L’orrore dell’attuale guerra in Ucraina ci sta mettendo nuovamente di fronte alla vanità dei tanti “giorni della memoria” e “feste della liberazione” che, dal 1945 a oggi, ci siamo illusi potessero essere sufficienti – assieme ad una buona dose di moralismo – per costruire una vera civiltà della pace. Se infatti non ci decidiamo a interrogare la natura essenzialmente spirituale e iniziatico-collettiva del XX secolo dopo Cristo, non solo il sacrificio dei milioni di morti del Novecento sarà stato vano, ma il reflusso delle forze distruttive che hanno pervaso la nostra storia è e sarà (sia nelle vecchie che nelle nuove forme) inevitabile. La domanda è allora semplice, ma terribilmente urgente: che cosa significa il tragico trentennio 1914-1945 per l’Europa, e quindi in fondo per l’umanità planetaria? Che cosa si disvela apocalitticamente in quei decenni che prima non potevamo o non sapevamo vedere? E a quale salto di umanità ci chiama tutto questo?
La prima cosa che occorre ricordare a questo proposito – e che invece ad ogni 25 aprile viene quasi sempre rimossa – è l’orizzonte radicalmente cristiano e cristologico nel quale queste inaudite catastrofi si collocano da tutti i punti di vista (anche i più anti-cristici, appunto). La stessa nozione di Guerra totale, teorizzata e messa in atto per la prima volta dagli alti comandi tedeschi alla fine della Prima guerra mondiale, non è assolutamente comprensibile se non come secolarizzazione del concetto – ben più antico e universale – di Guerra santa. Poco importa che lo sterminio dei nemici avvenisse non più in nome di Cristo, come ancora nella Guerra dei trent’anni, ma in nome della Patria o della Razza o dell’Umanità intera: dalla Spagna cattolico-franchista alla Germania nazionalsocialista, un’esplicita simbologia crociata pervade a fondo tutte le ideologie militariste dei due i conflitti mondiali. La stessa croce uncinata nazista si può facilmente leggere, in questa chiave, come soluzione pagana della croce nera o croce di ferro, che l’aristocrazia militare prussiana ereditava direttamente dall’Ordine teutonico (nato nel Medioevo sul modello dei Templari, allo scopo appunto di condurre una Crociata contro i popoli baltici).
Ma il fatto più significativo di questa nuova sacralizzazione della guerra è proprio l’immenso coinvolgimento che riscontrò tra i cristiani, tra coloro cioè che continuavano a identificare nella Guerra santa il volto e il volere stesso di Cristo. A proposito del Cattolicesimo italiano di quegli anni, Emilio Gentile ci ricorda (“Contro Cesare”, p. 381):
«La campagna d’Etiopia segnò l’apogeo del consenso cattolico al regime fascista, con manifestazioni apologetiche di entusiasmo per il duce e il fascismo da parte del clero e di altissimi prelati, nonostante l’avversione di Pio XI alla guerra di aggressione, mai tuttavia palesata con un’aperta condanna, per la perdurante prudenza della Santa Sede verso il regime. Il neonato impero fascista fu aureolato dalla cultura cattolica che evocò Augusto e Costantino e rinverdì nell’attualità il verso dantesco “Onde Cristo è romano”. – Il Cesare fascista, creatore di un impero, era all’apoteosi della sua gloria e del suo potere. In lui, l’arcivescovo di Milano, cardinal Schuster, apologeta entusiasta del duce, salutava nel 1937 un novello Costantino, “l’Uomo provvidenziale di genio il quale salvò lo Stato, fondò l’impero e diede alla coscienza degli italiani la più perfetta unità nazionale in grazia della pace religiosa”».
