Qualche tempo fa, durante lo studio delle pagine di Per Donarsi al sesto portale … ma, a pensarci bene, ancora prima, ascoltando il video relativo a questo incontro di App1 … ha incominciato a risuonare in me una domanda: Chi parla?
E così, ho cominciato un esercizio per riconoscere il volto, i modi, le parole che connotano i vari stati dell’Io osservandomi, come da una finestra aperta sull’aspetto esteriore, e insieme ascoltando ciò che da dentro affiorava. Mi aveva colpito in particolare l’accenno sui ritmi diversi del tempo che configurano gli stati, e così ho cercato di riconoscerne qualche differenza, nel loro agire da uno stato all’altro.
Sotto suggerimento di Marco, condivido l’esercizio con voi, compagni di viaggio. Conosciuti e sconosciuti.
IDENTIKIT
Osservazione nel processo del passaggio nei diversi stati dell’Io
1.
Ecco, ora ti vedo.
Espressione trafelata, come se avessi corso e ora ti manca il fiato.
Sguardo fisso sulla preda, aquilino. Occhi lampeggianti, asciutti.
Le labbra sono serrate, esangui. La lingua veloce come saetta, quando esce dalla bocca:
in questo stato, non si può fermarla, già cominciano a rotolare le parole affannose, pronte all’uso.
Gridano, pungono, dicono male e fanno male!
Ti guardo con sgomento e vergogna. Provo anche compassione per le tue reiterate cadute.
Tu sei la mia parte arrabbiata, sei la mia difesa aggressiva: quando senti di essere maltrattata,
soprattutto ingiustamente; anche se raramente attacchi, la tua difesa è comunque scontrosa.
Dura e secca, la tua voce graffia e ha i modi della padrona; perentoria esprime critica, rimprovero, giudizio.
Ti mostri sicura e severa. Ma dentro di te fremi, mescolando sdegno e fragilità di bambina impaurita.
Riconosco in questo stato la Brunella adolescente, decisa a uscire dalla sua timidezza patologica
dove le era impedito di parlare per la troppa emotività e insicurezza!
Chi ti ha insegnato a comportarti così? Che cosa ha formato in te questo corpo?
Ecco, ora ti vedo di nuovo.
Espressione triste, contenuta, per non cedere al pianto.
Stringi i denti e le labbra, nel silenzio che ti chiude in un angolo della vita.
Ti senti sola, nel tuo desiderio di vicinanza, condivisione, di amicizia offerta e delusa.
Non sono fatta per questo mondo, ripeti sconsolata!
A volte piangi, con lacrime silenziose, altre con singhiozzi, senza ritegno.
Niente, in questi momenti, può consolarti.
Cerchi un appiglio scorrendo la tua vita come in un film, ma nulla ti fa alzare.
Nessuno ti sembra un buon motivo per farlo. Ti lasci cadere nel vuoto.
Chi parla? Io in conversione che osserva agire Io egocentrato bellico
Ti guardo con tristezza e tenerezza. Anche qui provo compassione per te.
Tu sei l’altra forma di difesa, la principale o forse unica, durante l’infanzia.
Quando avevi paura o eri arrabbiata ti chiudevi nel tuo bunker di silenzio.
L’esilio poteva durare giorni, sottraendo il tuo sguardo parola sorriso a tutti!
Inutili i tentativi di chi tentava di farti uscire, forse solo la mamma ogni tanto
ci riusciva, usando un tono carezzevole della voce, e qualche gesto affettuoso,
entrambi molto rari, almeno nei miei ricordi!
Ora, ne esci da sola, all’improvviso. Può bastare il suono di una musica, l’aria fresca
che entra dalla finestra, o un cenno di bellezza che invita il tuo sguardo.
Anche la chiamata di un amico o amica. Qualcuno o qualcosa che si ricordi di te.
