L’intero ciclo della civiltà moderna può essere anche interpretato come un gigantesco risveglio del Fuoco trasformativo dello Spirito di Cristo nel tessuto vivente e sofferente della storia umana.
Se si pensa all’accelerazione dei tempi cui il mondo e le vite di ognuno sono state sottoposte nei soli ultimi due secoli, c’è davvero da impallidire di fronte all’energia immensa, messianica, spesso distorta e catastrofica, manifestata dall’essere umano. Oggi però, quasi fosse l’esito di un karma inaspettato, questa crescita erotico-tecnica sembra essere pervenuta ad un punto di cecità, di sterilità, che in definitiva le toglie qualsiasi terreno di sostenibilità e fondatezza da sotto i piedi.
O almeno così sembra.
Il Covid ha trasformato questa impotenza nascosta della civiltà moderna – ultratecnologica e ultrafrenetica – in realtà empirica quotidiana, bloccandoci nelle quattro mura di casa nostra, impedendo anche la più elementare vita relazionale delle persone, confinandoci in una specie di gabbia digitale, attraverso la quale relazionarci col mondo intero e (di fatto) dipendendo in modo sempre più esclusivo da essa.
Per me ad esempio l’isolamento non è una novità. Anzi, ho trascorso tutti gli anni più importanti della mia crescita post-adolescenziale con uno stile di vita molto ritirato, con amicizie forti ma molto selezionate, in una ricerca esplicita di solitudine e contemplazione spesso nutrita di rigidità e paura di confrontarmi col mondo. In effetti, è la prima volta in vita mia che – proprio grazie a questo anno di pesanti restrizioni e isolamento forzato – comprendo quanto poco sana e integra sia sempre stata questa mia condotta di vita. Oggi che mascherarsi è diventato obbligatorio per legge, vedo crollare a pezzi una delle mie maschere più antiche e consolidate: quella del filosofo solitario, che crede di essere del tutto appagato dal grande sogno e dalla vetta innevata delle montagne, «molto più in alto di tutte le cose umane», come diceva Nietzsche.
Ebbene, se il Covid mi ha insegnato qualcosa è proprio che tutto questo è in buona parte una grande struttura difensiva affacciatasi in me sin da molto piccolo, e nella quale – via via che crescevo – ho riposto tutte le mie forze, speranze e desideri profondi, in fondo scindendomi da me stesso, dal mio corpo, dalla fonte mondana e umana del mio Eros, e quindi scatenando dentro di me una rabbia incommensurabile, che ho impiegato anni solo per controllare e ascoltare con un po’ di equanimità. Il Covid per me significa che tutto questo sta finendo, o comunque sta giungendo ad un punto di rottura irreversibile.
Non è incredibilmente consonante a ciò che sta accadendo contemporaneamente nella fragile, stremata e disorientata coscienza collettiva?
Sotto la coltre di grigiore e gelo che l’individualità complessiva dei popoli tardo-moderni post-1989 si è costruita per difendersi dalle proprie ferite non risanate, una camera magmatica di proporzioni apocalittiche sta infatti ribollendo. Un Fuoco spirituale che, compresso e offeso, minaccia di eruttare in forme ancora più distruttive di quelle del XX secolo. E che tuttavia, se accolto nel suo portato di Salute e Integrità, promette di donare l’unica Via giusta e praticabile per l’attraversamento risorgimentale di questa Notte del mondo.
Alcuni poeti del secolo scorso si sono rivelati pionieri esploratori di questa Notte, hanno deciso di andare fino al fondo, nell’apparente oscurità senza fine di questo frangente storico. Georg Trakl (1887-1914) fu uno di questo scavatori d’Avamposto dell’anima occidentale. Nei suoi versi, così come nella carne della sua vita, ricorrono molto spesso gli echi di un tramonto tragico, di una Tenebra che avvolge in sé un’intera conformazione storico-esistenziale del mondo. Ma come ci ricordava anche Heidegger nella sua straordinaria esegesi di Trakl degli anni ‘50, non solo il Nero contraddistingue il mistero della Notte, secondo la parola di questo poeta. Si dà invece l’Azzurro (das Bläue) come colore impensato di queste stesse Tenebre, quando osservate da una angolazione più pura e radicalmente spirituale (geistlich).
È il fuoco dell’Alba che l’occhio veggente già scorge nel fondo della Notte. È il crescere segreto di un ruscello di Luce, che illumina il sentiero già da sempre destinato alla foce di un nuovo Sole.
