero dallo Stato, enti caritatevoli, e imprese standard? La tipica risposta dello Stato sarebbe quella di finanziare l’acquisto degli incubatori attraverso un sussidio (probabilmente usando aiuti internazionali), la tipica risposta degli enti caritatevoli sarebbe quella di finanziare l’acquisto degli incubatori attraverso le donazioni dei privati, mentre le imprese standard non offrono nessuna risposta a questo problema perché non ci sono opportunità di profitto. Qual è invece la risposta di Embrace? Questi studenti hanno creato uno scaldino per neonati (a vederlo sembra un sacco a pelo termico) a basso costo, ovvero circa l’1% del costo dell’incubatore tradizionale. Embrace vende questo scaldino alle fasce più deboli delle popolazioni che possono ancora permetterselo e con i conseguenti ricavi distribuisce il prodotto gratis agli ospedali più poveri. Ad oggi, sono stati salvati oltre 300.000 neonati in 22 paesi. Secondo voi, qual è stata la risposta migliore a questo problema?
Il secondo esempio è quello di Ecosia, una impresa sociale nata in Germania che offre un motore di ricerca (che raccomando a tutti!) come quelli tradizionali. Come per qualsiasi altro motore di ricerca, mentre gli utenti cercano, l’impresa genera profitti dalle entrate pubblicitarie. La differenza rispetto alle altre imprese? Ecosia dedica l’80% o più dei propri profitti ad un “fondo alberi” o direttamente a progetti di piantagione di alberi in tutto il mondo. Utilizzando questo modello, Ecosia ha investito quasi 13 milioni di euro per piantare oltre 90 milioni di alberi, ed è cresciuta fino a diventare un business multimilionario senza aver raccolto un solo dollaro dagli investitori di venture capital. Questo è il potere dell’imprenditoria sociale.
- Ci sono dei dati numerici rappresentativi dello stato dell’arte relativamente all’impresa sociale? In altre parole che peso ha l’impresa sociale attualmente nell’economia sia in ambito europeo che italiano?
- Purtroppo non esiste ancora una definizione universale di impresa sociale. La diversità delle strutture economiche nazionali, del benessere e delle tradizioni culturali e dei quadri giuridici fa sì che la misurazione e il confronto dell’attività dell’impresa sociale in Europa sia molto problematica. Detto questo, per darvi una idea puramente indicativa (non stima precisa!) degli ordini di grandezza dell’attività dell’impresa sociale in Italia (ma anche della difficoltà di misurazione) considerate che usando la definizione operativa di impresa sociale data dall’Unione europea, nel 2013 sono state stimate approssimativamente 40.000 imprese sociali in Italia. Mentre se si usa la definizione nazionale (ovvero data dal quadro giuridico), nello stesso anno si stimano all’incirca 12.000 imprese sociali, di cui circa 11.200 hanno la forma di cooperative sociali mentre circa 800 sono imprese sociali ex lege.
Per darvi invece un’idea (molto indicativa) dell’ordine di grandezza a livello aggregato, quella che viene definita “economia sociale” in Europa (misurata come l’aggregato di cooperative, mutue, associazioni e fondazioni) nel 2010 impegnava oltre 14,5 milioni di persone dipendenti retribuiti, pari a circa il 6,5 per cento della popolazione attiva dell’UE-27 e circa il 7,4 per cento nei paesi dell’UE-15.
In realtà però questi dati, oltre ad essere soggetti a grandi problemi di misurazione e quindi non molto attendibili, danno a mio avviso una visione piuttosto riduttiva del processo di diffusione dell’imprenditoria sociale. Infatti per capire meglio questo fenomeno bisogna inquadrarlo in un contesto più generale. Per esempio, bisogna anche considerare le crescenti iniziative di responsabilità sociale d’impresa intraprese dalle imprese standard. Per darvi un’idea, le aziende Fortune Global 500 spendono attualmente circa 15 miliardi di dollari all’anno in attività di responsabilità sociale, mentre il mercato americano e quello europeo hanno oltre 2.000 miliardi di dollari e 200 miliardi di euro in attività socialmente responsabili certificate. È chiaro che questi sono solo pochi spicci (meno del 2% del profitto delle stesse imprese) e che probabilmente per la gran parte di queste imprese questi investimenti sociali non sono altro che una strategia di marketing per aumentare il proprio profitto, ma il solo fatto che oggigiorno queste imprese siano chiamate dalla società civile ad assumere una responsabilità sociale, è un dato molto incoraggiante. Vuol dire, a mio avviso, che piano piano il mondo sta cambiando. Il resoconto del 2018 Deloitte Global Human Capital Trends riassume bene questo fenomeno di cambiamento: “Sulla base del sondaggio globale di quest’anno di oltre 11.000 leader aziendali e delle risorse umane, nonché delle interviste con i dirigenti di alcune delle principali organizzazioni odierne, riteniamo che sia in corso un cambiamento fondamentale. Le organizzazioni non sono più valutate basandosi solo su metriche tradizionali come le prestazioni finanziarie o anche la qualità dei loro prodotti o servizi. Piuttosto, le organizzazioni oggi sono sempre più giudicate sulla base delle loro relazioni con i loro lavoratori, i loro clienti e le loro comunità, così come il loro impatto sulla società in generale, trasformandole da imprese di business in imprese sociali”.