(Se nella prima difesa è necessario un tempo di respiro calmo per sciogliere le agitazioni nel cuore
e nella mente e, dopo, parole che ricostruiscano l’ordine saltato in aria … nella seconda c’è bisogno
del soffio di vita capace di portare altrove; a volte basta una parola luminosa per attraversare il silenzio fitto come nebbia … simile a quella dove da bambina mi trovavo a camminare nell’inverno milanese.
In ogni caso, c’è una mano o una voce inudibile, che mi viene incontro. Misericordiosa)
Accolgo sorridendo, e mi abbandono più profondamente
2.
Ora Il respiro è leggero, calmo, profondo.
I lineamenti del volto distesi, il corpo allineato nella sua ordinata postura
sta morbido e rilassato. Pensieri, immagini o ricordi continuano ad affiorare
come pesciolini in una vasca, ma con moti più lenti, radi.
Sono accolti tranquillamente, insieme all’inspiro sottile dell’aria che porta nuova vita
fresca e sorridente; tentano sempre d’impadronirsi dello spazio, come protagonisti frettolosi
della scena che si svolge in un tempo rallentato. A volte riescono a rubare attenzione, ma per poco,
perdono sempre più vigore, sbiadendo nell’espiro regolato, disceso nel profondo sempre più fondo.
Ora i pesciolini si perdono tra le acque che scorrono, senza sosta, verso il mare del silenzio.
Ti vedo assorta.
Cerchi con attenzione, nel buio intorno, qualcosa o qualcuno.
Poche parole galleggiano qua e là ma senza prenderti, sembra che anche tu galleggi
in un vuoto leggero. Nel silenzio di te c’è l’eco dei rumori esterni, la percezione del tuo corpo da dentro
con i suoi segreti movimenti. Sei concentrata nell’ascolto, senti salire l’onda della pace. Ampia e profonda.
Ora parli con qualcuno, rivolgi parole miti, sincere. Chiedi aiuto, protezione, luce. Benedici.
Ti senti bene, al sicuro. Respiri una gioia calma, piena. Nessuna ombra ti turba.
Neanche l’ombra del tempo. A volte si sciolgono lacrime fresche, allegre. Eccomi, dici. Eccomi!
3.
Mi lascio guardare da Te, spogliata e senza vergogna. Non ti vedo, ma so che ci sei.
Conosco il Tuo sguardo amorevole dove splende la pura compassione, la fraterna comprensione,
la sincera amicizia. L’abbraccio dell’Amante che raccoglie l’Amata tra le braccia calde.
Ora non c’è più bisogno di dire nulla, sai tutto di me. Posso solo mormorare: Grazie.
E stringermi più forte a Te, in un unico respiro, in un unico battito del cuore.
Vorrei stare qui, non spostarmi più: dove mai sto così bene? Dove mi sento così completa?
Io sono con te, non temere. Ricordalo sempre.
Chi parla?
Cara Brunella,
attraverso il tuo esercizio possiamo vedere il rapporto tra stati dell’io e linguaggio.
Parole pungenti, urlate da una voce graffiante, perentoria che fa da padrona nascono dallo stato di prigionia in cui siamo ordinariamente; è il linguaggio dell’io dimentico di sé, in preda a turbini di pensieri confusi che derivano dalla storia personale e collettiva.
Decidere l’evasione ci sposta nello stato dell’io in conversione che inizia ad osservare e riconoscere i pensieri e le emozioni distruttive che ci abitano; l’io in conversione parla il linguaggio della confessione che non è solo sacramentale, è un linguaggio che possiamo esercitare attraverso una consapevolezza più profonda di noi stessi.
La discesa nell’abisso della coscienza sempre più placata, pacificata, liquidata ci apre alla relazione con lo spirito divino, prende corpo in noi il linguaggio orante, il linguaggio consapevole di essere relazione; l’io in relazione chiede aiuto sul serio al mistero della vita perché sta morendo e sta sperimentando la propria impotenza assoluta.
E dentro la relazione, nell’uomo divino-umano, chi parla?