Nei versi intitolati Kindheit (Infanzia), assolutamente insostituibili nella loro lingua originale, possiamo leggere:
Un azzurro Attimo è soltanto più l’anima.
Al confine del bosco si mostra una timida fiera e pacifica
Riposano in fondo le antiche campane e i borghi cupi.
Più devotamente scorgi tu il Senso degli anni oscuri,
Frescura e autunno in solitarie stanze;
e in sacro Azzurro suonano via passi di luce.
Sommessa cigola una finestra aperta; fino alle lacrime
Commuove la vista del diroccato cimitero sul colle,
Ricordo di narrate leggende; ma talora
Si rischiara l’anima
Quando pensa a lieti uomini, oscuro-dorati giorni di primavera.
Così commenta Heidegger il senso profondo di questi versi profetici: «Il fascio di azzurro raccoglie al fondo di sé la profondità del Sacro. Dall’azzurro riluce, ma nell’oscurità che all’azzurro inerisce anche si cela, il Sacro. Questo permane, nell’atto che si sottrae. Dona il suo avvento, mantenendosi in quel sottrarsi che è insieme restare. L’azzurro è la chiarità (Helle) che si cela entro l’oscurità. Hell, cioè hallend (sonante) è originariamente il suono che chiama dal sicuro della quiete, e si fa chiarore. L’azzurro è suono nella sua chiarità». E ancora, poco più avanti, in relazione all’immagine della fiera: «L’animale non ancora fissato nel suo vero essere è l’uomo contemporaneo. Trakl chiama con la parola poetica “fiera azzurra” (blaues Wild) quell’essere umano sul cui volto, sul cui occhio, nell’atto che persegue i passi dello straniero, s’affissa, a sé avvicinandolo, l’azzurro della notte, e il Sacro riflette la sua luce. “Fiera azzurra” è il nome che indica i mortali che, memori dello straniero, vorrebbero con lui raggiungere – col loro camminare – il luogo d’origine della loro essenza umana» (In cammino verso il linguaggio, pag. 50-52).
In questo respiro poetico e profondamente devoto alla Notte come a un Mistero, nutrito dalla fede reale che in essa si celi un Senso più vero e luminoso, possiamo trovare la speranza, la forza quotidiana per attraversare tempi anche più bui di questi, che potrebbero essere alle porte.
È però l’occhio cristico dell’Invisibile a salvarci, ossia a sottrarci – pur lasciandovici dentro sul piano visibile – dall’oscurità crescente di questo mondo. L’Attimo azzurro è quindi l’Attimo messianico della storia, della nostra storia: coglierlo come esperienza vivente dell’essere è il fine segreto per cui siamo nati e per il quale esistiamo in generale, dal primo all’ultimo istante della nostra vita.
Solo così, io credo, possiamo già ora predisporci a giorni di Primavera (Frühlingstage) patendo il cuore di questo interminabile Inverno, di questa umanità malata di mente e di corpo, che chiede solo di morire (senza saperlo), per poter però rivivere più in Verità. Qui risiede anche l’annuncio degli ultimi più significativi versi che mi hanno fatto visita:
Il Fuoco sale
Perché impara
Il tacere.
La peste impéra
Nei cuori,
E fa strage
Di pensiero.
Ma noi siamo
Prima che la valle
Di lacrime
Fosse.
Accende il braciere
Un (e)vento
Che ha da dire
La Novità.
Un accenno
Alle porte calde
Di maree
E vita
A palate
Avvampa
A parole eterne
La risaia
Dell’essere.
Grazie caro Luca,
di questo testo prezioso.
È solo dalla verità dell’ascolto,
dall’umiltà, che sgorgano parole
di vita, di uno Spirito che è la stessa
Fonte dell’Essere.
Un abbraccio,
Francesco
Grazie Luca per questa apertura, per questa manifestazione e visione che tutto coniuga. Della tua capacità di udire e vedere, ma anche apertamente dichiarare nella tua trasparenza : / “comprendo quanto poco sana e integra sia sempre stata questa mia condotta”/…..Aiuta me e credo anche altri a fare ulteriori introspezioni in questo cammino comune di osservazione come dici te per cercare di com-prendere, interpretare una realtà.
Molto belli i tuoi versi che l’ Altro ti ha suggerito. Un abbraccio. Pasqualino
Crisi della cultura profonda, crisi personali e crisi sociali hanno oggi per molti aspetti le stesse radici.
Seconda Ave Maria
Sempre la sera quando scende la tua pace
domando che sia del mondo che non spera.
