Se ci penso, mi sorprende quanto in fretta sia cambiato tutto. Funziona così, ti abitui ad un certo clima e pensi che sia immutabile, che sia il modo di vedere il mondo. I buddisti parlano di impermanenza mettendoci dunque in guardia: ma non ci siamo molto abituati, noi occidentali.
Sono cresciuto convivendo con la viva speranza (ed il progetto spesso impaziente) di cambiare il mondo. Ricordo bene, in questo senso, i miei tempi del liceo (siamo a cavallo tra i settanta e gli ottanta). Il mondo nuovo sembrava fosse veramente all’uscio, che stesse ormai premendo per entrare. Finalmente tutto cambia. Poco conta alla fine che mi sentissi “di sinistra” o meno, che guardassi alla sedicente rivoluzione proletaria con un senso di ammirazione o invece con paura. Perché in quel clima, in quell’aria che parlava di cambiamento imminente, c’eravamo dentro tutti. Destra o sinistra, dunque, io c’ero. Le cose si vedevano in un certo modo, si mangiava, si dormiva, si amava in un certo modo. C’era questa rivoluzione da fare: comunque le cose sarebbero cambiate. Presto.
C’era questa rivoluzione che – in un modo o nell’altro – comunque si sarebbe fatta. Tra poco il vecchio mondo lo spazzeremo via come canta Eugenio Finardi in Zerbo (una canzone che riassume magistralmente la parabola involutiva che ne è poi seguita). Tutto ne parlava. I giornali, le canzoni. Perfino i libri di scuola. Era davvero nell’aria. C’era questo senso sospeso di cambiamento imminente. Sempre Finardi, parlava di questa musica ribelle già in un 1976 peraltro ormai pericolosamente vicino agli anni ottanta. Ma certo, di canzoni a tema ce ne sarebbero tante.
Anche a me ragazzo, sembrava davvero che il mondo lo avremmo potuto modificare profondamente. Finalmente. Questo mondo che ereditiamo dai genitori è pieno di storture, di cose vecchie. Va cambiato, e sta per succedere. A volte il senso percepito di imminenza si faceva fortissimo. Si capiva: questione ormai di mesi, o forse addirittura di giorni. Vi era davvero qualcosa nell’aria, prima dei discorsi, delle opinioni, dei punti di vista. Brillava un’evidenza in ogni prospettiva, in ogni frazione anche minima di ogni esperienza. Presto sarà tutto diverso, migliore, nuovo. Ogni cosa lo diceva intorno a me. Si viveva come sulla soglia di un grande evento salvifico, che avrebbe finalmente sistemato tutto. E con una grande insofferenza per il vecchio, di cui si erano ormai analizzate al microscopio tutte le drammatiche impurezze, le tragiche inadeguatezze. Questo era il clima, chi l’ha vissuto si ricorda. Come Luigi, protagonista della Miss America di Ivano Fossati, avevamo la rivoluzione nel cuore.
Carrellata avanti, fino al presente. Mi trovo all’interno di un centro commerciale. Sto scegliendo un cappotto, e qualche altra cosa. Ad un certo punto afferro alcune parole della canzone che diffondono gli altoparlanti del negozio, staserai vieni da me, dài che mangiamo insieme, poi giochiamo alla Wii… Non ricordo con esattezza, certamente qualcosa di questo tenore. Ho avuto come una piccola epifania: mi sono ridestato dalla usuale distrazione, improvvisamente. Ho toccato con mano come tutto fosse cambiato. Ma in direzione totalmente diversa da come sperava. Ha ragione quel cantante, le sue parole suonano oggi come un manifesto. Non programmato, non formalizzato, ma semplicemente attuato.
Vivere meno peggio possibile, scavarsi una nicchia nel sistema, una cuccia calda, in modo di stare ragionevolmente a proprio agio. Oggi è questa l’idea. Quasi nessuno – giovane o meno – investe energie nell’ideare e promuovere un assetto nuovo del mondo. C’è un grande adattamento, invece. Questa rinuncia soffice non si manifesta come proposito teorizzato in questo o quel documento programmatico, o come elaborazione di qualche intellettuale (scaltrito collaborazionista), affatto: è semplicemente nell’aria e la respiriamo tutti, esattamente come prima era nell’aria l’idea frizzante della rivoluzione. La natura aborre il vuoto, mi insegnano. Dunque, c’è stata appena una sostituzione, un cambio di accento.
