È facile farsi prendere dalla sconforto. La situazione in questi ultimi decenni in ambito politico ed economico è davvero imbarazzante, per non dire venefica. Le classi dirigenti di tutti i colori, di tutte le forme e di tutte le provenienze, dimostrano in continuazione una perdita costante di orientamento. Manca la bussola, la direzione. Allora si assiste ininterrottamente a quei fenomeni di sfilacciamento del tessuto sociale e alle perenni disaffezioni (peraltro motivate) verso quella che nel Politico Socrate chiama l’“arte del regnare”.
In verità, come sappiamo, non è del tutto corretto dire che non vi sia una direzione. C’è sempre una direzione. Eppure, visto che ciò che regola la traiettoria in questi anni è, in linea generare, l’istinto nichilistico-suicida delle grandi idre capitalistico-finanziarie, dire che un senso direzionale effettivo non c’è non mi sembra poi un’affermazione così erronea.
Ora: vista l’evocazione di quella Scienza delle Idee nota a tutti come filosofia, e visto il contenuto che mi accingo a dispiegare con questo nuovo articolo, vi propongo di continuare a navigare sull’onda del pensiero greco. Da lì poi ci muoveremo verso qualche breve riflessione sull’attuale situazione in Europa.
Senza voler fare alcuna lezione di storia della filosofia occidentale (anche perché probabilmente non ne sarei del tutto in grado e inoltre qui non sarebbe opportuno) mi accontento di richiamare alla memoria alcune considerazioni di Platone sulla inevitabilità della deformazione di ogni forma istituzionale, sia essa tirannica o democratica. Questo tema viene spesso derubricato sui testi accademici con la formula “utopia platonica”. Infatti, il fondatore dell’Accademia, nei suoi ultimi dialoghi confessa a più riprese la tristezza d’animo che lo pervade nel constatare quanto sia distante la sua visione di un “governo dei filosofi” – pronti a governare secondo le Leggi ricavate dal rapporto fra l’uomo saggio e la dimensione iperuranica – e la realizzazione sulla terra di tale intuizione. Dopo aver tentato più volte di far passare nella mente dei governanti il principio secondo cui ciò che è giusto fare non è deducibile dal semplice ragionamento sul da farsi, ma è invece ricavabile ponendosi in ascolto della dimensione cosmica dell’anima, bene, dopo aver tentato questo, Platone fallì. Ma, ciononostante, continuò a ribadire l’importanza di perseverare su questa strada. Egli ci dice che non è il progetto (l’Idea) in sé ad essere fallimentare, bensì il suo coniugarsi con la dimensione pratica e storica – diremmo a posteriori – che da sempre tende a separare i due mondi e fatica a viverli come complementari e interdipendenti.
Le ultime vicende di cronaca politica se messe in fila e osservate come fossero scene di un pessimo film in stile burlesque, confermano ancora oggi quanto giustificata sia questa presa d’atto di Platone, e di tutta la philo-sophía antica e moderna. Dalla serie di battibecchi e sgambetti di partito che dagl’inizi della cosiddetta Seconda Repubblica fino ad oggi (per restare in Italia) hanno caratterizzato il dibattito pubblico, per arrivare alle ultime diatribe tecnocratiche e commerciali volte a relegare la decisione politica al rango di semplice amministrazione del consenso, tutto questo, è il problema enorme che ci tocca scavalcare, demolire e resettare oggi più di allora. Non è infatti accettabile vivere schizzo-frenica-mente il rapporto fra la politica nel suo senso profondo, ove è contemplato il dialogo metafisico, e la vita relazionale del cittadino o dell’“uomo delle istituzioni”. Occorre ritrovare in forma nuova quello slancio rivoluzionario democratico, come poco ancora si usa dire – che miri a farci uscire dall’impasse, dall’ “utopia platonica” che, almeno dal V secolo a.C., aleggia fra le nostre coscienze politiche e nel cuore della nostra storia plurimillenaria.