Infine, ci sono imprese standard che tradizionalmente sono impegnate nel sociale, come per esempio Patagonia, l’azienda americana di abbigliamento che commercializza e vende tessuti per l’outdoor. Patagonia dedica l’1% delle sue vendite totali a favore dei gruppi ambientalisti. Inoltre dona parte dei propri profitti, intraprende azioni interne di sostenibilità, e sensibilizza l’opinione pubblica sui problemi e le preoccupazioni ambientali. Nel 2012, Patagonia è diventata un’azienda certificata come “B Corporation”, il che la rende una società a scopo di lucro che soddisfa “rigorosi standard di prestazioni sociali e ambientali, responsabilità e trasparenza”. Queste attività forse non bastano per renderla una impresa sociale nel senso stretto della parola, ma se tutte le imprese fossero come Patagonia sarebbe già un grandissimo passo avanti verso questo nuovo mondo.
Referenze
Borzaga, Carlo and Bodini, Riccardo and Carini, Chiara and Depedri, Sara and Galera, Giulia and Salvatori, Gianluca, Europe in Transition: The Role of Social Cooperatives and Social Enterprises (June 13, 2014). Euricse Working Papers No. 69|14. https://ssrn.com/abstract=2436456
https://www.coursera.org/learn/wharton-social-entrepreneurship
Deloitte (2018) “2018 Deloitte Global Human Capital Trends”. https://www2.deloitte.com/content/dam/insights/us/articles/HCTrends2018/2018-HCtrends_Rise-of-the-social-enterprise.pdf. Accessed May 14
https://www.embraceinnovations.com/
European Commission (2015) “A map of social enterprises and their Eco-systems in Europe”. https://www.euricse.eu/wp-content/uploads/2015/11/Synthesis-report-FINAL.pdf
https://www.euricse.eu/people/carlo-borzaga/
https://www.ft.com/content/95239a6e-4fe0-11e4-a0a4-00144feab7de
Kitzmueller, Markus, and Jay Shimshack. 2012. “Economic Perspectives on Corporate Social Responsibility.” Journal of Economic Literature 50(1): 51–84.
https://eu.patagonia.com/de/en/home/
Questo post è veramente rivoluzionario, propositivo. Mi auguro che molti giovani lo leggano e prendano decisioni.
Io, che la mia vita l’ho quasi del tutto vissuta , vi incoraggio. Auguri! Mariapia
Forte! Bello sapere che c’è chi realmente concretizza progetti evolutivi!!!
Grazie a tutti coloro che lo fanno, collaborano ed appoggiano.
Che bella visione rivoluzionaria dell’economia! Un’idea innovativa dell’impresa e del mondo sociale, imprenditoriale, economico. Grazie del tuo lavoro, e delle tue ricerche. Speriamo che tanti le accolgano. Speriamo che studi in questo senso continuino per migliorare la gestione delle risorse economiche, e le prospettive del lavoro e di quello che potrebbe diventare l’imprenditoria del futuro!
Grazie a voi, per la vostra attenzione e incoraggiamento!
Grazie Lea, è un tema molto interessante, qualche settimana fa anche Muhammad Yunus ne ha parlato in una intervista e sentirlo riproposto da te qui mi fa tanto sperare che diventi un tema emergente, che possa raggiungere tante persone.
Grazie di cuore
Grazie, cara Lea, un ottimo contributo di idee e di slancio per l’avvenire. Un abbraccio. Marco
Grazie Lea. Abbiamo bisogno, abbiamo tutti MOLTO BISOGNO di nuove visioni come la tua e, in momenti di profonda crisi come quello che stiamo vivendo, può accadere con più facilità che parole come le tue trapassino la corazza della generale apatia quotidiana. Specialmente se, come spieghi bene, accompagnate da importanti realizzazioni concrete che ne attestano la validità. Complimenti vivissimi, e AUGURI!
Benigno
Grazie di cuore a tutti voi per le vostre parole cosi incoraggianti!
Grazie cara Lea,
ho letto con vivo interesse l’intervista riportata qui nel sito.
Le parole sono forti, giustamente, e non lasciano campo aperto a tentennamenti, “…in questo nuovo mondo non ci sarà posto per il modello d’impresa “tradizionale”, il cui principale se non unico scopo è l’arricchimento personale attraverso la massimizzazione del profitto, spesso a scapito dell’ambiente e dell’equità sociale. In questo nuovo mondo va promosso un nuovo tipo d’impresa…”
Tutti sentiamo il disagio del modello economico dominante, che ci tratta come merci o come “consumatori” da bombardare di messaggi per indurre all’acquisto, in modalità sempre più sofisticate e selettive. Essere appena un ingranaggio sempre più eterodiretto è totalmente e tenacemente anticorrelato al nostro anelito più profondo, è una negazione della nostra irriducibile “regalità” della quale parlava Marco Guzzi proprio ieri nel collegamento Facebook per l’ora di meditazione e preghiera. Dunque non mi stupisco più, per il malessere, per questo senso di estraniazione che si connette poi alle ferite personali e le rinforza in un gioco angosciante, sul quale però ora sento di poter intervenire, per interrompere la catena di “male-dizioni”, verso un futuro più luminoso, personale e sociale.