Non sto giudicando. Ci sono mille ragioni, se ciò è avvenuto. Perché in fondo tutto quel cantare di gioia e di rivoluzione (sempre Finardi, Sulla Strada) non ha aperto affatto la strada luminosa e bella che si sperava. Sono arrivati invece infiniti compromessi, decadenze dell’ideale, storture a fini personali. Questo mondo nuovo – che stava sempre per manifestarsi e non si manifestava mai – ha portato solo una intollerabile puzza di marcio, ha svelato impietosamente le contraddizioni laceranti di quanti (attivisti politici, registi, critici, giornalisti, intellettuali ed opinionisti di varia profondità) di questa rivoluzione annunciata avevano perfino fatto un mestiere. Quando invece l’ideale non è stato – assai più drammaticamente – contraddetto dal sangue versato, sangue innocente per lo più. Come fu per la Rivoluzione Francese, come è accaduto ed ancora accade per ogni rivoluzione di questo vecchio tipo (gli esempi non mancano purtroppo). Tanto luminosa all’apparenza – un involucro patinato ed invitante – tanto violenta e unidirezionale e tirannica nella sostanza. Ed invariabilmente, tutti i professionisti della rivoluzione, eccoli subito a fare a gara per non vederlo, questo sangue. Giocando a chi sia il più anarchico del reame (qui Roberto Vecchioni, Le belle compagnie). L’uomo è un animale mutevole, e come si innestano bene i vecchi vizi nell’idea del nuovo, se non è fecondata da qualcosa di ben più profondo di un generico velleitarismo.
Pertanto, se un ragazzo di oggi pensa soprattutto a trovarsi un lavoro dignitoso e sistemarsi meglio che si può, non alza il pugno ai collettivi e si orienta semmai a mettere qualche soldo da parte per l’acquisto della PlayStation, non mi sento di biasimarlo. Anche perché spesse volte – mi accorgo – è una persona migliore di me, più capace di empatia, di apertura all’altro, di carità.
Il fatto è che un certo modello di rivoluzione è ormai morto e sepolto. Non è davvero più credibile. Spento nell’indifferenza, nei rancori, nel sangue (appunto). Perso nei calci ad un pollo surgelato dice Finardi, sempre in Zerbo.
Ma allora? Ti hanno costruito intorno un sistema così plastico, avvolgente, impalpabile che non lo riesci a fronteggiare, ma poi così presente che ti avvolge in modo completo, determina il punto di valore dei tuoi pensieri, ti induce ad essere in un certo modo. Ad avere certe priorità. Ad essere pedina in un sistema tecnocommerciale sofisticatissimo, dal quale è difficile venire fuori.
Anche perché una comodità stagnante di questo tipo, non risulta sempre facile da abbandonare.
E poi, dai, è tanto comodo
Esser cinici e delusi
Per non farsi coinvolgere mai
Ed agli altri essere chiusi
Esatto, sempre Finardi. La paura del domani.
Buttar via allora ogni speranza di cambiamento? Forse. Se non fosse per quel disagio, quel fastidio dentro la carne. Che instancabile mi avverte che io non sono fatto per questo, che questo non mi compie, non mi soddisfa. Certo, un po’ mi addormenta, anestetizza lo spunto per cambiare, attutisce il desiderio, lo devia su qualche cosa di commerciale, di acquistabile, di smerciabile. In generale, mi vorrebbe indurre a pensare a tutto come merce. Perfino l’amore, l’affetto. D’altronde, quello che non è assimilabile a merce non ha dignità di esistenza, viene progressivamente svuotato di senso. Adàttati a consumare, ma che altro vuoi fare in fondo? Ancora credi agli ideali?
Czeslaw Milosz, premio Nobel per la letteratura nel 1980, ha sintetizzato tutto questo in modo mirabile,
Si è riusciti a far capire all’uomo che se vive è solo per grazia dei potenti. Pensi dunque a bere il caffè e a dare la caccia alle farfalle. Chi ama la res publica avrà la mano mozzata
Ma io non mi posso accontentare così, non ci riesco. Aspetto ancora il giorno in cui potrò dire oggi ho imparato a volare (sì, ancora Finardi, esatto).
