Avremmo potuto scrivere un post, come solitamente facciamo. Questa volta, invece, abbiamo preferito invitarvi nel nostro spazio di riflessione.
Ci incontriamo su Skype, la geografia non ci è amica. Così un gruppo di lavoro, eterogeneo per formazione ed esperienze di vita, si sta trasformando in un luogo di pensiero, di scambio, di apprendimento, di messa in comune dei talenti personali, di amicizia.
Questo crea vita e, dopo tutto, siamo un Gruppo di Creatività Culturale! Dato che l’obiettivo primario dei GCC è quello di annunciare la nuova umanità, in questo video proviamo ad offrire ciò che abbiamo: non importa quanto sia, perché lo facciamo con tutto noi stessi e lo facciamo con gioia!
La nostra conversazione a tre, che qui proponiamo, si articola attorno al tema della ricerca di senso nella malattia. Partiamo dal presupposto che ogni sistema culturale ha una sua visione della medicina, quindi una interpretazione della malattia e del concetto di cura. Oggi questa visione va sempre più verso una unificazione planetaria che vede la supremazia del modello biomedico sugli altri. Si tratta di un modello caratterizzato da riduzionismo e meccanicismo, che sta portando ad un allontanamento dalla visione unitaria della persona, la quale viene divisa in parti e gestita in modo simile ad una macchina, dimenticando completamente anche la ricerca di senso che caratterizza l’umano.
Scendendo nelle profondità della condizione di chi vive gravi problematiche di salute, anche attraverso esperienze personali, ci siamo quindi chiesti: “la malattia ha senso”?
Senza pretese di risposte risolutive, abbiamo provato a chiarire alcuni aspetti per noi importanti, che non stanno necessariamente nel concetto ordinario di guarigione.
Speriamo perciò che queste nostre riflessioni possano diventare, per chi ascolta, occasione di quel domandare che tiene desto lo sguardo curioso del vivere.
Iside Fontana, Antonietta Valentini, Pierluigi Masini
Grazie di questo vostro intervento.
Mi ha fatto riflettere molto quello che ha detto Iside, ripercorrendo la storia della mia malattia. All’inizio “il perché” mi ha tormentato a lungo, fino a diventare una sorta di senso di colpa. Mi ci è voluto molto tempo e molto lavoro interiore per liberarmi di queste domande senza risposta. E mi ha aiutato molto proprio quello che diceva Pierluigi, la scintilla negli occhi degli altri. In quel periodo erano gli occhi di chi viveva la condizione di malattia più a lungo di me e che aveva incontrato la gioia del vivere nonostante tutto.
Grazie delle vostre condivisioni, mi ha fatto bene ripensare a quel periodo.
Cara Antonietta, cara Iside e caro Pier Luigi,
ho seguito con profondo interesse i vostri interventi che hanno indagato, con delicata sensibilità, un argomento sul quale, più o meno consapevolmente, noi umani non possiamo non interrogarci : il senso del dolore. Mi ha colpito la chiarezza di Iside, la sua testimonianza lucida e pacata che senza giustificare né addolcire la crudezza della sofferenza, la porta nell’unico Luogo possibile, la pone nelle mani di Cristo che ha ricomposto l’orecchio tranciato del suo persecutore e, crocefisso, ha promesso il paradiso al suo vicino in croce. Ho seguito con molto interesse anche l’intervento di Antonietta, che mette in guardia da commistioni della nostra con altre culture le quali possono creare confusioni pericolose e , mi viene da pensare, creare anche facili ma false illusioni di guarigione. Le parole del medico, Pier Luigi, mi hanno fatto tornare in mente la dottoressa della mia infanzia. Si chiamava Ginevra, era poliomelitica ed era la prima donna medico della nostra regione, avversata sia per il suo limite fisico che per il suo ruolo… Questa donna aveva una relazione con ogni membro della nostra famiglia, i due genitori e noi tre figli, e, come ha raccontato Marco parlando del suo rapporto con il medico di famiglia, anch’io, quando ero malata, stavo subito meglio già solo al vederla! Perché? Perché mi sorrideva con allegria, mi palpava con delicatezza, mi rassicurava. Dove sono finiti questi medici che ti fanno star meglio con la loro sola presenza? Mi fermo qui… Vi ringrazio di cuore e spero di sentirvi ancora. Tanti cari saluti. Francesca
La domanda “perché” in effetti rischia di inchiodarci nel dolore invece che di aiutarci ad uscirne.
A me pare che occorra tenere distinti due livelli nella direzione del senso o significato della malattia. Un conto è cercare la spiegazione delle dinamiche di una malattia, per portarne in luce i meccanismi patogenetici e da lì tentare vie terapeutiche ed è quello che fa la ricerca medica.
Un altro conto invece è la ricerca del senso di ciò che si sta vivendo nel suo complesso. A questo livello però ciò che ha senso risiede nella vita, mentre la malattia, in quanto manifestazione del male, non ne ha.