Quello che non avevo chiaro, e che sia il video che l’intervista ha il merito di mettere bene in luce, è che non si parla di fughe utopistiche in un avvenire tanto “dorato” quanto inattuabile, ma di dare preferenza e prevalenza a modelli economici che (grazie al cielo) già esistono. Questa è la ricchezza grande di questo post, almeno per me: la estrema concretezza. Per me è stata una vera scoperta, lo dico senza nascondere la mia grande ignoranza nel merito! “There is no alternative” è dunque una menzogna, funzionale alla pigrizia di pensiero ed azione alla quale, qui e in pochi altri posti, trovo veri anticorpi. Ringrazio Lea e Darsi Pace per avere divulgato questo importante contributo, che credo possa essere l’inizio di un lavoro di consapevolezza nel campo, per molti di noi.
Aggiungo un altro pensiero che stavo nutrendo, a margine della lettura del tuo post. Non è tanto usuale imbattersi in siti, come questo, che spaziano dalla nuova cosmologia alla rilettura di Nietzsche e di Etty Hillesum, alla declinazione di modelli economici sostenibili, non in modo randomatico o raffazzonato, ma sempre seguendo una tensione ideale e un tentativo intelligente di costruzione, che emerge chiaro quasi in ogni riga.
Una risorsa e un punto di lavoro utile a tutti che – anche al di là e prima di ogni “appartenenza” – è semplicemente bello che ci sia.
Potremo davvero dare un nome a questo tempo, a questa nuova era, se ci vogliamo lasciare veramente alle spalle quello che l’epoca moderna ha portato con sé. Le intuizioni del grande Romano Guardini riguardo all’ambiguità indotta dal progresso tecnologico sulla cultura e sui costumi è diventata ancor più attuale oggi se analizziamo l’espressività del sistema economico fortemente orientato al profitto.
Quello che proponi qui, Lea è
quanto di più chiaro e concretamente realizzabile perché ha una forza propulsiva per indurre ad un vero passaggio epocale. Spero che questo messaggio possa essere raccolto da quanti più giovani possibile e che si possa formare così una rete imprenditoriale tale da poter entrare nell’ EPOCA SOCIALE.
Grazie Lea per questo tuo contributo che ci fa sperare in un mondo migliore, mi auguro che si comprenda sempre più a fondo che questa è la direzione!
Un caro saluto
Daniela
Caro Marco, Pasqualino e Daniela,
Grazie di cuore le vostre parole! Mi fa davvero molto piacere sapere che questa proposta possa essere fonte di ispirazione per progetti futuri. Tutte queste reazioni positive mi danno tanta forza ed energia per continuare a diffondere quello in cui credo. Colgo questa occasione per ringraziare, non solo Darsi Pace che mi sta aiutando a diffondere queste idee, ma anche e forse prima di tutto, tutti gli imprenditori sociali che “combattono, ogni giorno, sul campo” per la creazione di questo mondo migliore. Io cerco solo di farmi portavoce dei loro “piccoli grandi miracoli”.
Un affettuoso saluto a tutti e grazie ancora per la vostra attenzione.
Lea
L’ircocervo del sistema della Cina è oggi il risultato dello scontro tra l’economia capitalista e quella comunista.
La Cina di oggi assomma il peggio del comunismo e del capitalismo di Stato, e sviluppa una società tipo “alveare” controllata come in “Matrix” da telecamere ed “app”, con repressione brutale ogni di libertà.
Fosse solo così è certo che sarebbe vero che al capitalismo “non c’è alternativa”.
Invece la “Dottrina sociale della Chiesa” ha lavorato sotterraneamente producendo ad esempio il prototipo dell’esperienza di impresa sociale di Adriano Olivetti.
Mi piace molto la sintesi che Lea fa della storia teorica e pratica degli inizi dell’impresa sociale che innanzitutto ci dà speranza per qualcosa di diverso e nuovo, e poi illustra come nel mondo viva concretamente questa realtà anche se ancora in modo embrionale: ma l’embrione ha esattamente la prospettiva di nascere e crescere.
“DarsiPace” non potrà certo diventare in economia una spa di splendide start-up, così come in politica non potrà diventare un partito, ma il bello è che a livello culturale ricerca e studia nuove vie e prospettive, nella fecondità di cui dice sopra Castellani, perchè riesce a spaziare dalla cosmologia ad Etty Hillesum, dalla meditazione alla preghiera, dall’economia alla politica: sta costruendo una visione.