Che fare, dunque? Io credo, prima di tutto: rifiutare questa sensazione ipnotica di isolamento, questo senso che sei da solo a soffrire questa situazione e non c’è niente da fare, in fondo è questo, there is no alternative. Rifiutare di spegnersi quietamente nel senso di immutabilità delle cose è una reazione reale, prima ancora che organizzare una qualche strategia.
Che non può in ogni caso essere una banale protesta contro questo o quel governo, questo o quel provvedimento (magari sanitario, in questi tempi), questo o quell’esponente politico. No, è in ballo qualcosa di molto più generale, molto più profondo. Che sicuramente coinvolge la politica ma non si esaurisce certo entro l’ambito politico.
Scrive Marco Guzzi, in un post recente
Io sono convinto che la crisi culturale e politica in cui stiamo affondando, e da decenni in verità, derivi in massima parte dal tracollo dell’ispirazione messianica sia in ambito democratico-cristiano, che in ambito laico: la secolarizzazione non ci ha portati, come sperava Gramsci, verso l’orizzonte rivoluzionario, ma solo verso il nichilismo mercantilistico, come previde invece Augusto Del Noce, e verso forme sempre più drammatiche di democrazie fittizie, senz’anima, e pilotate dai potentati finanziari.
A questo punto è necessario scommettere, i casi sono due. O non esiste rivoluzione possibile, vera, benefica, che mantiene quanto promette (questo ci direbbe una certa lettura della storia). Oppure il vero modo di fare la rivoluzione è in realtà ancora in gestazione, ancora non è stato debitamente compiuto. L’universo ancora lo attende. E tutti i fallimenti storici non hanno fatto altro che renderlo più urgente.
Sempre Guzzi scrive,
Il Ricominciamento d’altronde deve partire proprio da questo fondo, dal Fondo di tutti i fallimenti, e, come tentiamo di argomentare da tempo, dovrà animarsi alle sorgenti sempre vive dello Spirito del Cristo Vivente, Rivoluzione permanente di questo mondo, e cioè da esperienze spirituali autentiche e rinnovate, e di conseguenza anche da inedite forme di lotta politica democratica, ispirata ancora una volta, e però molto più consapevolmente, dalla potenza del Regno che viene.
Se è vero che c’è una Rivoluzione da compiere, è anche vero che ogni illusione di cambiare l’esterno senza lavorare sull’interno di noi – sulla ferita che tutti ci portiamo dentro e chiede di essere guardata, amata, protetta e curata – ebbene ogni illusione di questo tipo è completamente morta. E fa bene allora chi ne prende le distanze.
Un Uomo ha portato la vera Rivoluzione, ancora e sempre tutta da compiere? Ha innestato un seme che finalmente possiamo far crescere, fiorire, nel tempo? Avesse ragione forse quella canzone di tanti anni fa
Dopo duemila anni voi
Non sapete ancora
Cosa ha fatto Lui
Stavolta non Finardi, ma Adriano Celentano, Chi era Lui (la ricordo sul retro del 45 giri con Il ragazzo della Via Gluk, ma questa sarebbe un’altra storia). Sarà mica questo?
Sarà che tocca ricominciare con pazienza da sé stessi, dalla terra, dalla umile coltivazione dei semi buoni, dalla rinuncia ad ogni tensione facile al cambiamento violento e contemporaneamente alla rinuncia appassionata ad ogni intorpidimento nel sistema attuale. Sarà mica che tutte le rivoluzioni che abbiamo attraversato e anche sofferto, sono appena controfigurazioni di quella vera, unica Rivoluzione che sempre ci attende?
Se c’è un modello migliore, uno schema interpretativo più vero, ebbene non perdiamo altro tempo: facciamoci avanti, proponiamolo. Lottiamo per questo. Non si tratta di fare proselitismo ma di lasciarsi coinvolgere in una ricerca appassionata, per un universo più accogliente. Comunque sia, non possiamo smettere di cercare cosa ci faccia star bene, cosa soddisfi davvero questa sete di cambiamento. Le strade per cambiare che sono state intraprese saranno pure state sbagliate, smentite dalla storia. Tutto quel che volete. Ma la sete di cambiamento, questa sete purissima, c’era nei giovani degli anni settanta e c’è ora, è viva e palpitante, adesso.
Ancora Guzzi,
Credenti e non credenti e altrimenti credenti possono tornare a dialogare, in termini del tutto laici, a partire da un’analisi più approfondita di ciò che la nostra storia ci offre come occasione, provocazione, e promessa.