Se questo parallelismo storico così spericolato e pindarico, mi rendo conto, può comunque servirci come riflessione generale sulla drammaticità della condizione politico-storica, intesa in senso assoluto, allora bisogna successivamente arrivare a chiedersi: quali possono essere i pungoli convincenti attraverso cui ottenere una risposta all’altezza della sfida quasi impossibile (Platone appunto) per non far si che la resa sia l’unica soluzione plausibile? È realistico pensare di voler rianimare in qualche modo il discorso italo-europeo sulla natura “trascendentale” del continente che prende il nome di Europa? Un discorso che illumini, che ispiri vigore e che, soprattutto, riesca a far breccia in quello scudo di gomma che si può chiamare in tanti modi: scientismo, determinismo, neocapitalismo, taskforceismo (perché no?) ma che – alla fine – resta inequivocabilmente la dimensione meno vicina all’uomo che si possa immaginare?
“L’Europa – scriveva Joseph Ratzinger nel 2004 – è un concetto culturale e storico” non è un “continente nettamente afferrabile in termini geografici”. Tant’è vero che i suoi confini sono da sempre labili e difficili da definire. Dunque partendo da questo presupposto centrare lo sguardo sul concetto culturale, spirituale e storico dell’Europa significa in realtà rimanere fedeli all’origine del senso profondo di che cos’è l’Europa; e non perdersi nell’ideale – come vogliono farci credere a ogni piè sospinto – poiché l’unica posizione giusta sarebbe, a parer loro, quella che si limita a considerare gli aspetti del volere, della forma e del denaro. “No, questa non è l’Europa che noi amiamo!” (per citare il grido furente, di grande attualità, di Ernesto Balducci all’Arena di Verona nel 1991). Rimettere al centro le sorti universali dell’Europa, spingersi a considerare sempre la politica come visione potenzialmente emancipatoria dell’essere umano; tentare all’infinito una mossa propulsiva, come fece Platone che si recò per ben tre volte in Sicilia rischiando la vita per educare la tirannia all’arte delle Idee, bene, queste azioni non sono tacciabili di idealismo infantile. Al contrario: sono l’ossatura dell’uomo quando è nella sua più piena coscienza e spirito di realizzazione. Quest’uomo vuole recuperare il senso liberatorio calandosi dentro quell’oceano di sapere morale e culturale che è: sì la tradizione razionale e illuminista, ma anche quella monastica e cristiana. Questa è la direzione!
In un panorama così culturalmente decadente, circondati da autocrati e falsi duchi in versione villa Pamphili; in una situazione di caduta vertiginosa dell’intero assetto economico mondiale (solo in Italia è previsto un crollo del Pil del 13%), in queste condizioni disastrose, ci troviamo difronte all’ennesimo bivio: o proseguiamo a blaterale di “nuovo contratto sociale” (Visco) senza avere nessuna idea lungimirante di che cosa sia la novità, né tantomeno la società; o iniziamo a collaborare alla visione opposta. Una visione che, come ho cercato di dire, punti a rivoluzionare l’intero apparato politico e sociale italo-europeo e che smascheri in modo democratico, salvando il salvabile, ogni resistenza e ogni tentativo di restaurazione che inevitabilmente si ripresenterà, testardo, all’appello.
Grazie, caro Davide, per queste sintetiche ma vaste riflessioni. Sì, credo in effetti che questa integrazione cristo-logica (ossia greco-cristica, archetipicamente parlando) tra la tradizione illuminista-democratica e quella iniziatico-spirituale sia la sola Via maestra in grado di garantire un futuro non catastrofico all’Europa.
Per natura mi sento unito fino in fondo ai destini di questo continente, e ho sempre istintivamente creduto, sin da molto piccolo, che nel suo spirito – per quanto offuscato e corrotto – vi sia qualcosa di insostituibile e indispensabile per l’intera umanità.
So che non posso rinunciare a questa convinzione, e proprio questo mi spinge a collaborare nella vita a quest’opera di risanamento immenso e certamente secolare che tu hai evocato.
Un caro saluto, Luca. –
Grazie a te Luca. Esattamente. Non è pensabile l’Europa senza una presa di coscienza a questo livello. Fintantoché nel dibattito pubblico si discuterà dei regolamenti normativi in modo astratto e aleatorio, ignorando totalmente l’aspetto spirituale e storico: non nascerà mai l’Europa della novità. Quella che si vede è, infatti, l’Europa che vive di rendita… e ancora per poco, ahinoi!
A presto!
Davide