Potenti affannati a dominare gente
che cerca solo una vita più serena.
Oh Signore, tu sai perché permetti
queste cose, questi dolori, queste ferite
astruse. Quando le cose semplici e buone?
Quando la fede coltivata a scuola,
pure lo scambio col pensare altro?
Lasciateci campare, siamo stanchi.
Viene la sera, ogni voce si fa eco distesa,
si quieta il campo di girasoli, il faggio riposa.
Fuma il comignolo del casolare nella tenue rossastra
luce diffusa. E l’allodola dal nido ai margini del bosco
canta che questa vostra vita non è vera.
Preghiera del vespro.
La sera tu vieni sileziosa
come una pace segreta
tra il vento e la rosa.
Un raggio di luce rossa
ferisce per un solo istante
la siepe odorosa di gelsomini.
Qui nella campagna
tu parli confidenzialmente
come il marito e la sposa.
Come la mamma e il bimbo
che rotola sull’erba
senza farsi male.
E la mamma ride contenta
di questo gioco che
non le dà pensiero
ma solo infonde fiducia
in tale tempo di prova.
Compieta
Ci sia pace nel tuo cuore
lascia scendere la pace.
Senti? Bussa alle finestre
dalle brume della sera
e ti dona di ascoltare.
Tu aprile. Non temere
– ti dice – i fantasmi dell’inverno,
né la notte che viene.
Riposa. Io sono invece
nel crepitare del caminetto,
nel cagnolino beato
della tua presenza,
nelle semplici cose
contro le quali nulla
davvero può il male.
Breviario pasquale
In questo tempo di sera
sento un canto
come una sorpresa
che si rivela un appuntamento.
Non devo fare nulla, viene
ed io soltanto sento.
Sento il dolore per il vento
che scuote questo mondo
e più nel fondo una pace,
una speranza, in cui mi perdo
senza più alcun ragionamento.
La rada
C’è una spiaggia lungo la rada
dove un tiepido sole splende
triste in questo novembre.
Lì tu celi e riveli il tuo mistero
e domandi sempre e non cerchi
più risposte. Solo guardi il mare
che brilla e si perde nella foschia
lontana e non hai più domande
e domandi sempre.
Canti dalla nuova dittatura (2)
Cammina in questo tempo
ognuno in una nebbia umida
e grigia. Il cardo e la rosa,
il grano e la sposa nel dì
di festa sono altra cosa.
Il maggio odoroso si è perso,
l’inverno si aggiunge all’inverno.
Ed io che cerco il tuo cuore
e il tuo cuore mi cerca mi dico
qualcosa è rimasto ancora
di vero e di bello. Con passo
pur lento andiamo oltre
la bruma senza alcun vento.
Canti dalla nuova dittatura (3)
Grigia strada della Nomenklatura
dove ognuno si perde nella bruma.
Triste sole d’argento che devi splendere
ancora aspettando un altro tempo.
Ma tutto questo silenzio parla
di un miracolo che sta venendo
ed io senza ancora volerlo già prego.
https://gpcentofanti.altervista.org/resistenza-diffusa-ad-una-china-drammatica/
Grazie, caro Luca, un testo molto illuminante e preciso, con vere perle di immagini, come “l’attraversamento risorgimentale di questa Notte del mondo.” Un abbraccio. Marco
Grazie a tutti per questi preziosi riscontri, e molto belli i versi di Giampaolo.
E’ molto importante, in questo periodo di prova, condividere la propria vita attraverso l’esperienza
della Verità che lentamente e faticosamente in noi sta nascendo.
Un caro saluto, Luca. –
Grazie. Siete germogli di speranza in un’epoca grigia. Ed è bello vedere che Marco Guzzi sa andare controcorrente anche se il sistema con le sue mille lusinghe (e qualche possibile ostacolo) lo accoglierebbe a braccia aperte.
2 Cr 18, 4-7
4Allora Giòsafat disse al re di Israele: «Consulta oggi stesso l’oracolo del Signore». 5Il re di Israele radunò i profeti, quattrocento circa, e domandò loro: «Devo marciare contro Ramot di Gàlaad o devo rinunziarvi?». Gli risposero: «Attacca; Dio la metterà nelle mani del re». 6Giòsafat disse: «Non c’è qui nessun profeta del Signore da consultare?».
Si noti la perplessità di Giosafat di fronte all’uniformismo dei 400 profeti di corte.
Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Che cosa dunque siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re! (Mt 11, 7-8)