E lo fa senza presunzione ma nella ricerca di verità e libertà, coniugando conversione e rivoluzione.
Grazie Lea, e buon lavoro.
Grazie a te, Giancarlo, per l’attenzione. E un caro saluto!
Ciao Lia, grazie del video. Mi chiamo Maurizio e anche io sono nei gruppi Darsi Pace. Lavoro per la Scuola di Economia Civile che si occupa di scrivere un nuovo paradigma dell’economia e per Economia di Francesco, un evento organizzato per giovani imprenditori e change makers di tutto il mondo che si incontreranno con papa Francesco ad Assisi il prossimo novembre. Potrebbe essere interessante unire le nostre forze e lavorare assieme per la costruzione di una nuova economia per l’uomo (e non un uomo per l’economia).
Scusa, Lea 🙂
Caro Maurizio, grazie per la tua proposta. Assolutamente! Io credo nell’UNIONE delle forze. Hai qualche informazione in piu da darmi su questo evento a Novembre: per esempio un sito?
Magari se mi mandi la tua email (oppure trovi la mia email online e mi scrivi tu), approfondiamo il tema.
Un caro saluto,
Lea
Cara Lea, grazie per la tua bella ed interessante esposizione.
Credo però che non ci siamo spinti ancora in profondità alle problematiche e denunce che hai ben esposto.
ultimamente sentendo le varie notizie dei telegiornali che incombono quotidianamente sulle problematiche del coronavirus che a loro volta portano problemi economici e sociali, pensando anche all’ambiente in cui noi tutti viviamo, il mio pensiero ricorrente è il seguente: avrà un futuro l’umanità? La risposta a questa domanda, per il momento, è negativa (a meno di non cambiare radicalmente rotta nel nostro stile di vita). Cercherò di spiegarmi nel modo più sintetico possibile per argomentare questa conclusione, anche se il tema è molto complesso e intricato.
Vorrei iniziare questa breve chiacchierata introducendo il concetto di entropia. L’entropia (lo stato naturale delle cose che tende al disordine, all’appiattimento di materia ed energia) sottende tutto ciò che attiene all’universo; compreso il pianeta Terra e tutte le creature viventi che vi albergano. Semplificando molto, qualsiasi cosa tende al degrado e alla morte! Per contrastare questa legge inesorabile, è possibile sì avere “ordine” sia di natura biotica che materiale, immettendo però nel sistema energia; energia che deve essere fornita in misura maggiore del risultato che si vuole ottenere perché una parte viene inesorabilmente persa e non più recuperabile (2a legge della termodinamica). Per tenere in vita un essere vivente, ad esempio, bisogna fornire: cibo, calore, protezione, ecc.. di questa energia in “ingresso”, parte viene utilizzata per sostenere la vita di questo organismo, però una parte viene persa sotto forma di calore (irrecuperabile per utilizzarla per una prossima trasformazione energetica) ed una parte viene trasformata in rifiuti che vengono immessi esternamente nel sistema/ambiente in cui si colloca questo organismo vivente. Ricordo che esistono relazioni profonde ed inestricabili tra qualsiasi essere vivente, e tutti gli altri, e l’ambiente in cui si esprime la vita.
La Natura con tempi lunghissimi (milioni/miliardi di anni), ha fatto molteplici tentativi per trovare un sano equilibro tra tutti gli esseri viventi (vegetali, animali, microbi, batteri, virus, ecc…). Questo equilibrio consiste nel fare in modo che i rifiuti prodotti da una specie vivente fossero cibo per altre specie viventi, in modo tale da ridurre al minimo indispensabile l’aumento di entropia; in secondo luogo, qualsiasi specie animale (a meno di quella umana) non può attaccare gli stock della natura ma solo usufruire dei flussi che essa offre. Ad esempio, una scimmia può staccare dall’albero una banana (flusso) e mangiarsela, ma non può segare l’albero (stock) per bruciarlo in un camino o costruirsi una casetta di legno. Gli stock della Natura, costituiti da: alberi, fiumi, terreni, ecc.. sono un patrimonio preziosissimo che non deve essere intaccato (se non occasionalmente ed in una piccolissima parte) perché rappresentano la fonte di generazione di tutti i “flussi” che servono alle molteplici specie viventi per sostenersi. Attaccare in maniera massiccia gli stock della Natura è come segare il ramo sul quale siamo seduti, presto o tardi il ramo si romperà facendoci cadere rovinosamente a terra. Più si attaccano e si distruggono gli stock della Natura più i flussi prodotti diminuiscono sensibilmente; fino a che arriverà un giorno in cui gli stock saranno ormai esauriti e non ci sarà alcuna fonte di sostentamento per qualsiasi essere vivente.
