L’architetto milanese Stefano Boeri, chiamato dallo stesso premier Conte agli “Stati generali” come esperto per ripensare le nostre città dopo la pandemia, in un’intervista rilasciata al quotidiano Il Sole 24 ore dice:
“Se oggi passiamo cinque giorni in ufficio in città e due giorni fuori città, vedo un futuro in cui passeremo, con maggior benessere, cinque giorni fuori città e andremo due giorni in ufficio in città, per sbrigare le faccende che dovremo sbrigare sul posto.”
E poi prosegue:
“…bisogna pensare città che ricopino la dimensione del borgo… Nel senso di un ritorno a una dimensione di autosufficienza dei quartieri con servizi fondamentali… A una distanza di massimo 15 minuti a piedi.”
Personalmente sarei anche d’accordo con Lei, a patto di ammettere che per realizzare questo progetto sarebbe necessario demolire di sana pianta gran parte della configurazioni urbanistiche realizzate negli ultimi 100 anni.
Ad esempio perché vivere in un borgo autosufficiente non è indipendente da come è fatto “fisicamente” un quartiere: estremizzando, solo per capirci meglio, mi piacerebbe vederla mentre, la stessa intervista, Lei la rilascia all’abitante di un quartiere come Tor Bella Monaca, Scampia, o Giambellino, nella sua stessa Milano.
Sfortunatamente infatti sono proprio i quartieri popolari, eredi di quelli che una volta erano proprio i borghi, ad essere i più degradati oggi.
Personalmente sarei anche d’accordo, lo ripeto, nell’affermare che sia ora di un profondo ripensamento urbanistico delle nostre città, mutando radicalmente la forma stessa della nostra convivenza, magari in una maniera più decentrata e a misura d’uomo.
Ma quello che mi colpisce è il divario fra il piano ideale della proposta e quello concreto della sua eventuale realizzazione.
Un po’ provocatoriamente Le chiedo perciò di avere il coraggio, onesto e vivo, di dire in sedi pubbliche e importanti che per poter parlare un minimo seriamente di un ritorno romantico alla vita fuori città, è imprescindibile prima confrontarsi con le tante realtà difficili delle nostre periferie e aree metropolitane dove abita quello che viene chiamato il “popolo degli abissi”.
Dia inizio, la prego, a questa profonda riflessione nazionale. Altrimenti, mi dispiace, ma la sua non è la visione della città del futuro, ma quella dei borghi-resort delle smart-city tecno-invivibili, dove andare in vacanza solo qualche settimana, per poi tornare in città a progettare boschi verticali, grattacieli orizzontali, torri oblique. Come a dire, il business as usual, ma con meno peso sulla coscienza.
PS:
Sa perché credo che in fondo io e lei siamo veramente d’accordo? Poiché vedendo l’inizio della sua video-intervista rilasciata a fanpage, dove, alla domanda dell’intervistatrice: “Buongiorno Boeri, adesso siamo costretti a parlarci attraverso uno schermo, sembra che nel lockdown questo strumento è diventato familiare per lei, o sbaglio? “….è proprio Lei a rispondere, “…. sì purtroppo sì, non ne posso più… Non ne posso più!!
Per chi volesse approfondire questi argomenti
Gruppo culturale: la nuova Urbanità
Referente: Monti Luca
Finché non si esce dal tecnicismo il rischio di crollo può crescere. Serve un salto di qualità di base. Possibile per iniziative come quelle dei gruppi Darsi pace e, per esempio, per una crescente consapevolezza della necessità che la democrazia favorisca l’autentica libera maturazione delle persone. Allora, in una società più matura e partecipata, cambierà ogni cosa, anche l’urbanistica. https://gpcentofanti.altervista.org/la-citta-di-dio-dentro-quella-delluomo/
Molto interessante questo post.
Certamente la percezione della limitazione di contatti umani cambia molto fra luoghi,età,possibilità economiche e abitudini.
A fine anni ’70 mi stupivano le mascherine che vedevo indossare in Giappone,mi sembravano una dimostrazione di alto senso civico, “sono raffreddato e non voglio attaccare il mio raffreddore ad altri” e comunque l’espansività comunicativa e fisica in quei luoghi è ben inferiore alla nostra!
Tornando per l’ultima volta in Giappone, dopo il conosciuto disastro di Fukushima, vidi però anche i gel disinfettanti all’ingresso di alberghi e altri luoghi pubblici, me lo spiegai con una estrema importanza data all’igiene,forse eccessiva, pur considerando l’alta densità di popolazione, o motivata da fatti non resi pubblici.
Ora qui da noi i bambini sono già abituati a veder tutti mascherati ed igienizzati (non si legge delle dermatiti che di certo affliggeranno i più esagerati) e credo che già questo fatto abbia profondamente cambiato la percezione nei riguardi degli “estranei”, l’estraneo è pericoloso e deve stare lontano.
Da decenni si leggeva di auspici sul lavorare meno,lavorare da casa……..e qui mi aggangio all’articolo riportato: sfugge la complessità delle diverse situazioni, sfugge il grosso divario fra diverse culture e possibilità economiche, fra i diversi luoghi……..mi ha fatto pensare a quando anni fa a Milano rimasi bloccata nel traffico per più di tre ore,in un giorno di sciopero dei mezzi, e l’assessore addetto dichiarò che non c’erano stati affatto problemi di ingorghi durante lo sciopero dei mezzi…..infatti lui viveva nel comasco, cielo limpido,natura e traffico “normale”!
Dobbiamo ancora vedere gli effetti del Covid su tante situazioni economiche già difficili prima, certo comunque che nella catena di avidità commerciali qualcosa si dovrebbe essere allentato PER SEMPRE, ricordo locali milanesi dove per potersi alzare dal tavolo a cui si stava mangiando ci si doveva scastrare da chi ci sedeva di spalle, spazi superaffollati per guadagnare di più e sopravvivere a tasse ed affitti,in barba al benessere dei clienti.
Credo che, vivendo in un appartamento con spazi aperti,a Milano certe agenzie spacciavano per “camera da letto” stanze senza finestra, tanti claustrofobici come me abbiano trovato un bel sollievo in questo periodo di strade deserte, per non parlare del minor inquinamento acustico e chimico, ecco io credo che in futuro-virus o non virus- si dovrebbe proprio cercare di mantenere certi innegabili benefici sperimentati in questo periodo e tornare al rispetto della quiete notturna e comunque rispetto degli spazi reciproci.