I. “La lotta della tradizione contro il liberalismo”
Mi hanno colpito le parole utilizzate da Aleksandr Dugin, filosofo russo che viene appellato come “l’ideologo di Putin”, in un’intervista rilasciata al quotidiano La Verità il 21/3/2022.
Dugin parla, a proposito dell’attuale conflitto in Ucraina, di “lotta della tradizione contro il liberalismo”, e aggiunge che da parte russa «il rifiuto delle pressioni dell’Occidente liberale globalista potrebbe creare i presupposti per la restaurazione della tradizione. La vittoria dell’Occidente liberale globale ci priverebbe anche di questa possibilità».
La filosofia di Dugin esprime la reazione identitaria nei confronti di un Occidente liberale percepito quale nemico della tradizione, come portatore cioè di una civiltà nichilista che annulla le culture, uniformandole agli standard egemonici del mercato.
Dice infatti sempre Dugin:
«Le élite globali di Biden, Klaus Schwab, Bill Gates, Bernard Henri-Levy, oggi rappresentano una setta totalitaria, un regime dittatoriale che cerca di stabilire un controllo totale non solo sui corpi delle persone, ma sulle loro menti, le loro immaginazioni, i loro sogni».
Di fronte a questo regime dittatoriale la Russia si pone come uno degli ultimi baluardi di un mondo che vuole restare multipolare e radicato nelle sovranità nazionali. Dice sempre Dugin:
«Più decisamente rompiamo con l’Occidente, meglio è. L’Occidente moderno è semplicemente il mondo dell’Anticristo. (..)La Russia porrà le basi per diventare un polo pieno e sovrano di un mondo multipolare».
II. Fondamentalismo e Nichilismo: due facce della stessa medaglia
Nella raccolta di saggi intitolata “Dalla Fine all’Inizio”, scritta da Marco Guzzi e pubblicata nel 2011, vi è un capitolo chiamato “Nichilismo e fondamentalismo: le due culture terminali”, che a mio avviso è molto utile per comprendere la genealogia decennale, se non secolare, di questo conflitto in Ucraina.
Questa guerra cioè, a mio avviso, non può essere compresa solo attraverso le lenti di interessi geopolitici di espansione della Nato o di tipo politico/economico, ma affonda le sue radici in una progressiva crisi della civiltà occidentale che ha prodotto e sta producendo reazioni di tipo identitario e fondamentalista, di cui quella Russa è un esempio.
La crisi della civiltà occidentale viene ben descritta da Guzzi quando scrive che assistiamo in questi decenni al «rilancio di ogni riduzionismo ateo, che pretende di ridurre appunto il mistero dell’uomo alle leggi della macchina o a quelle del mondo animale. Ci vogliono convincere in tutti i modi che non sussista alcun senso definitivo nella nostra esistenza e in quella del cosmo, e che anzi non dovremmo più nemmeno porci il problema, accontentandoci di essere povere ma soddisfatte(?) “scimmie nude”»[1].
Di fronte a questo tipo di configurazione della civiltà, nella quale non vi è alcun senso dell’esistenza oltre a quelli biologico-utilitaristici, dove ogni dimensione della vita è plasmata dalle logiche della produzione e del consumo, dove lentamente i rapporti umani vengono spersonalizzati e le persone atomizzate, assistiamo a reazioni diversificate di tipo fondamentalista:
«Dall’altra parte, tornano alla ribalta i non meno lugubri cantori del bel tempo andato, che solitamente coincide con qualche vecchia schiavitù, con qualche gelida ala del Museo delle cere della storia. Poteri sacri, violenza, ignoranza, principi inviolabili e ottenebramento delle coscienze vanno sempre insieme lungo la strada dell’odio».
Nichilismo e fondamentalismo sono in realtà due facce della stessa medaglia, ovvero l’espressione di una medesima crisi di civiltà vista da due prospettive differenti. Sono due sintomi di uno stesso malessere globale. Scrive sempre Marco Guzzi:
«È vero, queste due tendenze sembrano ostili e alternative, ma, se le osserviamo meglio, sono del tutto complementari, anzi in realtà si producono a vicenda, e insieme danno corpo e voce soltanto a ciò che sta finendo, alle figure estenuanti di una forma di umanità che in questa fine si sta appunto liquidando, come una disfatta società in fallimento»[2].
Questo tipo di risposta potremmo dire difensiva all’Occidente globalista in realtà corrisponde esattamente a ciò che il neoliberismo vuole: forme di nazionalismo e fondamentalismo identitario che sono in realtà però altrettanto deboli e prive di futuro.
