Come prima cosa vorrei iniziare questo articolo accennando molto brevemente alla sua genesi. Il tema mi è stato proposto da un amico e devo ammettere che lì per lì mi ha lasciato un po’ spiazzata, non essendo un argomento di cui mi occupo o di cui scrivo abitualmente. Ho comunque deciso di accogliere l’idea, fidandomi anche dell’intuizione di chi ha pensato fosse adatto per me.
Per articolare il discorso prenderò come spunto una delle domande sulle quali sono stata invitata a riflettere. Una domanda intelligente, infatti, è sempre un ottimo punto di partenza. Dunque la prima questione che mi è stata posta è la seguente: c’è ancora un blocco (inconscio?) nel femminile rispetto al politico?
Per rispondere a questa domanda mi sono innanzitutto chiesta se davvero le cose stessero in questa maniera, e cioè se le donne rispetto agli uomini dimostrassero effettivamente un minor coinvolgimento e un minor interesse per la politica. Facendo leva sulla mia piccola esperienza, ho pensato istintivamente che in effetti noto un coinvolgimento molto più netto da parte dei miei amici maschi. Tuttavia, non fidandomi del tutto della prospettiva offerta dal mero campione delle mie conoscenze personali, sono andata a recuperare i risultati di una ricerca abbastanza recente. La fonte è l’European Social Survey e l’anno è il 2018.
Le ricerche sembrano dunque dare ragione a quello che la semplice osservazione mi aveva suggerito. Tra i “molto interessati” i maschi si collocano al 7,4% e le femmine al 3,6% e via così, fino ai “non interessati”, dove i maschi si collocano circa al 25% e le femmine circa al 38 %. La differenza sembra dunque abbastanza evidente, fatta eccezione per gli “hardly interested”, vale a dire i “scarsamente interessati”, dove le percentuali sono quasi le stesse. Considerato quanto detto, ora il passo da compiere è quello di provare a scendere un po’ più in profondità e di tentare di indagarne i motivi.
Proverò qui solo ad abbozzare delle semplici riflessioni, senza ovviamente nessuna pretesa di esaustività, o tanto meno di oggettività. Io credo che il problema, se lo vogliamo chiamare così, non stia tanto nel “cosa” quanto nel “come”. Provo a spiegarmi meglio. Parto dall’assunto che è impossibile che le donne non siano coinvolte dalla politica, perché, come spesso si dice, più interessate alle cose concrete, al vissuto, al quotidiano, mentre gli uomini, secondo questa visione, dovrebbero essere più inclini all’astrazione intellettuale. La politica infatti è onnicomprensiva, riguarda tutto, o forse, per meglio dire: tutto è politica e tutto è politico. La politica è la dimensione dialettica entro la quale si cala ogni singolo aspetto legato all’esistenza umana. È il luogo della discussione per eccellenza dove, a partire dalle questioni più delicate, come ad esempio possono essere quelle legate all’etica o alla bioetica, fino ad arrivare a quelle più pratiche, si definiscono insieme, collettivamente, proprio grazie alla discussione pubblica, quali siano i principi orientativi sulla base dei quali allineare poi ogni sfera d’azione. Perfino la nostra vita spirituale è azione politica, quando essa diventa il motore per agire nel mondo. Davvero nulla, quindi, può esimersi dal farne parte.
