Caro Francesco, con queste parole vorrei esprimere la mia partecipazione e contentezza per la pubblicazione di questo tuo scritto, ringraziandoti anche per tutti gli anni di grande amicizia e lavoro creativo condivisi con te e con gli altri ragazzi. Lo sento davvero come un onore.
Ricordo molto bene quando, nel novembre del 2017, avemmo l’idea di iniziare un ciclo di dirette su Facebook per dar voce ad una profonda sete di annuncio, di dialogo sperimentale con un pubblico allora ancora modesto, in un periodo della nostra vita non facile, soprattutto per te, ma in genere per tutti noi del gruppo Humus, nato da poco e perlopiù ai primi passi. Ricordo che fu tua l’idea di ispirarci ai grandi anniversari rivoluzionari di quell’autunno, e tentammo perciò queste dieci dirette, ognuna di circa un’ora, pensate (con lo spunto di Lutero) come dieci tesi rivoluzionarie per una rinascita poetica della cultura contemporanea.
Oggi, alla luce di questo bel libro, sento di poter dire (credo anche a nome tuo) che neppure una delle nostre difficoltà di allora sia risultata vana. La prima volta che me ne hai parlato, mi ha subito colpito la straordinaria semplicità di quest’idea: raccogliere i tuoi scritti redatti nel corso delle tante iniziative di questi anni, e non solo (a partire proprio dalle nostre dirette), in modo da rimetterli a nuova vita e far sì che, acquisendo la forma di un unico sentiero terapeutico, si (ri)volgessero al servizio della nuova umanità cui vorremmo dare i natali.
Più che come libro infatti, inteso nel senso classico del termine, mi viene più da pensarlo come una raccolta di sapienti, nutrienti frutti, chiaramente maturati dal terreno di una lunga semina spirituale, accudita e coltivata con pazienza grazie al nostro percorso in Darsi Pace. Va anche detto che, avendo tu compiuto 28 anni, si sta proprio ora completando il quarto settennio della tua vita anagrafica. Un simile dato non può essere casuale, se penso ad un atto creativo come questo. Mi pare invece che sia tutto perfettamente inscritto in una grande ricapitolazione, che tira accuratamente le somme di un importante frangente della tua esistenza, già rivolta ad un tempo di nuove sfide creative per tutti. Non sta forse qui il senso della Nascita, personale e planetaria insieme, che hai evocato nel titolo, facendo poeticamente eco a tutti gli altri volumi di Crocevia?
Così comprendo anche la scansione ritmica del tuo testo: ognuna delle trenta tappe si pone come il passo di un più vasto cammino poetico, che non si articola in mere “parti”, ma in una specie di respiro paziente, continuo, nutrito di ascolto e di grande riguardo nei confronti del lettore. D’altro canto, sai quante volte ti ho riconosciuto questa rara dote di semplicità, non solo nella scrittura, che a me ad esempio viene molto meno naturale, ma che in te si traduce quasi sempre in uno stile spontaneamente arieggiato, in grado di urbanizzare, fluidificare l’essenziale per la vita di innumerevoli studi sinottici e interconnessi.
Mi vengono in mente, a questo proposito, le profetiche righe con cui Heidegger volle chiudere la sua Lettera sull’Umanismo, nel 1946: «Il pensiero sta scendendo nella povertà della sua essenza provvisoria. Il pensiero raccoglie il linguaggio nel dire semplice. Il linguaggio è così il linguaggio dell’essere come le nuvole sono le nuvole del cielo» (p. 203-204).
Non sta oggi segretamente accadendo proprio questo, all’ombra del gran baccano del vecchio mondo esausto? Qui vedo il senso non solo del tuo libro, ma in genere di tutta la collana fondata da Marco Guzzi con il manuale Darsi Pace: essere una distillazione in tappe, una pedagogia poetica e propedeutica per l’umanità nascente. Giacché, come sappiamo, in un mondo come il nostro ad essere silenziata è anzitutto la voce del Nascente, che vorrebbe disperatamente cantare in ognuno di noi, essere messa al mondo, farsi essa stessa mondo, senza doversi continuamente nascondere da niente e da nessuno. Il tuo libro, letto nella vibrazione di questa voce dirompente, rivoluzionaria e clandestina nel cuore oppresso degli umani, se ne fa effettivamente porta-voce, come una specie di partitura vivente.
