Un segno noi siamo, senza significato,
senza dolore siamo e quasi perduta
abbiamo la parola in terra straniera.
Laddove infatti sopra agli umani
una contesa sta nel cielo e travolgenti
vanno le lune, parla allora
anche il mare e i fiumi stessi
debbono cercarsi un sentiero. Senza dubbi
è però uno solo. Colui
che di giorno in giorno può mutarlo. Non appena abbisogni
di legge. E risuona allora la foglia e querce alitano
presso il ghiacciaio. Giacché non tutto
possono i Celesti. Pervengono perciò
i mortali all’Abisso. Si volge così l’Eco
con questi. Lungo è
il tempo, accade appropriandosi tuttavia
il Vero.
L’affacciarsi dell’Evento pasquale nella storia è motivo di scandalo e conflitto senza pari per l’ordine distorto di questo mondo. Il più delle volte non viene abbastanza chiarito un paradosso cruciale: l’avanzata apparentemente inesorabile delle Tenebre non ha origini proprie, ma è lo specchio dell’avanzata invisibile e ancora più pressante della Luce di Cristo nella sostanza paziente di questa dimensione mortale. Un tale paradosso è cruciale anzitutto in quanto attiene al mistero fondamentale della Croce, presso il quale la vittoria di Satana è catastroficamente associata alla definitiva vittoria della Verità.
Meditare con la vita e col corpo intorno a questo Centro di gravitazione trasversale del Cosmo richiede esattamente tutta la storia dopo Cristo del genere umano. La buona notizia è che già subito ci è dato di sperimentarlo. Ho scelto questi versi molto potenti di Hölderlin, tratti dalla seconda versione dell’inno Mnemosyne, affinché ci accompagnino con la giusta frequenza in tre brevi passi, che siano al contempo indicazioni e invocazioni in grado di introdurci (almeno un po’ più a fondo) nel mistero pasquale di questi giorni.
Prima indicazione. L’uomo nasce su questa terra sapendo che deve morire. «Perché allora devo nascere, se so già che ogni nascita è sempre spazzata via dalla morte?», chiede una voce – perlopiù inconscia – dentro di noi. L’uomo si sveglia a questo mondo non sapendo il perché di questo mondo. Si guarda attorno, guarda se stesso: tutto è indice di qualcos’altro, tutto è un segno che chiede fin dal principio di essere cor-risposto da un significato. Ma quest’ultimo non è dato. Dice il poeta: «Un segno noi siamo, senza significato». Nell’arco degli ultimi due secoli di cultura occidentale, questa tremenda mancanza di senso, consustanziale all’esperienza mondana dell’umano, è diventata consapevolezza universalmente condivisa, se non altro a livello psico-spirituale. Ecco perché l’oscurarsi dell’orizzonte esistenziale del mondo accade in primo luogo come devastazione silenziatrice dei linguaggi, quasi che l’uomo avesse davvero perduto la parola – nella sua essenza fondamentale – perdendo di vista se stesso, trovandosi a navigare in una condizione im-propria, alienata, scissa da sé e cioè dis-umana in senso tecnico («e quasi perduta / abbiamo la parola in terra straniera»).
Eppure, in questo scenario aspro e notturno, è già accaduto qualcosa di inaudito. Affinché infatti le Tenebre si appalesino come Tenebre occorre prima che una Luce le abbia illuminate in ciò che esse sono. Questa Luce è uno sguardo, una coscienza che da principio si crede disincantata solo in quanto ha cessato di credere al primo livello, quello più illusorio e superficiale, della realtà. Qui sta il senso nascosto della parola scettico. In greco la Skèpsis è una forma dello sguardo (dal verbo skopèin, “guardare”, “scrutare”). Il vero scettico è quindi un disilluso, un incredulo proprio perché ha già scrutato, senza forse saperlo, molto più in profondità nel mistero delle cose, ecco perché non si fida più di ciò che è dato a livello immediato. Ha intuito qualcosa di più radicale, di più complesso, in buona misura ignoto, ma che è comunque più vero di ciò che aveva creduto fino a quel momento essere la verità.
Seconda indicazione. L’emergere a poco a poco di questa contraddizione tra la verità corrente, nota a tutti, e una verità più invisibile, enigmatica, ma più potente di quella visibile, scatena un vero e proprio conflitto cosmico. Le forze stesse del mondo cadono in subbuglio, proprio perché il mondo visibile vorrebbe continuare ad essere l’unico mondo possibile. I poteri terrestri si irrigidiscono, si oppongono ferocemente alla Skèpsis, allo sguardo scrutatore dell’Ignoto, in quanto temono da morire di perdere il controllo sulla realtà («Laddove infatti sopra agli umani / una contesa sta nel cielo e travolgenti / vanno le lune…»). Dice il Vangelo dei tempi finali: «Gli astri cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte» (Mt 24,29). Sono già questi i tempi che viviamo? Sì e no. No, perché questa condizione apocalittica non è affatto compiuta; sì, perché i tempi stringono verso quel compimento, e la stretta si fa sempre più inesorabile.