Ora, la specie umana, dotata di tecnologia, oltre ad arraffare tutti i flussi possibili che la Natura offre (non dimentichiamolo anche per altre specie…) attacca anche gli stock! Intere foreste vengono abbattute, acque e terreni vengono inquinati e non riescono più inesorabilmente a produrre alcun flusso per sostenere le specie viventi. In più l’essere umano produce in continuazione, “grazie” alle trasformazioni tecnologiciche dei materiali presenti in Natura, dei rifiuti che quest’ultima non ha mai conosciuto; un rifiuto per tutti da prendere come esempio è la plastica! Ricapitolando, la specie umana consuma più del necessario i flussi che la Natura offre, riduce gli stock, ed emette rifiuti non più reintegrabili che riducono ulteriormente gli stock e quindi i flussi, minando così le basi stesse della vita.
Questo discorso poteva non essere compreso 100 anni fa, dove eravamo in poco meno di 2 miliardi di persone (oggi siamo più di 7,5 miliardi) ; in più, il livello tecnologico e il consumo energetico di allora non era così alto da giustificare le nostre attuali preoccupazioni. Ma ora la situazione sta prendendo una piega quasi (per alcuni lo è già) catastrofica e non più governabile!
Per concludere, in maniera esponenziale stiamo attaccando le basi della vita del nostro pianeta, che ricordo è l’unico che abbiamo, provocando estinzioni di massa di alcune specie e immani sofferenze ad altre specie che hanno lo stesso nostro diritto di abitare sulla Terra comune a tutti noi; già questa considerazione dovrebbe farci riflettere sul nostro modo antropocentrico di vedere le cose e ritenere questo atteggiamento moralmente inaccettabile. Inoltre, stiamo attaccando “materialmente” le basi della vita provocando a breve la nostra stessa estinzione che sarà preceduta da periodi nefasti di: guerre, pestilenze, violenze, mancanza di acqua e di cibo, ecc…
Questa mia esposizione ha lo scopo di svegliare in voi l’interesse per questo argomento, di approfondirlo, e di fare in modo che voi siate dei diretti portatori di questo messaggio di avvertimento in tutte le sfaccettature delle vostre relazioni (parenti, amici, al lavoro) e con le vostre conoscenze in vari ambiti (scuole, università, giornali, radio, ecc..). Solo così, tentando di risolvere politicamente (a livello globale) questo grossissimo problema, avremo la possibilità di nutrire qualche speranza per non cadere brevemente in un periodo buio di grande sofferenza per la specie umana e per tutte le altre di cui siamo direttamente responsabili della loro attuale e futura condizione di vita.
Buon lavoro a tutti e buon approfondimento su questo importantissimo argomento! Fabio
Grazie cara Lea, ottimo contributo, pragmatico e operativo (ma anche ispirato) e ricco di riferimenti di cui farò tesoro e che diffonderò.
@Mariella: grazie di cuore. Ogni aiuto a diffondere questo messaggio e’ per me molto prezioso. Te ne sono infinitamente grata.
@Fabio: grazie per questa esposizione ma con me sfondi una porta aperta. Ovviamente sono bene a conoscenza di tutto cio’. Ed infatti imprenditori sociali di tutto il mondo si stanno gia’ adoperando a dare il loro contributo per cercare di evitare questa catastrofe planetaria. Oltre all’esempio di Ecosia, che cito, ce ne sono tantissimi altri. Proprio l’altro ieri guardavo l’ ENACTUS national cup della Germania. dove studenti di tutta la Germania presentano i progetti sociali delle loro start-up . Qui si parla di ventenni che collaboranno con donne in India per fabbricare piatti usa e getta fatti di foglie di non so che albero per sostituire i famosi piatti di plastica, cosi dannosi per l’ambiente; studenti che hanno trovato un modo per usare la foglie di ananas (che altrimenti non servono a nulla) per creare nuovi dipi di “fogli” che andrebbero a rimpiazzare quelli di carta (per la quale bisogna tagliare alberi), e tanti, tanti altri progetti ancora. Dimmi tu: Piu’ consapevoli ed operativi di cosi?! Visto il tuo interesse per questo argomento cosi importante, ti invito a guardare l’ Enactus national cup Italiana (alla quale partecipero anch’io) che si terra’ il 25 giugno. Cosi scoprirai anche i progetti dei giovani talenti italiani. E’ importante, come dici tu, informare la gente del problema. Ad un certo pero’ bisogna anche parlare delle soluzioni concrete che stanno nascendo dal basso per risolvere il problema. Non abbiamo tempo di aspettare gli interventi dei governi, che come sappiamo, sono lenti e spesso non nell’interesse del pianeta. Cambiamo noi. Cambiamo le imprese. E vedrai che cambieranno anche i governi. Sperando che non sia troppo tardi.
Ciao Lea, qui la mia mail
maurizio.pitzolu@gmail.com, scrivimi pure.