Le élite tecnocratiche hanno gioco facile nello stigmatizzare le varie forme di reazione che si rifanno alla tradizione e a nuclei valoriali del passato senza revisionarli criticamente. D’altro canto l’occidente appare sempre più pervaso da una coltre asfissiante di mendacità, debolezza culturale e politica, così come da un’ipocrisia strutturale che nasconde derive a-democratiche e di erosione di quei valori da cui è sorto e fiorito il liberalismo stesso.
III. Oltre nichilismo e fondamentalismo: per una cultura rivoluzionaria della pace
La domanda che sorge spontanea dunque, come passo logico dopo questa riflessione, è la seguente: esiste una possibilità altra, ovvero una via percorribile che non sia né quella del nichilismo neoliberale né quella del fondamentalismo tradizionalista?
Non hanno forse le loro ragioni le forme di risposta difensiva all’annullamento di ogni forma identitaria, sebbene si esprimano in modalità violente e regressive (che vanno comunque condannate)? Non danno forse voce, in modalità ambigue e spesso distorte, ad un giusto rifiuto di un occidente percepito come una maschera ipocrita che cela logiche di potenza e iniquità?
Non è d’altro canto il ritorno alla tradizione inservibile come proposta evolutiva, deprivato di una comprensione della valenza emancipativa della modernità? Non abbiamo cioè urgente bisogno di coniugare modernità e tradizione? Di comprendere come il nichilismo abbia le sue ragioni, nella critica di una tradizione che spesso ha vissuto le identità e i valori in modo rigido e claustrofobico, così come la risposta fondamentalista nel rivendicare il bisogno di un’identità individuale, comunitaria e culturale più solida e duratura nel tempo rispetto alla mobilità anonima del mercato?
In questo senso, nella settimana attuale, contempliamo il mistero della Pasqua come un attraversamento di questa crisi al contempo planetaria e personale. La Pasqua cioè come mistero del passaggio da questo mondo al Padre, dice San Paolo, che implica anzitutto e sempre di nuovo una via crucis. Questo mondo è compiuto, finito, le sue logiche si stanno rivelando sempre più distruttive: non ha futuro.
Che cosa sta irrompendo invece nella storia dell’Occidente come monito alla trasformazione e alla conversione? Quale altra forma di civiltà siamo chiamati a concepire e realizzare nei prossimi secoli, se non vogliamo sopperire sotto i colpi di guerre fra blocchi contrapposti, di crisi climatiche ed energetiche, e nella insostenibilità quotidiana delle nostre esistenze?
Il Cristo ci rivela una forma di umanità che non si oppone al male, perché ha già vinto la morte su cui si fonda questo mondo. La resurrezione è il mistero di un sepolcro che è vuoto, perché la morte è in realtà un passaggio, una nuova nascita.
Chiudo con le parole di Marco Guzzi:
«La cultura, infatti, quando è viva, irrompe sempre nella storia come una protesta ineludibile e una proposta sconvolgente, come un giudizio radicale, come una parola che fa saltare in aria gli schemi del passato, e fa tremare di rabbia e di paura tutti quelli che su quegli schemi continuano a poltrire e a lucrare stipendi e posti di potere.
Antica verità messianica e rivoluzionaria anche questa, d’altronde, che ha attraversato come un fuoco divorante tutta la storia spirituale e politica dell’Occidente: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati, da rimandato i ricchi a mani vuote”(Lc 1,52-53)»..[3]
[1] M.Guzzi, Dalla Fine all’Inizio. Saggi Apocalittici. Edizioni Paoline, Milano, 2011, P.14.
[2] Ivi, p.14.
[3] Ivi, p.15.
Buongiorno Francesco
Non so se il “Fondamentalismo” Russo-Ortodosso che Dugin sembra portare avanti, sia di tipo “Attivo”. Mi pare di capire che sia una conseguenza non voluta, più che l’obiettivo alla fine del cammino. Forse dall’interno delle dinamiche cristiane la Russia ha sempre espresso il suo desiderio inconscio di voler essere accettata come amica fraterna dall’occidente, soprattutto europeo. Prova ne è che la Russia comunista, nonostante le persecuzioni e la secolarizzazione, non abbia in realtà cancellato per sempre la chiesa ortodossa avendone tutte le possibilità e la forza. Sorte molto differente capitata alla cultura tradizionale cinese con il maoismo, ove la Cina nega totalmente le tradizioni e si apre all’occidente solo per questioni utilitarie e non di certo per affinità culturale.