Come accennavo, penso quindi che la questione riguardi più il “modo”, il quale ricalca ancora una modalità di approccio tipicamente maschile, anzi maschile egoica, per essere più precisi. E cioè un tipo di espressione del principio maschile distorto, non purificato dai suoi elementi distruttivi. Siamo in un periodo storico di grande fermento ed è evidente che ci stiamo preparando ad una “svolta antropologia”, come spesso diciamo, dove il maschile e il femminile dovranno necessariamente coniugarsi differentemente, essendo ormai i precedenti modelli di riferimento in rotta di collisione. Purtroppo, però, noto che oggi l’atteggiamento ricorrente sia quello piuttosto della pretesa assoluta di neutralità, e questo si osserva anche da come stiamo cambiando l’uso linguistico. Questo atteggiamento in fondo non gioca assolutamente a favore del femminile, ma tende al contrario a negare un principio di diversità, volgendo piuttosto all’appiattimento delle differenze, più che alla loro valorizzazione. Si tratta, a mio parere, ancora di nuovo di una vittoria del modello maschile, che invece di tentare una coniugazione con l’altro da sé, tende piuttosto al suo assorbimento e alla sua omologazione. Quello che sto affermando non è assolutamente una novità, sono decenni e decenni ormai che molte esponenti di una certa parte del movimento femminista rivendicano questa cultura della diversità. Vorrei, a questo proposito, riportare un piccolo passo di Adriana Zarri, che già circa venti anni fa nel saggio “Una teologia della vita”, ci testimonia questa attenzione per la rivendicazione del riconoscimento della diversità femminile rispetto al maschile, piuttosto che ribadire una semplice eguaglianza, che ne è al fondo il presupposto. Scrive la Zarri: “Infatti, dopo una lunga stagione in cui la donna pigiava il tasto dell’eguaglianza, copiosamente violata a suo danno da una cultura virilista, è subentrato il tempo in cui i movimenti femminili e femministi insistono sulla diversità. […] al di là delle preferenze lessicali, oggi si è assai più interessate a sottolineare la diversità, a fermarsi su quanto connota la donna in quanto donna: sulla «differenza» appunto, quale che sia il nome che le vogliamo attribuire. Ciò implica ritenere ormai acquisita l’eguaglianza, intesa come parità, almeno acquisita in via teorica, sebbene non del tutto applicata nella prassi. […] come si salva la diversità dal rischio dell’appiattimento? A mio avviso si salva non più facendo, come un tempo, cose diverse, ma facendo diversamente le stesse cose, portando una nota specifica, maschile o femminile, nelle mansioni ormai comuni.” La studiosa continua poi il suo discorso portando ad esempio proprio la dimensione politica: “E come controprova si può addurre il fatto che, quando una donna agisce con stile e mentalità maschili (e l’esempio si può evidentemente ribaltare sull’uomo), si denuncia questo suo appiattimento. Si rileva anche l’inutilità del suo operare, in ordine a un apporto specifico di una cultura nuova e diversa. Per esempio, della Thatcher si diceva che era un uomo vestito da donna, perché la sua politica non si differenziava affatto dalla politica che avrebbe fatto un maschio al suo posto. E, da ciò, si deduce anche che a nulla vale una presenza biologicamente femminile se essa non sia anche culturalmente femminile”.
Purtroppo, come accennavo poc’anzi, mi sembra piuttosto che il dibattito più recente stia definitivamente accantonando queste preziose intuizioni, insistendo piuttosto su una pretesa di annullamento delle differenze.
Passo ora ad approfondire meglio la seconda domanda che mi è stata posta, vale a dire: qual è il tuo rapporto con la dimensione politica? Ti senti istintivamente respinta? E perché? In effetti, se mi metto in ascolto, istintivamente avverto questo senso di respingimento. Ciò che avverto come estraneo è spesso il linguaggio in sé, le forme e le modalità in cui esso viene espresso, che percepisco in molti casi come dominanti, aggressive e soprattutto molto distanti dal tentativo di integrare tutti gli aspetti della dimensione umana, i quali, proprio per le ragioni che spiegavo all’inizio, non possono essere separati dalla politica. Mi riferisco qui specificamente alla dimensione del corpo e dello spirito, inteso come la dimensione interiore e più intima dell’essere umano. Prima di affrontare qualsiasi discorso generalmente inteso nell’accezione comune come prettamente “politico”, non sarebbe forse molto più vero, più vicino all’esistenza, alla dimensione della vita, parlare della condizione della nostra psiche, di come stiamo, di come ci sentiamo? Non ci sentiremmo forse davvero tutti più toccati nel profondo e in quindi in definitiva maggiormente considerati, rispettati, trattati davvero come esseri umani? Ormai istintivamente quasi tutti, chi in maniera più consapevole, chi magari in maniera più inconscia, percepisce inoltre il profondo distacco da ciò che ci viene detto e l’incarnazione di questo contenuto nella persona che lo esprime. Penso sia questo a respingere di più, e ciò sicuramente accade trasversalmente, sia negli uomini che nelle donne.