E qui ecco un link al nostro sito dell’evento (per tutti)
https://francescoeconomy.org/it/
Cara Lea, grazie della tua replica. Sono un pò preoccupato dal fatto che si cerchi di ovviare al problema del disastro planetario con soluzioni che abbiamo sentito già parecchie volte: risparmio energetico, efficienza nella conversione di energia, riciclaggio dei rifiuti, tecnologie verdi, ecc.. Tutte cose buone e giuste…. ma si perde di vista il vero problema legato alla sovrappopolazione unito al livello di tecnologia oggi raggiunto. Per salvare il pianeta dovremmo diminuire drasticamente l’attacco allo stock delle risorse del pianeta e condurre una vita molto, ma molto, al di sotto di quello attuale. Nessuno vuole ciò, (neanche i cittadini comuni) nessun politico o capo di stato avrebbe il coraggio di dire queste cose (chiaramente per non perdere consensi), si continuano a dare ricette edulcorate che non fanno altro che spostare il problema un pò più in là. La soluzione, che nessuno vuole nemmeno immaginare, è quella dove l’umanità si dovrà trovare in una fase di transizione molto dolorosa dove verranno meno le strutture sociali che abbiamo faticosamente messo in piedi, per poi ripensare un nuovo modo di vivere tenendo conto la rete del vivente presente sulla terra, rete di cui noi chiaramente (insieme agli altri terrestri) ne facciamo parte. Il discorso è troppo lungo per poterlo affrontare in questo ambito. Ti consiglio di leggere questo pamphlet molto ben fatto dal mio amico Aldo Sottofattori a questo indirizzo: http://www.criticadelleteologieeconomiche.net/il%20cannocchiale%20di%20galileo.pdf
Se vorrai rispondermi via mail (fabio.bersani.j6al@alice.it) oppure telefonicamente al 3478264012 per approfondire come si deve questo argomento, ne sarò molto felice. Un abbraccio, Fabio
Ciao Fabio, ti rispondo brevemente qui e poi volentieri ti contattero’ a tempo debito sulla tua email per approfondire l’argomento. Non mi trovo in disaccordo con quello che scrivi (ne’ con il manoscritto che mi hai mandato e che ho gia sfogliato, grazie!) non escludo assolutamente (chi puo’?!) che passeremo attraverso questa fase di transizione dolorosa, che dovremo ridimenzionare drasticamente il nostro modo di vita e in poche parole che dovremo imparare “un nuovo modo di essere uomini in questo mondo”. Ma nel frattempo che facciamo (oltre alla crescita personale spirituale, che e’ priorita’ numero 1)? A meno che non mi sia sfuggito, il manoscritto che mi hai mandato non dice nulla al riguardo. Si limita a fare critiche (sebbene molto pertinenti) delle teorie economiche e a mettere in guardia. E tu scrivi: “Solo così, tentando di risolvere politicamente (a livello globale) questo grossissimo problema, avremo la possibilità di nutrire qualche speranza per non cadere brevemente in un periodo buio di grande sofferenza per la specie umana e per tutte le altre di cui siamo direttamente responsabili della loro attuale e futura condizione di vita.” Ma concretamente, come “si risolve politicamente (a livello globale) questo problema?” Mi dai un esempio di azione concreta? Vuoi andare in piazza? Lanciare appelli? Non e’ che con la bacchetta magica fai sparire tutti i politici e corporations delle terra… E anche se li facessi sparire, poi cosa creeresti?
Per concludere, io penso che smantellare tutto insieme senza proporre un piano concreto di ricostruzione puo’ diventare pericoloso e controproducente. Io personalmente preferisco smantellare il tutto piu gradualmente, pezzo per pezzo, rimpiazzando ogni mattonella rotta con una nuova. E piano piano, mentre si smantella e ricostruisce un pezzo, emerge una nuova visione del tutto. La “creazione si crea creando”, e non a tavolino prima. Quelle sono solo ideologie.
Grazie ancora per questo stimolantissimo scambio di idee. Un caro abbraccio.
Lea
Cara Lea,
negli ultimi capitoli conclusivi (9 e 10) di un altro libro scritto dal mio amico Aldo Sottofattori, puoi trovare delle timide risposte alle tue domande. Ecco i link ai 2 capitoli:
http://www.criticadelleteologieeconomiche.net/Zo%C3%A9comunismo/cap9.pdf
http://www.criticadelleteologieeconomiche.net/Zo%C3%A9comunismo/cap10.pdf
Si dovrebbero leggere anche gli altri 8 precedenti, ma visto che conosci bene questi argomenti, per il momento, puoi “saltarli”.
Grazie della disponibilità ad approfondire queste tematiche che, negli ultimi anni, mi stanno dando il tormento…
Un caro saluto!
Con affetto,
Fabio
Cara Lea,
nei capitoli che ti indico di seguito, puoi trovare delle timide risposte alle tue perplessità.
I capitoli sono tratti dall’ultimo libro del mio amico Aldo Sottofattori.
Si dovrebbero leggere anche gli altri 8 precedenti, ma visto che sei ferrata sull’argomento puoi “saltarli”.
http://www.criticadelleteologieeconomiche.net/Zo%C3%A9comunismo/cap9.pdf
http://www.criticadelleteologieeconomiche.net/Zo%C3%A9comunismo/cap10.pdf
Grazie per la tua attenzione e disponibilità per discutere di questi argomenti così importanti per il futuro dell’umanità e di tutti i viventi che albergano su questo pianeta.