Penso che la Russia in questo momento viva la situazione come un tradimento, perché è indubbio che da tanto tempo stia cercando di essere accettata dall’occidente, e per essere accettata cerchi di estremizzare ciò che dal suo punto di vista crede siano le chiavi principali dell’essere occidentale. Così il loro “oligarca” si mostra il più opulento possibile per manifestare non solo l’accettazione ma anche il desiderio profondo di far parte del modello di opulenza occidentale, e il loro “Papa” si mostra il più, appunto, ortodosso possibile a testimonianza della loro totale accettazione e affinità spirituale ai principi occidentali. O almeno quel tipo di spiritualità che credono che in occidente ancora esista.
Sembra di vedere un bambino che cerca di imitare il padre per compiacerlo, ma il padre lo ignora. L’errore del padre è non riconoscere che il figlio lo sta già passando in altezza di una spanna, e che è l’unico appoggio che ha per sostenere la sua vecchiaia.
Questa non è una dinamica che si è innescata da ora, la Russia è da secoli che sta cercando di essere accettata, estremizzando ogni volta il modello che l’Europa propugnava volta per volta.
Grazie caro Francesco,
ho molto apprezzato il tuo punto di vista equilibrato, informato e direi rinfrancante, un sano antidoto a tanta comunicazione mediatica ormai patentemente “di parte” e tendenzialmente belligerante. Perché così? Forse perché in fondo è questo (come si evince anche dal tuo testo) l’unico modello che conosce e concepisce, ovvero quello dell’abuso o dell’essere abusato:
“Sweet dreams are made of this
Who am I to disagree?
I’ve traveled the world and the seven seas
Everybody’s lookin’ for something
Some of them want to use you
Some of them want to get used by you
Some of them want to abuse you
Some of them want to be abused”
Così nella lucida, bellissima canzone degli Eurythmics del 1983, “Sweet Dreams”. “I dolci sogni di questo son fatti, chi sono io per dissentire? Alcuni voglio usarti, altri essere usati, alcuni farti violenza, altri subirla”.
Per la cultura rivoluzionaria della pace, i tempi però sono maturi. Credo che la prova più forte di questo sia quanto la sentiamo necessaria nel cuore, a prescindere perfino dalla nostra abilità nel costruirla. In questo senso ogni gruppo, associazione, consesso umano che punta verso questo, a qualsiasi tradizione si ispiri, credo trova un punto di contatto e una possibilità – forse ancora tutta da scoprire – per lavorare insieme.
Grazie.
Caro Simone,
il punto che tocchi è molto pertinente, ovvero il rapporto fra Russia e Occidente,
inteso come Europa continentale e poi Stati Uniti. Richiederebbe un libro intero,
però è vero che negli ultimi secoli, penso a Pietro il Grande, la Russia
ha rincorso le scoperte e i progressi delle nazioni europee, consapevole di non coincidere con esse.
Ha avuto cioè un rapporto di assorbimento e allo stesso tempo di distacco dall’Occidente,
sfociato poi nella guerra fredda fra Urss e Usa. Ritengo che oggi la chiave esposta
nel testo aiuti a comprendere come ci sia una complementarietà
fra una certa deriva nichilista dell’Occidente e queste reazioni tradizionaliste.
Noi operiamo per un passaggio verso una maggiore consapevolezza delle ragioni e dei limiti di entrambe le posizioni,
che coabitano anche dentro di noi.
Un caro saluto,
Francesco
Caro Marco,
ti ringrazio della lettura e della risposta.
Un caro saluto,
Francesco
Buongiorno a tutti.
Da perfetto ignorante pongo alcune questioni personali.
Cosa sappiamo veramente della cultura russa?
Abbiamo tutti gli strumenti per comprenderla e decifrarla?
Etichettare un mondo in due visioni non è riduttivismo?
E il riduttivismo non è la causa di ogni guerra?
Se la nascita della coscienza e l’inizio della fine della mente bicamerale pongono le fondamenta alla metafora come strumeto di espressione del linguaggio, quindi dell’esperienza rappresentativa del mondo, cosa sappiamo del mondo reale in definitiva?
La nascita della coscienza non è altro che la presa d’atto dell’esistenza della morte come alter ego della vita.
Può dunque la morte essere estrapolata dal contesto metaforico?
Se sì, quale linguaggio nuovo, quale visione potrà soppiantare un meccanismo millenario della mente umana e del suo linguaggio?