In Darsi Pace tentiamo questo approccio. Come spesso si dice nei nostri gruppi, la politica dei prossimi secoli, alla quale già oggi stiamo tentando di dare il nostro contributo, può radicarsi solo nella profondità della persona. E se questo riguarda ovviamente tutti, penso che il contributo di una cultura femminile, per riprendere le parole della Zarri, possa cooperare a sviluppare questo approccio maggiormente integrato, recuperando quella dimensione dell’ascolto e dell’accoglienza, dell’attenzione ai propri movimenti interiori, della profondità – non solo intellettuale – ma soprattutto psichica ed emotiva, che si nutre di intuizione profonda, di una comprensione molto più radicale, perché più vicina alla vita. E questo riguarda anche le modalità del linguaggio, che dovendo integrare questi aspetti, dovrà modularsi necessariamente in maniera differente. Il lavoro interiore dovrà essere necessariamente portato nella dimensione politica, perché ne è la parte essenziale, è la parte che ne anima il cuore. E per questo passaggio così importante penso che l’integrazione del femminile, della cultura del femminile, e non solo quindi della sua effettiva presenza biologica, sia di fondamentale importanza per rianimare e riaccendere un’azione di trasformazione del mondo davvero inedita.
Grazissime Maila per questo post che riporta le domande intelligenti che lo hanno generato.
Le trovo stimolanti per ogni persona interessata a superare l’istintivo disinteresse nei confronti della penosa dimensione politica. Ancora di più grazie per aver iniziato a rispondere con le tue riflessioni necessariamente sintetiche e non esaustive.
Rilanciano l’ urgenza della nuova visione femminile politica incarnata da grandi donne mistiche e rivoluzionarie, illeterate o colte che a partire da Maria Santissima hanno rovesciato i falsi potenti dal trono della Paura per fare una Santa Alleanza nutrita da una com-prensione molto radicale e profonda delle dinamiche della Vita che ci spingono a Darci Pace.
Ho apprezzato le tue citazioni di Adriana Zarri, teologa trinitaria : eremita, giornalista e scrittrice laica… unita a filo rosso ad altre quattro donne eretiche e visionarie, riconosciute maestre della Chiesa molto tardi ( Ildegarda di Bingen, Caterina da Siena, Teresa d’Avila, Teresa di Lisieux…)
Certo il rovesciamento dei potenti dai troni cantato nel Magnificat, iniziato da lontano e inarrestabile, è sempre arduo e lungo ma anche nutrito dalla femminile poetica certezza che “camminando s’apre cammino…” generativo.
“Lo spirituale è politico”.
Se da poco si era arrivati a capire che “il personale è politico”, adesso più in profondità comprendiamo che
“lo spirituale è politico”.
Ma “Il femminile è scarsamente politico?”
L’approccio sembra essere di un senso di limitatezza del femminile, e di conseguente senso di colpa, per il reale minore interesse delle donne verso la politica.
Ma non potrebbe essere giusto l’approccio delle donne alla politica?
Non potrebbe essere la politica rozza e spesso brutale a provocare una giusta reazione di rifiuto da parte delle donne?
Il dono di una sensibilità e di una spiritualità spiccate nel femminile, è una diversità dal maschile buona e benedetta.
Ed è per questo che la cultura del “gender” che vuole cancellare le diversità è il peggior nemico del femminile.
Quando le ragazze e i ragazzi de “L’Indispensabile” ci dicono che è ora che la politica parta dai nostri problemi essenziali e consideri l’interiorità dell’essere umano, non fanno una proposta costruttiva e avanzata verso un nuovo profilo antropologico?
Che va nella direzione dell’Insurrezione della Nuova umanità?
E le istanze del femminile non vanno esattamente in questa direzione?
grazie, Maila.
E chi sarà mai l’amico che ti ha posto
queste domande così intelligenti?