L’io in Cristo parla la lingua di Dio, parla la parola di Dio e la parla adesso.
Il linguaggio umano è mistero divino, non esistono parole autonome. Più entriamo nella comprensione dello spirito delle parole, più scopriamo che il luogo da abitare è la fede eloquente, come scrive Marco nella poesia “Abitabilità” (Nella mia storia Dio, pag.21)
E’ questo il luogo che vogliamo abitare per reimparare a parlare.
Grazie per la tua condivisione, spero di incontrarci a Sacrofano.
Un abbraccio, Giuliana
Si, vengo e quindi ci vediamo di certo.
Grazie, le tue spiegazioni consolidano meglio i passaggi fatti, in una chiarezza consapevole ( per quanto possibile) di quel che accade in noi, nei vari stati.
Abbraccio
Grazie Brunella per aver condiviso con grande semplicità parole così belle e profonde…colgo una autenticità che mi corrisponde.?
Bruna…scusami
E’ bello leggere una così attenta e chiara lettura della propria condizione e della sua evoluzione. Come maschio non posso che invidiare con simpatia questo tratto femminile di comprensione di noi stessi, in cui esercitiamo la nostra intelligenza insieme all’umiltà del chiedere aiuto cosicchè ci sentiamo figli e quindi fratelli. Grazie
Sara, Bruna o Brunella, come preferisci:
il primo è nome di battesimo e il secondo quello che mi è stato dato fin da bambina. È bello, trovare corrispondenze, soprattutto nelle profonditá! Grazie.
Ciao Giancarlo!
Sai che a fatica sto sviluppando i miei tratti femminili? Ho vissuto molto, con i pantaloni! E tutt’ora lo faccio. Ma, le due nature si cercano, fuori come dentro di noi, per coniugarsi!
E questo lavoro di DP favorisce molto
l’ incontro, come di certo stai sperimentando anche tu! Grazie
Cara Brunella,
desidero ringraziarti, perché le tue parole mi parlano e risuonano, mi fanno capire meglio di tanti discorsi, l’importanza e la necessità di questo “lavoro” che non decidiamo noi di intraprendere, così per sfizio intellettuale diciamo, ma al quale probabilmente, siamo chiamati, anche ed esattamente in forza di quanto abbiamo patito, nella nostra vita.
Prima di leggere il tuo post stavo leggendo un libro della monaca buddista Pedra Chodron, e sono rimasto colpito da quanto questi nostri esercizi incorporino quasi “naturalmente” la sapienza orientale, l’ascolto veramente ampio e non giudicante (a cui noi occidentali purtroppo siamo poco abituati), l’attitudine alla osservazione di sé condotta in modo compassionevole. Passando in pochi minuti dal libro al tuo intervento infatti ho registrato una particolare assonanza, quel qualcosa che mi fa dire “ecco qui c’è qualcosa per me, qualcosa che non perpetua indefinitamente i miei meccanismi (auto)giudicanti ma mi propone una strada, paziente, per imparare a guarire”.
Il tuo scritto mi pare introspettivo e poetico. E confortante.
Mi conforta molto sapere che c’è un lavoro, per la nostra ferita.
C’è chi ha già vissuto il travaglio, come sappiamo, in grande profondità, e ci ha indicato una strada.
E se siamo qui insieme, è per questo.
Grazie a lui, a te e a voi tutti.
Grazie, Marco, per la tua risonanza!
Scusa il ritardo per risponderti, ma non apro il post da molti giorni.
Non conosco la monaca citata, ma di certo il lavoro che impariamo a DP ci porta nel flusso dello Spirito, e qui, sono superate quelle barriere e confini che noi, molto diligentemente, costruiamo ovunque!
Sí, il lavoro si nutre di pazienza, attenzione, calma e tempo!
Davvero, se con lealtá e amorevole distacco ci osserviamo, possiamo sperimentare sempre piú la cura e guarigione delle nostre ferite.
E imparare ad essere noi stessi.
Buon lavoro. Ti abbraccio