Imparare a nascere, credo, vuol dire in fondo solo questo: imparare a patire il transito chiaroscurale del nostro stesso essere-al-mondo, lasciarcelo scorrere fin dentro le vene, così che il Miracolo creativo della vita sia libero di sbocciare. Sotto questa luce va inteso ciò che Gesù dice nel Vangelo di Matteo: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita a causa mia, la troverà» (Mt 16, 24-25).
Alle parole del Cristo ha fatto straordinariamente eco ancora Heidegger, quando nei primi anni ’40 scriveva: «Nella morte si dà l’estrema possibilità del riferimento all’essere. Che cos’è dunque la morte? Il congedante fondamento abissale per l’Inizio» (L’Evento, p. 197).
E come anche tu giustamente dici, alle pagine 174-175: «L’essere, ovvero la verità della realtà in cui siamo immersi in questo momento, si sottrae, non possiamo gestirlo a piacimento. Ma questo venire meno è un richiamare a sé. È un attirare che dispone chi si dirige verso il magnete a divenire asilo del suo avvento. Diventiamo il terreno dell’Avvento. Siamo noi i canali della Grazia. (…) La pratica è anche perciò un dono, nel senso che l’apertura del cuore ci guarisce dalla pretesa di avere tutto sotto controllo. Solo in questa reiterata presa d’aria facciamo esperienza di una reale guarigione».
Ecco. In un simile orizzonte possiamo lasciare
che il Transito epocale,
nel quale siamo tutti chiamati per Nome:
Responsabili universali,
accada fino in fondo. Coi suoi tempi.
Senza fretta, ma senza sosta.
Con grande ebbrezza e misura.
Reduci, come siamo, da molta buona fatica:
la fatica dell’agente messianico,
mandato a rovesciare poeticamente il mondo,
ri-nascendo eternamente con esso. –
Un abbraccio a te
e un caro augurio di buona lettura a tutti.
Luca Cimichella.
Ispirazioni feconde, vie che si può contribuire ad aprire con il contributo di tutti. Uscire dagli svuotamenti, dai falsi tecnicismi, della ragione astratta per tornare alla libera, vissuta, ricerca umana integrale e al solo allora autentico scambio. Noi cristiani potremmo leggere questo passaggio epocale come il transito dai riferimenti di fede e ragione alla ricerca sempre più attenta del discernere concreto di Gesù, anche, nei tratti essenziali, quello dei vangeli. Cristo non ha mai parlato di fede e ragione ma di umanità che matura, anche implicitamente nel percorso di un non cristiano, in lui, Dio e uomo, sul quale lo Spirito scende delicatamente, a misura, come una colomba. Dunque una maturazione in lui del nostro cuore, della nostra coscienza spirituale e psicofisica, nella Luce che scende con gradualità, secondo il personalissimo cammino di ciascuno. In questa autentica crescita si vede ogni cosa, persino la matematica, in modo sempre nuovo. È impressionante osservare che Maria ha detto a Fatima poche densissime parole: “Alla fine il mio cuore immacolato trionferà”. San Massimiliano Maria Kolbe intuì un’era nuova, l’era dell’Immacolata. https://gpcentofanti.altervista.org/un-salto-di-qualita-epocale-ai-primissimi-albori/
Quando ho saputo della pubblicazione del libro di Francesco Marabotti mi è venuto immediato collegarlo al libro che lo precede nella Collana Crocevia “La vita è l’opera” di M. Guzzi nel quale il dialogo tra Francesco e Marco illumina il nesso tra esistenza personale e storia collettiva e aiuta a comprendere l’essenza e le finalità del Movimento Darsi pace.
Imparare a nascere è diventare consapevoli dell’inizio, è dare un altro inizio alla (nostra) storia, è vivere la propria vita come l’opera.
Adesso.
Questa consapevolezza ha preso luce in me dal mio approdo in Darsi Pace e da allora il lavoro interiore è esercizio continuo per dimorare nell’inizio.
Seguirò con gioia l’evento di giovedì sperando che altri ne possano seguire.
Giuliana
Scrivo su questo sito perché siete tra i pochissimi a contribuire alla ricerca di un autentico, sereno, rinnovamento personale e sociale. In un mondo che viene spento e va verso il crollo.
Proprio oggi si festeggiano i 160 anni dell’Unità d’Italia. Ma quanto il nostro paese può dirsi davvero unito?
https://gpcentofanti.altervista.org/diffondere-la-consapevolezza-della-rivoluzione-decisiva/
La frase sull’unita’ d’Italia è un refuso. L’unità senza anche distinzioni è un inganno.