Se la vita si sviluppa a partire dal seme -uomo in potenza – e dalle radici come primo fondamento, possiamo concepire una soluzione altra che non preveda il radicamento dell’identità umana dentro steccati esperienziali definiti?
Considerato che la più grande difficoltà dell’essere umano è di radicarsi nell’essenza di sé accettando di modellare la sua vita alle dinamiche trans-formative della vita, ha senso affermare che l’affermarsi delle ideologie è di per sé quasi corrispondente alla necessità delle masse di aderire ad uno schema “salvifico”, ischemico, totalmente fuorviante rispetto al vero senso della vita che non prevede in realtà schemi pre-definiti?
Esiste sempre un’alternativa fra pro e contro che vola più alta della semplice necessità da parte di chi vuole dominare di imporre uno schema di gioco. Ma esiste anche la necessità di aderire ad alcune regole se si partecipa allo stesso gioco. Forse il problema è di saper sciegliere con più accortezza le regole ed il gioco al quale stiamo giocando.
Grazie di questa riflessione Francesco. Effettivamente sembra che, almeno dal punto di vista retorico, ascoltando i discorsi di Putin, ma anche di Dugin, emerga proprio questa polarizzazione. Quello che mi colpisce però è che iniziando a leggere un po’ Dugin, si evidenzia da subito un pensiero decisamente non tradizionale. Sicuramente non cristiano, ma direi nemmeno tradizionale alla maniera di Guenon.
Tanto per capirci Dugin in “Soggetto radicale, teoria e fenomenologia” scrive:
«Il Soggetto Radicale non va associato a un’immagine religiosa, né a una figura del tradizionalismo classico. Egli partecipa a un processo traumatico del tutto insormontabile, senza pari, in un certo senso situato fuori – o, quantomeno, all’estrema periferia – della metafisica tradizionale».
L’uomo nuovo che va dipingendo è completamente alieno al Cristo in quanto separato dal cielo, dal Padre, anzi, si separa dalla condizione paradisiaca creando via via mondi sempre più inferi per arrivare proprio alla liquidazione finale, che lui identifica con il postmodernismo, proprio per emanciparsi, scogliere tutti i legami e, in un certo senso nascere come IO assoluto (mi verrebbe da dire NON relazionale), appunto come “soggetto radicale”.
È evidente come ci sia tanto Nietzsche e poca ortodossia…
Certamente è una prima lettura, sicuramente incompleta, tuttavia trovo interessante notare come Dugin sembri usare una retorica tradizionalista come ideologia esterna, per poi nascondere al suo interno una visione nichilistica e superomistica.
Caro Diego,
sì è proprio così. In realtà se andiamo a sondare a fondo
sono due facce della stessa medaglia.
Un abbraccio,
Francesco
Eh si, due facce della stessa medaglia.
Ok: facciamo “prima” la pace interiore e poi quella “esteriore” (delle “strutture esterne”): il messaggio stesso del Cristo (e a dire il vero anche di ogni Sapienza iniziatica seria) dice la stessa cosa: che dopo ne conseguirà automaticamente la pace anche delle strutture “esterne”. Le collettività essendo fatte niente altro che da persone, possono produrre un mondo di pace solo da persone pacificate. Siamo d’accordo.
Dunque è inutile, illogico e irrazionale cercare la pace nelle “strutture esterne” come dice un tweet odierno di Darsi Pace? https://twitter.com/DarsiPace/status/1516349410912964610?s=20&t=wembfLoJocKQPVEbK-k38w
Qui le cose si complicano. Nel frattempo che costruiamo la pace interiore, mentre il mondo continua a funzionare con le sue regole egoico-belliche, non aspetta certo che tutti abbiano trovato la pace del cuore per perpetuare le sue devastazioni. Dunque cosa è giusto fare? E’ questa la domanda “difficile”: mi pare un po’ troppo facile dire “se potessi andare alla velocità della luce sarei sulla Luna in un secondo”. Nel frattempo che non ci vai alla velocità della luce, come pensi di andare sulla Luna? Rinunci solo perchè non hai ancora l’astronave a curvatura spaziotemporale di Star Trek perchè ci vuoi per forza andare in un secondo? Comincia subito a lavorarci alla curvatura spaziotemporale…. ok, ma nel FRATTEMPO che faccio?
E’ ragionevole dire “bisogna prima pacificare il cuore” mentre la gente viene massacrata a due passi da casa? Per chi scrive dietro a una tastiera è facile dire di pacificare prima il cuore, ma chi viene bombardato e massacrato o vede morire i figli di fame o di sete non credo che sia un’idea molto allettante. A questa persona qui che tipo di giustizia (anche parziale ed egoico-bellica) vogliamo tentare di offrire? O forse vogliamo dirgli che, no ci dispiace, dobbiamo ASPETTARE la pacificazione di tutti i cuori?