Grazie Maila, bell’articolo, credo che possa
essere un seme importante per una riflessione
di ampio respiro
e capace di illuminare e andare nella direzione
di una guarigione di questa scissione secolare.
Un caro abbraccio,
Francesco
Cara Maila,
Ancora una volta hai scritto una riflessione profonda, ricca e piacevolissima da leggere. Grazie!
Io credo che le donne già facciano indirettamente tanta politica, ma non in ruoli di potere “formale”, spesso in realtà più vicine alla vita reale, come per esempio nel volontariato o nelle associazioni.
Finché il potere “formale” esigerà dei prezzi così alti in termini di scissione interiore e di rappresentazione esterna credo che per molte donne semplicemente risulti una perdita di tempo. Almeno questa è la mia impressione.
Ma la speranza è che le cose possano cambiare, e le tue parole ne indicano con lucidità la direzione.
Un abbraccio!
Antonietta
Grazie cari amici per i vostri commenti,
Cara Giuseppina, mi fa piacere che conosci Adriana Zarri. Per me è stata una scoperta piuttosto recente che sperò potrò ulteriormente approfondire. Tutte le grandi donne che citi erano sostenute e nutrite da una fortissima spiritualità e come dici bene, Maria ne è certamente la figura archetipo, le cui qualità, differenti da quelle cristiche, non ancora sufficientemente comprese fino in fondo.
Caro Giancarlo,
Sì, come dici penso che le istanze del femminile siano davvero preziose per contribuire a una nuova visione politica. come avevo scritto già in alcuni precedenti articoli, penso che la chiave sia nell’equilibrare e dare spazio a entrambi i principi nella stessa misura. Non condivido affatto ad esempio l’opinione che una gestione completamente femminile delle cose sarebbe migliore, soprattutto se, come cito nell’articolo, il modello applicato sia ancora quello maschile egoico. Come dice bene la Zarri, a fare la differenza non è tanto una maggior presenza biologica del femminile, quanto una cultura del femminile, il fare le stesse cose diversamente. Questa diversità e differente approccio alle cose penso possano davvero contribuire a una maggiore ricchezza a beneficio di tutti.
Caro Francesco,
penso tu lo conosca bene :-).
Grazie perché alla fine si è creata davvero una bella occasione per inaugurare una riflessione su un tema davvero importante.
Grazie a te cara Antonietta per leggere sempre con interesse i miei articoli.
Credo che questo atteggiamento del “potere formale” stia davvero presentando in maniera sempre più evidente le sue criticità, ed è una cosa credo avvertita abbastanza trasversalmente. Sicuramente il lavoro interiore dovrò essere portato al centro della dimensione politica, e in questo credo che le qualità del femminile possano davvero contribuire moltissimo.
Un caro saluto a tutti
E adesso?
Il popolo dei lettori, adeguatamente stimolato ed incuriosito sul misterioso suggeritore, dovrebbe osservare i simpatici accenni, gli ammiccamenti e i rimpalli, e restare lì, un pò ebetino?
Dobbiamo assoldare la Gabanelli a Report o a Dataroom per scovare il personaggio?
Mi arrendo solo se mi tirate il colpo mancino di dirmi che la curiosità sta nell’area dell’io egoico.
Baci, GianCarlo
Grazie Maila per le tue riflessioni, che toccano ad un livello profondo la questione. Quanto abbiamo bisogno di una cultura autenticamente femminile per sanare un maschile distruttivo, che continua a perpetrare il suo dominio politico e culturale, anche laddove la ‘presenza femminile’ sembrerebbe suggerire un cambio d’epoca.
Lavoriamo per affermare questa nuova visione, ed uscire da una cultura che si limita a questioni di facciata, incapace di scalfire le proprie rigidità millenarie. Viene spontaneo pensare anche all’ambito lavorativo, dove – soprattutto in certi settori – diversi tratti del principio femminile sembrano non trovare accoglienza.
Il percorso è lungo, ma già collocare il dibattito a questo livello sarebbe davvero l’inizio di una rivoluzione.
Un caro saluto!
Filippo