Guzzi conclude il suo post con Questa è l’opera cui abbiamo dedicato la nostra vita.
E dunque. Noi, post rivoluzionari delusi, cinici incalliti, mortificati e umiliati, schiavi di un sistema commerciale onnipresente e scaltrissimo, sballottati tra mille consigli per gli acquisti ed altrettanti problemi di relazione, di realizzazione, persi nel nostro personale gigantesco bisogno d’amore e di accoglienza – noi, però, ancora vivi: noi, a cosa la vogliamo dedicare?
Grazie Marco, bellissima riflessione, mi ci trovo molto.
Mi toccherà ora ascoltarmi un po’ di canzoni di Finardi ?
Grazie Marco!
Grazie!
Marco Castellani hai fatto un’ ottima sintesi a cui aderire serenamente e liberamente oppure rifiutarla. Ma ti capisco che rifiutarla sarebbe una pazzia. Pazzia alimentata dall’ ignoranza di quello che produce una insoddisfazione interiore che non si può non sentire, almeno che abbiamo scelto di avere a scapito dell’ essere. Noi siamo vivi e tale condizione basta e avanza per procedere con Speranza nel cammino che non è immediato,ma sicuro dovesse arrivare a concludersi anche fra mille anni a beneficio delle generazioni future, nostro fine di sicura gioia e felicità, lasciando le apparenze a chi vuole scientemente ignorate tale possibilità.
Grazie caro Marco, dell’invito a non spegnere la fiammella e a custodire quel fuoco che è stato già acceso sulla terra!
Grazie Marco.
Cara Paola, carissimi tutti. Grazie per i vostri commenti, mi confortano e mi confermano in un sentire comune che è parte fondamentale del cammino.
Può sembrare qui ovvio ma mi piace dirlo, devo al concetto di rivoluzione di Marco Guzzi (che a sua volta legge profondamente il senso della “rivoluzione cristiana” esprimendolo efficacemente nel linguaggio moderno) se questo lungo post non si arena nel rimpianto di una rivoluzione mancata, come accade a tanti scritti – e tante canzoni! – ma sfiora una possibilità positiva perpetua. Dalla quale, appunto, ripartire ogni giorno.
Un abbraccio!
Grazie Marco per questo tuo post, molto bello anche esteticamente, oltre che molto puntuale ed accurato. Lo inoltro alle mie figlie che, ora, hanno l’età che avevo io in quegli anni, e che di quando in quando mi chiedono conto dell'”aria” che noi si respirava allora… . Mi trovo molto d’accordo anche riguardo a questo tuo ultimo commento e alla lettura “profetica” di questi 40-50 anni fatta da Marco Guzzi.
Grazie Marco, belle riflessioni.
Mi pare che l’uso delle tecnologie comunicative abbia in qualche modo come globalizzato le umane attuali discronie, lasciando però delle lacune non colmabili ,se non con (spesso impossibile)gradualità.
Allo stesso tempo parliamo di anelito planetario, ma mi riesce spesso difficile vederlo anche vicino a me, figuriamoci in un aborigeno, un indio,mafiosi, politici, ecc.
Inoltre chi nasce usando l’euro non riesce ad immaginare manco il cambiamento che c’è stato in tante vite abbandonando la lira, eppure sono solo venti anni, ma la velocità e gli eccessi di stimoli di questo terzo millennio sembrano spingerci a vivere in modi sempre più piatti e allo stesso tempo individuali/isolati, senza scandalizzarci dell’abbassamento dei livelli di umanità, giustizia e protezione sociale.
Fra i vecchi gloriosi cantautori (a volte anche “neniosi”)e certi attuali audaci e cinici rappers non riesco a rintracciare un’evoluzione, ma solo una specie di restringimento di splendore ed apertura umana.
Come certe regie teatrali che semplicemente stravolgono e rovinano patrimoni del passato, per dar voce ai propri personali disturbi,senza creare arte,anzi sminuendo quella già esistente.
Personalmente mi auguro di far parte di una rete e non di una nicchia, una rete che non imprigiona, ma che ci contiene impedendoci cadute irreversibili.
Ho speranza che procedendo gli anni dalla “fruttifera incarnazione del Figliolo di Dio” (come dice il Boccaccio)si riesca a procedere sempre più in percorsi cristici ed umanamente evolutivi.