Stiamo investendo molto nella fusione nucleare sperando che prima possibile possa darci energia pulita a basso costo a tutti: ma nel frattempo dobbiamo gestire il fatto che non l’abbiamo, il che è oggettivamente difficile. Ma nel frattempo ci stiamo lavorando…. bene, no?
Questo è ciò che distingue la politica dall’utopia: prendere le decisioni migliori in un mondo comunque sbagliato e distorto, perché quelle decisioni urgono qui e ora. Adesso, con queste distorsioni. Non si può dire “questa soluzione è sbagliata perchè è egoico-bellica / distorta”. Grazie che lo è. Riconoscere che queste sono soluzioni egoico-bellica è certo un buon progresso: e ben venga. Ma basta?
Se il mondo è egoico-bellico, è chiaro che una qualunque soluzione concretamente praticabile non potrà che essere a sua volta egoico-bellica: allora si tratta di capire quali fra esse è la meno egoico-bellica delle altre.
L’incarnazione non ci dice forse questo? Che dobbiamo immergerci in queste distorsioni e prendere le scelte al loro interno, e non far finta che non ci siano?
Questo è molto faticoso, davvero molto faticoso. Dire invece che vorresti l’astronave di Star Trek quando sei a una frazioncina delle conoscenze per implementarla, e poi lamentarti che ogni altra soluzione non va bene perchè è “egoico-bellica”, mi pare il pensionamento della politica e delle scelte mature e adulte: cioè quelle difficili. Mi pare alquanto disincarnato dalla realtà, anzi un modo per fuggire dalle cose serie, difficili, decisioni che non vorremmo prendere.
Allo stesso tempo non farsi sconti e lavorare con impegno a ciò che serve veramente (la curvatura spaziotemporale di Star Trek) deve essere una urgenza per tutti: se non lo si fa si rimarrebbe in un luogo senza speranza e senza scampo. No grazie.
Però, per favore, senza farsi facili sconti, ai quali tutti infondo sono capaci.
A volte ho la sensazione che oltre ad esserci una “banalità del male” – orrenda e inquietante – vi sia anche una “banalità del bene” quando è montata di retorica facile e sconti, come le offerte al supermercato.
L’Europa respira coi due polmoni, quello orientale e quello occidentale, che da mille anni sono mantici che producono vita potente, ma che soffrono anche di polmonite.
Se i due polmoni si fanno la guerra per curare i reciproci mali del nichilismo e del fondamentalismo, continueranno a respirare ma saranno sempre più deboli e meno creativi.
Marabotti nella sua riflessione evidenzia che le distorsioni di entrambe le culture contengono verità buone da riscoprire e valorizzare e da mettere in dialogo.
Ma il dialogo utile non può mai tagliare un corno della contraddizione, e questo è il difficile, è una “via crucis”.
Posto che tutte le guerre sono “difensive” e che la difesa è già offesa, e che mentre rifiutiamo la guerra con le armi non accettiamo neppure le “guerra economica” attraverso le fonti energetiche, allora forse dobbiamo accettare di non avere nessuno strumento per impedire i massacri anche di donne e bambini innocenti in Ucraina?
Forse sì, anche se questo è rivoltante per la nostra umanità.
La libertà di un popolo ha prezzi altissimi da pagare in vite umane e forse ciò è inevitabile.
Ma del resto l’incremento delle forniture di armi se da un lato sostiene valori e princìpi fondamentali per l’umanità, dall’altro aumenta distruzione sofferenze e morte.
Da nonviolenti potremmo sostenere il disarmo unilaterale, ma dovremmo avere ben chiaro che l’appetito cinese dopo il Tibet e Hong Kong non rinuncerà a Taiwan.
E che i combattenti islamisti non disarmeranno mai in Siria, in Afghanistan, in Nigeria, in Somalia, nello Yemen, e nelle capitali europee.
Allora non ci resta che avere tanta fede da credere che oggi dobbiamo usare la potenza della nostra conversione e della nostra preghiera per costruire un futuro di pace.
E possiamo provare a creare una cultura nuova che, concordo con Marabotti, sappia coniugare modernità e tradizione.
Questo implica la collaborazione tra diverse culture che devono saper riconoscere i propri limiti ed apprezzare i valori degli altri: lavoro difficile ma entusiasmante.