Ripubblichiamo il dialogo tra Marco Guzzi e Umberto Galimberti sul Nichilismo, tenuto a Misano Adriatico nel 2010, in occasione della rassegna filosofica sull’epoca delle passioni tristi.
A distanza di più di dieci anni, questo resta un confronto importantissimo e più che mai attuale, per la radicalità delle domande che si proponeva di affrontare:
E’ possibile coltivare una speranza, un senso, un orientamento, in questo tempo ambiguo che viene definito l’età del nichilismo?
In che modo la crisi di una modalità del pensiero, che è stata predominante nella storia del pianeta, (un pensiero rappresentativo, unilateralmente egoico-logico), potrebbe costituire il passaggio per una liberazione, per una crisi di crescita?
E che rapporto c’è tra nichilismo e quel mistero che chiamiamo Dio?
E infine, come è possibile esorbitare dal piano egoico, tentare nuove aperture del pensiero, entrare in contatto con “la follia dal Dio proveniente”, di cui parla Platone, senza impazzire?
Un dialogo “storico” anche perché rappresenta forse il culmine di un rapporto tra i due filosofi, che si conoscevano fin dagli anni ‘80, quando Marco Guzzi intervistò Umberto Galimberti per il programma radiofonico Lo Specchio del Cielo (qui trovate l’intervista pubblicata sul nostro canale youtube: https://www.youtube.com/watch?v=ac_Vwzncn1g ), mentre Galimberti accettò di scrivere la prefazione ad un libro di Guzzi rimasto tuttora inedito – il Libro del Secondo Appello.
In questo acceso dibattito sul nichilismo e sulla sua interpretazione, emergono molti punti di contatto tra i due, che si sono formati su maestri comuni come Nietzsche, Heidegger e Jung: la critica delle rappresentazioni metafisiche dell’essere e la consapevolezza di un tramonto storico dell’Occidente, la fine di un’epoca della storia umana.
Ma emergono anche i punti divergenti, in particolare sull’interpretazione del senso di questa fine:
- Il nichilismo è la rivelazione dell’illusorietà di una modalità del pensiero (la metafisica) che riguarda non solo gli ultimi due millenni ma forse l’intera storia umana. Questo fatto può essere letto anche come una liberazione, e la rivelazione del nichilismo può essere vista con uno slancio entusiasticamente positivo: Nietzsche distingueva infatti tra un nichilismo passivo e un nichilismo attivo, e il suo Zarathustra è l’annunciatore di una nuova umanità.
- Il Nichilismo non va confuso con un banale ateismo e non ha a che fare solo con la crisi del cristianesimo. Infatti tutte le religioni della terra hanno promesso all’uomo un’eternità che il Cristo viene solo a confermare e a testimoniare, e gli uomini hanno sempre creduto nell’invisibile, in un’altra vita, fin da quando hanno iniziato a seppellire i morti in posizione fetale.
- Il nichilismo è solo la fine di una modalità metafisica, rappresentativa, unilaterale ed egoica di pensare il divino, l’eterno, il mistero dell’essere. Ma la fine di questa modalità non significa che non si possa fare un’altra esperienza del divino, anzi, il crollo dell’illusione metafisica forse ci apre ad un reale abbandono a una dimensione trans-egoica.
- Per questo motivo, il nichilismo non è più un problema filosofico, ma diventa un problema iniziatico: come possiamo concretamente liberarci delle nostre modalità metafisiche di pensare e di essere, ed aprirci all’esperienza ad un vero contatto con il logos originario? Chi stiamo diventando come esseri umani? Che cosa diventa l’uomo quando non mette più al centro la pretesa illusoria di controllare il proprio essere?
E’ proprio su quei punti che Guzzi incalza con insistenza Galimberti, arrivando a citare direttamente le opere del suo interlocutore (!) per mostrare che lui stesso aveva lasciata aperta la porta di altre possibili vie da percorrere, vie che poi però nega o lascia, di fatto, inesplorate:
“Tu hai scritto dei testi bellissimi – dice Guzzi – parlando della mania platonica, che parla con il divino, quindi sai bene che esiste un altro modo. Io mi chiedo perché tu non ti ci butti completamente in quest’altro modo che pure conosci e teorizzi.
Perché tu vedi i limiti dell’ego razionalistico, li critichi benissimo e poi però resti dentro questo gioco, non compi il sacrificio dell’ego, non ti abbandoni ad un ascolto folle che pure ci dici di vivere?”
“per non andare in manicomio” – risponde Galimberti, e Guzzi lo rincalza:
“bravo! è giusto, ma non c’è soltanto il manicomio, e ce lo insegni tu: c’è anche Platone!”
E poi cita dal libro di Galimberti:
« Nei confronti della mania – che non vuol dire andare in manicomio ma significa entrare in contatto con il divino – gli amanti dell’episteme – cioè del pensiero scientifico/metafisico – potrebbero portare qualche invidia, dal momento che la follia dal Dio veniente è assai più bella della saggezza di origine umana (Platone).
Ermeneia non è più consapevolezza dell’assenza di un sapere assoluto, e quindi infinita moltiplicazione delle interpretazioni – e qui Galimberti critica benissimo la riduzione dell’ermeneutica a questo, anche nella filosofia italiana – ma traduzione e trasmissione di un messaggio che, provenendo da altrove, mette in gioco l’uomo in quell’immenso vuoto che separa i due mondi, dove non è più l’uomo ad avere in mano le regole del gioco ma il Dio, che con il suo dono lo gioca ».
Conclude Guzzi:
“Quindi questa è l’esperienza trans-egoica, trans-rappresentativa e folle (non da manicomio ma da divinizzazione), che a mio parere noi siamo chiamati a vivere in questo terribile tempo nichilistico.”
Per i praticanti dei gruppi Darsi Pace, ma anche per tutti gli altri, credo che questo sia un importantissimo materiale di studio, sul quale tornare e ritornare. La comprensione della natura apocalittica/rivelativa del tempo che viviamo, dello spartiacque finale/iniziale che ognuno di noi porta nella propria carne, vivendolo ad un livello esistenziale e magari inconscio, è un punto centrale nel lavoro dei gruppi: il lavoro interiore, le pratiche spirituali e l’elaborazione culturale che offriamo trovano senso all’interno di questa lettura del presente.
Buona visione e buono “studio”!
Non di solo pane vive l’uomo. Un significato talora equivocato
Gennaio 4, 2021 / gpcentofanti
Non di solo pane vive l’uomo non significa che da un lato vi è il pane, il bisogno materiale e dall’altro il bisogno spirituale. Anche il pane ricevuto da Dio è un dono spirituale. Una cosa accaparrata fuori della volontà di Dio rischia di far male, anche se Dio nella sua misericordia cerca alfine di volgere al bene anche il male che ci procuriamo da noi stessi. Appena torniamo a Lui. La grazia è divina e umana in Gesù, separare l’aspetto spirituale e quello umano è frutto di visuali riduttive, che possono finire per scoraggiare la crescita.
Il sistema, il deep state, al potere è il frutto di una cultura ormai svuotata di tutto. Per cui chiunque lo sostituisse avrebbe solo per questo un titolo di merito. Ma le soluzioni concrete richiedono un salto di qualità. Il passaggio dal tecnicismo alla libera formazione, fin dalla scuola, nella identità ricercata e nello scambio con le altre. Il solo apparente paradosso è dunque che ci si avvia sempre più diffusamente a comprendere che la mera praticoneria tecnicista spoglia non solo di valori morali ma nel tempo di tutto, anche delle cose più concrete. https://gpcentofanti.altervista.org/la-spiazzante-eterogenesi-dei-fini/