Purtroppo ci sono molti approcci terapeutici che intrecciano questi due livelli ed imboccano così una via a mio avviso pericolosa. Cercare di inoculare senso nella spiegazione del malfunzionamento in genere torna indietro su chi già patisce a causa di una malattia facendolo sentire (ulteriormente) inadeguato e infine in colpa soprattutto se non guarisce.
Se invece teniamo distinti i due livelli, allora restiamo liberi di cercare il senso del vivere nella vita e nella sua creatività che rimane nonostante il male che ci affligge senza ragioni, dato che non ci sono buone ragioni per attaccare, ferire, sfigurare. Ci sono solo buone ragioni per prendersi cura, accudire, valorizzare, soccorrere, ascoltare, accogliere…
Stefania e Francesca, vi abbraccio con calore: DP ha creato l’occasione di nostri incontri tangenti, ma ricchi di vita, quella che mi / ci piace
iside
Grazie, cara Iside, per questa sottile e necessaria distinzione da attuare nella ricerca di senso quando sperimentiamo la malattia.
Cercare un senso a tutti i costi per una giustificazione generica della malattia, finisce solo per creare sensi di colpa che affliggono anche la psiche di chi già soffre nel corpo!
Ricambio con un sorriso il tuo abbraccio!
Care Stefania e Francesca grazie per i vostri contributi.
Credo fermamente che le esperienze personali siano molto più significative delle spiegazioni che ci diamo su di esse, ecco perché le parole di Iside arrivano così in profondità.
Una brutta esperienza può portarci ad acquisire nuove sensibilità, a tirare fuori forze nascoste e a risvegliare la speranza. Anche se il male di per sé non ha senso, non viene solo per nuocere, o secondo un’altra prospettiva, in qualche modo si può trasformare. A volte nella malattia, o nel disagio di altro genere, troviamo finalmente il modo di abbandonarci al mistero e alla vita, quando senza di essa forse non ci saremmo mai riusciti.
Per riprendere la domanda di Francesca: anch’io credo che noi medici prima di tutto dovremmo lavorare per sollevare e consolare dalla sofferenza, purtroppo nessuno ce lo insegna, anche se dovrebbe essere una qualità umana che nella professione potrebbe esaltarsi e maturarsi. Il sistema in cui viviamo non ci aiuta e tende a facilitare piuttosto relazioni superficiali e fredde. La risposta sta nel lavoro che ognuno di noi fa su se stesso: se mi guardo dentro mi accorgo che c’è un amore traboccante che non può far altro che coinvolgere chi mi sta vicino, ma c’è prima un grande bisogno di liberarsi da tutte le schiavitù che ci bloccano in questo. Continuiamo a Darci Pace (e Salute)! Vi mando un salutare abbraccio
Caro Pier Luigi, rispondi alla mia domanda, di certo provocatoria, con una umiltà che mi conforta! Anche questo è il bello di Darsi Pace, nessun intervento, mi sembra, cade nel vuoto, qualcuno, da qualche parte, entra in risonanza e si aprono dialoghi appassionati e sinceri e si intrecciano relazioni e confronti imprevedibili . E’ vero che, come scrivi, una brutta esperienza può portarci ad acquisire nuove sensibilità, tirare fuori forze nascoste e risvegliare la speranza, magari questi aspetti nuovi necessitano di tempo per emergere in noi, magari scopriamo che il lavoro fiducioso su noi stessi, ci apre a quell’amore traboccante di cui parli, che ci libera almeno in parte, dalle nostre schiavitù e ci apre agli altri , alla realtà, alla possibilità di consolare e di essere consolati. Ancora grazie, anche del salutare abbraccio che non posso non ricambiare !
Vorrei dare il mio piccolo parere su questo attualissimo argomento. Grazie per averlo proposto. Cercare il senso delle cose é una naturale propensione dell’essere umano. Il senso del male esiste, eccome! É un tutt’uno con il bene. Non ci sarebbe l’uno senza l’altro. Non saremmo in grado di distinguere altrimenti. Come dice molto bene P. L. Masini, abbiamo, come in tutto, idealizzato in maniera semplicistica il concetto di salute, che non esiste in senso assoluto, anche questo lo dice la natura dell’uomo. “La malattia sempre c’è.” Lo dice anche il mio maestro di medicina ayurvedica, che ha insegnato a far dialogare noi allievi con la cultura vedica, poiché, come si dice nel vostro approfondimento (e come ben teorizza Marco Guzzi in” Yoga e preghiera cristiana, percorsi di liberazione interiore”), solo la conoscenza profonda può portare a una nuova visione, frutto di una faticosa integrazione, “… viene richiesta una distillazione, dobbiamo cioè distillate goccia a goccia l’essenza profumata di una semplicità di secondo grado, di una sintesi creativa nuova.”
Certo i rischi sono evidenti sotto gli occhi di tutti, yoga della risata, senza reggiseno,… (vi giuro é tutto vero!), ci è richiesto quindi discernimento, grande conoscenza e responsabilità sia come utenti che come terapisti. Il processo di una nuova visione arriverà a partire da tutto ciò, io ne vedo per fortuna i semi.
Grazie per i vostri spunti di riflessione