Un abbraccio,
Fabio
Lea e Fabio, siete un bell’esempio di dialogo di un pensiero che cercai integrazione.
Mi pare che occorra un po’ di ciò che entrambi dite.
Anch’io con Lea penso che dobbiamo rimanere nel realistico fattibile, altrimenti ci togliamo la possibilità di agire. Avere obiettivi troppo ambiziosi, proprio in riferimento al modo in cui funzioniamo emotivamente e cognitivamente noi esseri umani, destina le misure ad essere inefficaci.
D’altro canto, però, con Fabio sento anch’io la necessità di porsi obiettivi ambiziosi altrimenti si rischia di rimanere fermi al primo passaggio, scambiandolo per l’obiettivo finale.
Mi viene da chiedermi se ad esempio un’impresa sociale, che non abbia come finalità prima quella del profitto, abbia però gli strumenti per uscire dal paradigma del ciclo perverso di produzione-consumo in cui giriamo in modo forsennato. Cioè si tratta pur sempre di un’impresa, mi pare di capire.
Il punto finale è quello di consumare il meno possibile, portarci a livelli bassissimi rispetto ai nostri parametri occidentali. Questo è poco popolare, politicamente non allettante, economicamente controproducente appunto nel senso che va contro la logica di produzione. Può un’impresa farsi portavoce di un messaggio del tipo: io produco a minor impatto ambientale ma la scelta migliore che tu puoi fare come (potenziale) cliente è quella di non comprare affatto?
Il messaggio è scomodo ma tanto prima o poi, con le buone o con le cattive, lì cadremo. Lo sfruttamento sta raggiungendo limiti insopportabili, il giochino ci esploderà tra le mani e quindi, sbattuti a terra, dovremo fare i conti con la mancanza di risorse.
Accanto alle start-up che ideano linee produttive a minor impatto energetico, ci servirebbero start-up (ma magari ci sono già…) che ad esempio propongano la riparazione delle cose in modo da disincentivare l’acquisto di nuove. Contemporaneamente si dovrebbe (ma da parte di chi? Chi sarebbe l’autorevole voce in grado di far presa?) diffondere un messaggio di non consumo, di decrescita, di sobrietà come qualcosa di necessario, giusto e per nulla punitivo.
È che ci siamo spinti talmente avanti che il conto alla rovescia è già partito da un pezzo…
iside
Cara Iside, grazie per la tua attenzione e commento. Le domande che ti poni sono assolutamente leggittime e sensate pero’ il tuo commento mi rivela anche che probabilmente non mi sono fatta capire molto bene. O cmq non sono riuscita a far capire il vero potenziale dell’impresa sociale. Mi preme spiegare i seguenti punti:
– Ritengo il progetto di cambiare le imprese, ovvero di passare da impresa tradizionale ad impresa sociale MOLTO AMBIZIOSO. Ambiziosissimo. Che va a toccare le basi fondamentali del capitalismo, come appunto quello del profitto (e del consumo, su cui ritorno dopo), e che sta sicuramente molto scomodo a quelli che spesso vengono chiamati “poteri forti”. Quando suggerisco di procedere mattonella per mattonella, intendo che il processo di cambiamento dell’impresa sociale sta gia iniziando dal basso… sono i cittadini e imprese gia esistente che si stanno organizzando su questo nuova linea. Non e’ una “policy” che viene imposta dall’altro. Emerge dal basso, e mi aspetto che le politiche di governo si adegueranno prima o poi di conseguenza. Io credo nella rivoluzione dal basso e non dall’alto.
– La mia critica a Fabio non era che lui proponesse un progetto troppo ambizioso, quanto che non mi proponesse nessun progetto. Per fare una proposta, o dare una vera alternativa, non basta, a mio avviso, dire che dovremo ridimenzionare la nostra qualita di vita radicalmente (con cui tra l’altro sono d’accordo), ma mi devi spiegare come ci si arriva concretamente a questo risultato. Altrimenti rimaniamo, a mio avviso, nell’utopia.
– Mi trovo molto d’accordo su molti dei punti che menzioni (come anche con quelli di Fabio) come per esempio il punto che dobbiamo consumare di meno, molto di meno. Ma questo non contraddice assolutamente con la proposta dell’impresa sociale anzi. L’impresa sociale non si riduce assolutamente alla “start-up che ideano linee produttive a minor impatto energetico”. Come spiego nel video e nell’intervista, lo scopo dell’impresa e’ quella di avere un impatto positivo sociale, e’ quello di risolvere problemi sociali e ambientali. Embrace innovation ha creato un prodotto medico per salvare neonati nei paesi via di sviluppo, Ecosia offre un motore di ricerca (non produce niente di materiale) per piantare alberi… Ora e’ chiaro che per quanto ci dovremo ridimenzionare, alcuni prodotti dovranno continuare ad esitere e quindi per questi tipi di prodotti ci saranno start-up che ideano linee produttive a minor impatto energetico. Comunque per rispondere ad una delle tue domande, certo che esistono imprese sociali che incoraggiano il riuso o la riparazione di prodotti gia esistenti. Proprio in questo periodo sto supervisionando studentesse che hanno progetto di trasformare vesititi usati in nuovi prodotti: pad riusabili per struccarsi, borse di stoffa per far la spesa, ecc… Ora e’ chiaro che bisogna andare piu a fondo, bisogna fermare l’industria della moda che sta avendo impatti devastanti e questo lo si fa facendo adovcay, promuovendo come suggerisci anche tu , un nuovo modo di vivere.. e queste iniziative di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sono in genere attivita’ complementari di cui si occupano anche le imprese sociali.