Ecco che, una volta oltrepassati i confini del vecchio mondo, si apre una specie di orizzonte degli eventi, in cui il Pericolo e la Salvezza sembrano quasi indistinguibili. Scrive lo stesso Hölderlin: «È prossimo / e difficile da cogliere il dio. / Dove però sta il Pericolo, cresce / anche Ciò-che-salva» (dall’inno Patmos). Di qui l’importanza della Misura come Dono di praticabilità della Via, che può quindi farsi sentiero, direzione, lume e legge nell’oscurità del non Pre-vedibile («I fiumi stessi / debbono cercarsi un sentiero. Senza dubbi / è però uno solo. Colui / che di giorno in giorno può mutarlo. Non appena abbisogni / di legge»).
Il primo compito dell’umanità pasquale, dei rivoluzionari del XXI secolo, è quello di trovare una misura dell’incarnazione, un metro di attraversamento della Notte, senza sprofondare nella sua imperscrutabilità senza fine. Trovare il sentiero vuol dire trovare la giusta modalità di cammino verso l’Alba. Trovare l’Alba nell’attimo più fondo, imparare a pregustare la Domenica nell’ora più buia del Venerdì santo («E risuona allora la foglia e querce alitano / presso il ghiacciaio»).
Terza indicazione. Solo così i mortali possono imparare a costeggiare l’Abisso senza esserne travolti, arrivando perciò dove neppure gli Dei possono arrivare. Qui sta la radicale cristicità, in questo caso implicita, della parola hölderliniana. L’uomo è più abissale, più potenziale, più dinamico e folle degli antichi Dei («Giacché non tutto / possono i Celesti. Pervengono perciò / i mortali all’Abisso»). In altri termini, c’è un Mistero ulteriore che – una volta contattato l’Abisso vero e proprio della morte, in senso iniziatico – si spalanca in tutta la sua trascendenza rispetto all’ordine divino-terrestre del vecchio mondo. Gli Dei sono le potenze cosmiche che debbono necessariamente tramontare per lasciar spazio all’Avvento di un uomo nuovo, un uomo assolutamente divino, il Cristo stesso nella sua Rivelazione compiuta.
Hölderlin dice infine: «Lang ist / die Zeit. Es ereignet sich aber / das Wahre» («Lungo è / il tempo. Accade appropriandosi tuttavia / il Vero». Ciò sta a dire: i tempi di questo processo sono molto più lunghi e insondabili di quelli affrettati dell’uomo contemporaneo. Eppure già ora e sempre accade l’Evento (Eregnis), una Rivelazione epocale e sconvolgente della Verità, che ci si offre (ri)trovando-si in noi, accasandosi e appropriandosi (sich er-eignen) nell’uomo stesso come nel suo proprio Sé. E come bene mostra Marco Guzzi ne La Svolta e nei seminari de L’uomo nascente, questo Evento è in sé la Resurrezione cristo-logica del Corpo mistico del mondo, e quindi del Cristo-in-persona nei corpi reali di ognuno di noi.
Questo e non di meno siamo oggi chiamati a vivere in una Pasqua, come quella del 2021, in cui (non è una novità) i regimi soffocanti di questo mondo continuano a serrare i ranghi. Ciò che può umilmente e assai concretamente confortarci è proprio il sapere che l’intera vicenda antropologica dopo Cristo è, nel suo complesso, una Passione e Resurrezione dell’umano da una Figura adamitica e caduta del Sé all’Uomo-Dio in Cristo, finalmente trans-mortale. Aiutare le persone a realizzare tutto questo nelle proprie vite è il compito essenziale di Darsi Pace fin dalla sua fondazione.
È possibile allora sperare in un domani in questo terribile tempo di pandemia, restrizioni, menzogne, panico e morte? Sì, ma solo a patto che scegliamo prima di tutto di credere in un Domani domenicale e pasquale della condizione terrestre in quanto tale. Nessuna Rivoluzione politica, sociale ed economica avrà mai più luogo al di fuori di un orizzonte follemente preciso e visionario come questo. Potremmo dire ancora di più: nessuna Pasqua a questo mondo sarà più degna di essere chiamata tale a prescindere da questa Conversione psico-cosmica dell’essere umano nel tempo storico attuale.
Con questo messaggio allora, auguro di cuore buona Pasqua a tutti i nostri praticanti,
perché la nostra crescita straordinaria come movimento sia sempre più figlia
di questa Passione millenaria della terra,
dalla quale proveniamo tutti a modo nostro
e nella quale soggiorniamo, cristicamente,
per Rinascere. –
Caro Luca, nel leggere e rileggere il tuo ‘post’ continuavano a venirmi alla mente le immagini dello straordinario funambolo Philippe Petit che camminava sul vuoto di un abisso sopra una fune, a New York!!!
Un’ immagine efficacissima della nostra fragile, e straordinaria, condizione umana.
In qualche modo ho associato quelle immagini al cammino di noi esseri umani guidati dalla fede nel Risorto, una ‘folle strada’ che ci consente di attraversare il vuoto sotto di noi senza esserne inghiottiti perché certi di arrivare in una nuova ‘terra’ …
Grazie Luca…e che il mistero della Pasqua continui a espandersi nel cuore di tutti noi ???
mcarla