Noi vecchi sessantottini abbiamo l’opportunità di rileggere anche personalmente la parabola dell’ultimo mezzo secolo di sogni e delusioni per un mondo migliore, per un progetto politico di salvezza dell’umanità: abbiamo un compito doloroso ma ri-creativo.
Ci vuole coraggio a guardarsi dentro senza impiccarsi alle ideologie novecentesche fuorvianti e senza ripiegarsi nella rassegnazione.
Tu sei tra quanti ce l’hanno, e sono pochi perfino dentro al nostro percorso iniziatico, ed io ho comprensione per la paura insormontabile che attanaglia molti nel mettersi in discussione e nel rischiare convinzioni profonde e vecchie.
Il nome che hai dato al post, caro Marco, racchiude tutta la potenza di “nel cuore” che è la sede vera della ispirazione incarnata ed allude a “del cuore” che è la sede in cui l’anelito rivoluzionario doveva radicarsi sempre invece di ribaltarsi tutto all’esterno.
Nella mia esperienza politica personale, dai movimenti extraparlamentari alle istituzioni legislative, ho sempre dato la priorità alla ispirazione del “Chi era Lui” mettendo in subordine le illusoriamente più concrete e vicine scelte politiche.
Ho negli occhi il leggìo su cui stava il libro del Vangelo in un’aula della mia Università cattolica a Milano, che indicava la radice messianica del nostro cammino rivoluzionario, ed ho nel cuore lo spavento di quando un compagno, ad una delle infinite manifestazioni, mi consegnò un fascio di spranghe che, essendo io non-violento, deposi subito in un angolo nascosto.
Ho sempre vissuto la condizione contraddittoria del cristiano che deve essere rivoluzionario “in questo tempo”.
Quando insegnavo nel milanese una collega docente mi disse con rabbia e disprezzo che io ero un confuso, perchè restavo cristiano.
Il mio destino è sempre stato quello di essere rifiutato tanto dal potere politico che combattevo quanto dal potere dell’opposizione che andava in direzioni finali diverse dalle mie.
Una posizione scomodissima, ma che forse è quella propria di chi non vuole giocare alla gustosa guerra contro il “nemico esterno” ma cerca “l’opera cui dedicare la propria vita”.
E a me sembra che oggi quella prioritaria sia il dialogo tra diversi, credenti e non credenti, di destra e di sinistra, perchè ciascuno sappia vedere e correggere i propri errori ed apprezzare tutto il buono dell’altro.
La necessità di partire dal cuore vale per ogni persona indipendentemente dalla sua appartenenza religiosa e politica, e soprattutto dopo i disastri del secolo scorso e quelli dei nostri tempi di Covid, questa proposta deve essere rivolta tanto alla sinistra quanto alla destra perchè tutti ne hanno bisogno, e perchè per funzionare deve raggiungere tutte le parti.
Possiamo imparare la lezione che l’io bellico ci porta a concentrarci sulla politica contingente, rissosa ed autodistruttiva, e ci fa restare sostanzialmente alla superficie dei problemi: esattamente dove il potere del mondo vuole che stiamo.
Siamo nella confusione dell’abisso che contiene tutte le potenzialità creative, e la nostra è impotenza solo apparente ed è relativa ai vecchi schemi, mentre stiamo costruendo la potenza vera che non si fonda né sui fucili né sulle vittorie elettorali.
Non è importante quanti saranno in grado di capire e di scegliere liberamente di convertire il proprio cuore, ma a noi basta aver sperimentato che questo sia possibile per ogni persona che abbia fede e coraggio, oltre che capacità di gestire faticose contraddizioni.
I giovani praticanti de “L’Indispensabile” hanno la consapevolezza che l’interiorità dell’essere umano urla il suo bisogno di essere centrale in una politica nuova che non ripeta gli errori mortali di tutte le rivoluzioni del passato.
Non siamo alle conclusioni ma all’inizio di un cammino, lungo ma bello.
Grazie a tutti
Anche a me è piaciuto molto leggere questo post. Sono appena pochissimi anni più giovane di te, Marco, eppure quanto basta per non aver fatto l’esperienza di un tempo che frizzava di rivoluzione.
Condivido ovviamente ciò che hai scritto, dato che ci muoviamo dentro la stessa cornice.
Mi veniva una riflessione a lato rispetto all’intento dello scritto, ma proprio in questi giorni sto sperimentando in me un movimento che forse è il formarsi di un nuovo livello di consapevolezza nell’esperienza del mio modo di vedere le cose.