– Tu scrivi “un’impresa sociale, che non abbia come finalità prima quella del profitto, abbia però gli strumenti per uscire dal paradigma del ciclo perverso di produzione-consumo in cui giriamo in modo forsennato. Cioè si tratta pur sempre di un’impresa, mi pare di capire.” Non so bene cosa intendessi con quest’ultima frase, ma non c’e’ niente di male nell’impresa in se’. L’impresa e’ potenzialmente una cosa bellissima, permette all’individuo di innovare, di esprimere la sua creativita. Qualcuno le cose le dovra’ pur produrre (anche giusto questi minimi beni indispensabili) quindi questo ci porta alla domanda cruciale: chi dovrebbe produrre questi prodotti? Sicuramente c’e’ qualcuno che pensera’: lo Stato. Dobbiamo pianificare e centralizzare tutto a livello statale. Ecco, su questo punto ci troveremmo sicuramente in profondo disaccordo.
Non so se questo risolve alcuni dei tuoi dubbi. Ma spero comunque di averti dato qualche spunto in piu. Ad ogni modo, e‘ molto difficile trasferire tutte le idee e visioni in un solo post o in un paio di commenti. Spero ci sara‘ modo di approfondire l’argomento in futuro. Per chiunque sia interessato, io continuero a girare video e diffondere queste (ed altre) idee su You Tube.
Un caro saluto e grazie per il tuo interesse.
ps: TerraCycle e’ l’esempio perfetto di impresa sociale la cui missione e’ il riciclo dei rifiuti: tutti i suoi prodotti sono fatti interamente da rifiuti.
https://www.terracycle.com/en-US/
La sua missione puo essere cosi tradotta in italiano:
“TerraCycle è un’impresa sociale che elimina l’idea dei rifiuti. In 20 paesi affrontiamo il problema da molti punti di vista. Abbiamo scoperto che quasi tutto ciò che tocchiamo può essere riciclato e raccogliere oggetti tipicamente non riciclabili attraverso piattaforme di riciclaggio nazionali, prime nel loro genere.
Le aziende leader collaborano con noi per prendere materiali difficili da riciclare dai nostri programmi, come la plastica dell’oceano, e trasformarli in nuovi prodotti, e la nostra nuova piattaforma Loop mira a cambiare il modo in cui il mondo fa acquisti con i marchi preferiti in imballaggi ricaricabili offerti con comodità e stile.
Con il vostro aiuto, abbiamo dirottato milioni di dollari di preziose risorse dalle discariche di tutto il mondo, e abbiamo appena iniziato.”
Spero possa essere fonte di ispirazione!
Grazie Lea! Per me tutto questo è nuovo, anche se le domande me le sto ponendo da molto tempo. Intanto dopo aver ascoltato la tua clip ho subito cambiato il motore di ricerca predefinito! Adesso anch’io sono con Ecosia.
Ascolto sempre volentieri i podcast di questa trasmissione della BBC
https://www.bbc.co.uk/programmes/p04grdbc/episodes/downloads
Spero di leggerti ancora qui su DP.
iside
Condivido con Iside e molti altri, nei commenti, la speranza di leggere ancora post su questo argomento.
Segnalo che dal punto di vista operativo, ci sono alcuni browser che permettono una maggiore indipendenza e maggior protezione dei dati, che non vanno più automaticamente alla big companies. Tra questi segnalo l’eccellente progetto chiamato Vivaldi (https://vivaldi.com/it/) che ha tra i motori di ricerca già istallati, tra cui poter scegliere, proprio Ecosia, citato nell’articolo di Lea e rilanciato da Iside.
Capisco che c’è un mondo ricco di alternative, là fuori, come appena uno cerchi un’orbita meno classicamente vincolata ai grandi attrattori dell’universo mercantile. Non sempre sono necessarie scelte drastiche ed eroiche. A volte basta appena un desiderio di muoversi, una nuova curiosità, una piccola speranza da coltivare, per respirare aria nuova.
Grazie Iside, grazie Marco per il vostro interesse e per i vostri spunti, di cui ho preso nota!
Io sicuramente continuero’ a produrre materiale che mettero sul mio canale YouTube:
https://www.youtube.com/channel/UCWCFCdoSmCKSOKhKQEzL-lw
Se DP vorra’ continuare ad aiutarmi a diffondere queste idee pubblicando i miei post, io ne saro’ ovviamente infinitamente grata e felice!