Tu scrivi: “Che non può in ogni caso essere una banale protesta contro questo o quel governo, questo o quel provvedimento (magari sanitario, in questi tempi), questo o quell’esponente politico. No, è in ballo qualcosa di molto più generale, molto più profondo.”
Mi pare sempre di più che la presa di posizione su uno specifico argomento sia quanto mai necessaria, intendendola ovviamente come crescita nella cornice che bene tratteggi nel post. Credo che sia importante arrivare ad indicare con vigore ciò che riteniamo ingiusto (che può essere riferito, per restare nella cronaca dei nostri giorni, ad un dispositivo come il green pass o all’obbligo vaccinale, ma anche al riconoscimento della tossicità di un prodotto di scarico industriale ecc.). Che poi vuol dire provare a realizzare ciò che pratichiamo nelle zone più sicure degli esercizi di autoconoscimento e durante la meditazione. Che poi, a sua volta, vuol dire attuare la seconda parte del motto di DP: la trasformazione del mondo, che non può che essere il mio mondo, per quanto piccolo possa essere.
Mi pare che la rivoluzione abbia bisogno di un nuovo modo di fare esperienza di cosa significhi essere un essere umano, ed immediatamente abbia altrettanto bisogno che si prenda posizione sulle singole scelte politiche, economiche, educative, sanitarie ecc. che sono la quotidiana incarnazione della nuova umanità cui desideriamo dare figura.
Si potrebbe dire che ho scoperto l’acqua calda, ma forse lo sto scoprendo a livello più profondo, proprio come scrivi tu, Marco, cioè a livello iniziatico e non soltanto a livello cognitivo-rappresentativo.
iside
Grazie a tutti per i commenti, che ho letto con grande interesse!
Per Iside, mi sento di aggiungere una precisazione, poiché forse nel punto che lei cita sono stato poco chiaro. Mi sento molto d’accordo con lei, nel senso che diviene sempre più necessario prendere posizione. Andare oltre la “banale protesta” infatti, a mio umile avviso, non comporta l’opzione del disimpegno (e sappiamo bene la “considerazione” che i “tiepidi” hanno nelle Scritture).
Credo che si potrebbe dire infatti questo, che tanto più sono cristiano (e io oscillo molto, come credo tutti), ovvero dico Sì a questa Rivoluzione, tanto più la realtà si colora della mia specifica posizione, su fatti contingenti molto concreti e non appena sui massimi sistemi. Dante non rinuncia certo a dire la sua su fatti specifici a lui contemporanei, anche in modo molto spregiudicato, sintomo inequivocabile di una grande libertà.
Dire Sì è essere presi in un moto cosmico che comporta l’attenzione alla cosa pubblica, secondo le infinite sfumature e i diecimila colori delle coscienza di ognuno. Il medesimo impegno si dettaglia in una grande fantasia di percorso, che rende umano e preciso l’impegno e necessario il confronto, la mediazione e raffina la necessaria arte del compromesso: “Non l’assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell’attività politica” disse Benedetto XVI in una Omelia del 1981.
Tutto riparte sempre da lì: se uno si muove per difendere il suo piccolo orticello, che comunque nel tempo gli verrà sottratto (e dunque “cinico e deluso”), oppure si muove per questa scoppiettante e palpitante “rivoluzione nel cuore”, donando irresistibilmente un senso cosmico a quello che fa.
Non fare scelte politiche o partitiche e non prendere posizione sulle mille questioni aperte non significa essere tiepidi.
Noi abbiamo un fuoco che arde dentro che mettiamo a disposizione per alimentare le energie migliori della nuova umanità: questa è la nostra missio.
La voglia di spiccare il volo e la necessità di farlo, non bastano per permetterci di volare, come insegna il mito di Icaro.
Abbiamo ben chiaro che il colpo mortale di un’arma che uccide non parte dalla fabbrica delle armi o dai trafficanti di armi, e nemmeno dal dito che preme il grilletto, ma dal cuore della persona.
Avendo promosso la prima legge al mondo contro le mine, devo constatare che dopo trent’anni Cina comunista e Usa producono ancora mine.
Avendo impedito l’apertura delle miniere di uranio su tutto l’arco alpino, devo constatare che oggi l’Unione Europea sta facendo i conti con l’utilizzo del nucleare.
Fare scelte politiche e dare giudizi su ciò che è bene e ciò che è male deve essere ben chiaro nella nostra mente e nel nostro cuore, ma la loro espressione e gestione è la nostra priorità o ci porterebbe alla dispersione in mille rivoli?
Il mondo in cui la comunicazione gestita dal neoliberismo globalizzato giudica tutto ed esclusivamente sulla base di criteri politici e di rapina, non aspetta miglior regalo da noi che gli offriamo la possibilità di definirci di destra o di sinistra e per liquidarci inchiodandoci ad un’etichetta che per noi sarebbe letale.
Il fecondo “Ora et labora” di san Benedetto ha realizzato la rete delle abazie che hanno ricostruito l’Europa non nell’arco di anni o di decenni ma di secoli.
“Non fare scelte politiche o partitiche e non prendere posizione sulle mille questioni aperte non significa essere tiepidi.
Noi abbiamo un fuoco che arde dentro che mettiamo a disposizione per alimentare le energie migliori della nuova umanità: questa è la nostra missio.”
Grazie caro Giancarlo. Hai messo a fuoco il punto centrale con grande perizia e confortante esattezza. Spesso orbitiamo proprio intorno a questo punto equivocando, impantanandoci. Il fuoco che abbiamo dentro, se lo alimentiamo, ci porterà ad occuparci della cosa pubblica – come di tutto il resto – e faremo necessariamente le nostre scelte (non ho mai incontrato una persona veramente spirituale che non incidesse profondamente sul mondo e sui suoi assetti politici e sociali).
Vogliamo dare a questo mondo, appunto, l’occasione di inquadrarci e definirci, a noi stessi di dividerci in mille pareri?
Il punto è alimentare il fuoco, il resto – io penso – viene da sé.
Infatti non siamo noi che dobbiamo scendere nell’arena politica: proviamo ad immaginare tutti i praticanti Darsi Pace col distintivo del Pd o di M5S o della Lega, o immaginiamoci divisi in tanti gruppi con quei distintivi diversi.
Oltretutto distintivi di niente perchè i partiti non sanno più cosa vogliono, girano a vuoto in un’arena vuota.
Se daranno segni di vita noi saremo disponibili ad offrire la nostra proposta che è linfa indispensabile per tutti.
Io penso che non siamo noi a dover rifondare la politica e l’economia o la scuola o la sanità, mentre invece possiamo dare strumenti nuovi a persone di buona volontà che operano in ogni settore.
Abbiamo l’opportunità di lavorare non sulla quantità ma sulla qualità, con prospettive che vanno molto oltre la durata delle legislature o dei partiti effimeri: era ieri, ma chi si ricorda più di partiti come Italia dei valori, Asinello, Verdi, Ncd, Sel, Quercia o Scelta civica? Nessuno, perchè erano ectoplasmi.
Dobbiamo essere propositivi con chiunque sia disponibile ad ascoltare e a non reiterare schemi novecenteschi, e dobbiamo offrire cultura nuova alle forze politiche che si rendano conto del loro collasso mortale.
Nella consapevolezza di lavorare per i prossimi trecento anni, come in leggerezza ed in verità ci dice Marco Guzzi.
Grazie caro Giancarlo, devo confessarti che dalle nostre conversazioni imparo sempre molto.
“Possiamo dare strumenti nuovi a persone di buona volontà che operano in ogni settore”, questo non solo è un compito importante e anche esaltante, ma riduce al nulla tutte le varie contrapposizioni che si creano nei vari ambienti sociali incluso ovviamente il nostro (siamo umani dopotutto).
Proprio poco fa, incastrato nel traffico romano del sabato mattina, ascoltavo Guzzi in dialogo con Red Ronnie che parlava di come moltissime contrapposizioni (in questo tempo, Green Pass etc) siano diciamo “incoraggiate” dal sistema, per averci divisi e litigiosi, in ultima analisi impotenti e facilmente governabili (riassunto mio). Ma nella mia formazione già don Giussani spessissimo mi aveva messo in guardia dal Potere e dal suo modus operandi: dunque qui ritrovo con parole nuove saggi ammonimenti “antichi”. A me volerle ascoltare davvero: oggi come ieri, il compito è solo mio.
“Propositivi con chiunque”, è una nota bellissima di positività.
E tutto il contrario del disimpegno.
Grazie!