(È difficile qui non pensare all’aperta santificazione della guerra cui abbiamo assistito pochi mesi fa da parte del patriarca ortodosso di Mosca, in perfetta simbiosi con la politica neo-confessionale della Russia putiniana). Inoltre, nonostante quello che si potrebbe pensare, la tendenza di moltissimi cristiani durante il Terzo Reich non fu affatto diversa. Sebbene l’orientamento neopagano e anticristico del regime hitleriano fosse assai più esplicito di quello fascista, nel 1932 si era costituito in Germania il movimento luterano dei Deutsche Christen (“Cristiani tedeschi”), che l’anno successivo contava già un milione di iscritti e al quale aderì circa un terzo dell’intero corpo pastorale del Reich. I Deutsche Christen si proponevano di portare a compimento la Riforma eliminando dal Cristianesimo qualsiasi influenza giudaica, compreso l’Antico Testamento, ricorrendo al mito di un Cristo ariano, perseguitato dagli ebrei in quanto portatore del sangue puro della razza germanica. Sebbene il movimento andò decrescendo con gli anni, non conseguendo fortunatamente i suoi obiettivi, diede voce tuttavia – in modo evidentemente parodico – ad un fortissimo anelito messianico che si radicava in profondità nella sensibilità popolare e in un certo filone della cultura tardo-romantica tedesca. Molti tedeschi finirono così letteralmente per riconoscere in Hitler l’inviato di Cristo, il vero e proprio Salvatore del popolo eletto, venuto a fondare il Regno millenario nell’ultima decisiva battaglia contro le tenebre.
Con un piccolo sforzo, proviamo ad ascoltare attentamente le parole che questo teologo, Cajus Fabrizius, scriveva in un saggio del 1936 (Positives Christentum im neuen Staat, p. 74-75):
«Naturalmente i nazionalsocialisti non intendono scambiare il Führer con il Salvatore, e il Führer stesso si sottrarrebbe risolutamente ad una tale pretesa. Il Führer infatti, liberando politicamente il suo popolo, non è il Salvatore del mondo che chiama i peccatori a ravvedersi. Eppure, nel fatto stesso che qualcosa di così immensamente grande si sia annunciato in una sola persona risiede un’affinità con l’evento [di Cristo]; perciò sono soprattutto i cristiani a dover concepire l’evento del Führer e del Nazionalsocialismo alla stessa stregua dell’evento di Cristo. (…) Il Führer stesso appartiene a coloro che mettono in pratica la volontà di Dio e la vita di Cristo nel modo più sublime e straordinario. Poiché il Führer riunisce il popolo e si eleva al di sopra di ogni corruzione morale, adempie al comando di Cristo ad un livello che soltanto pochi mortali hanno saputo raggiungere. Poiché egli difende con mano ferma la proprietà del popolo tedesco contro tutte le potenze delle tenebre, protegge al contempo il bene più grande che possediamo, il Vangelo, custodendone la forza rivelativa. E poiché infine pone con fede e devozione il destino di tutto il popolo nelle mani del Padre, realizza egli stesso quello Spirito che – attraverso la rivelazione di Cristo nel mondo – è divenuto [per noi] potenza viva e vitale»
Per quanto queste righe possano farci persino sorridere, la domanda che dobbiamo porci è molto seria: che cosa sta accadendo nella coscienza cristiana di quest’uomo, così come in quella di milioni di cristiani tedeschi ed europei? – Biblicamente sappiamo infatti che l’Anticristo, per essere tale, ha bisogno di assumere in sé alcuni tratti salienti del Cristo stesso, appunto per contro-figurarlo. La cosa che più ci inquieta però in questo caso è la possibilità che qualcuno, anzi molti uomini e donne convinti di essere fermamente cristiani, abbiano potuto assimilare l’immagine di Cristo a colui che nella storia ha forse assunto più di ogni altro i tratti estremi ed evidenti del male.
In effetti, un paradosso di questo tipo si può spiegare solamente se comprendiamo che il conflitto supremo tra opposte immagini di Dio non si gioca come scontro aperto tra fedi e confessioni religiose, ma prima di tutto e sempre di più come guerra spirituale nell’inconscio collettivo e personale di ognuno di noi. Il XX secolo in tal senso non è stato un’eccezione, ma la manifestazione apocalittica di questa lotta invisibile tra immagini di Dio che, combattutasi nel cuore di tutta la storia umana, è stata messa in luce proprio dall’avvento di Cristo e prima ancora dal travaglio biblico del popolo d’Israele.
Il grande teologo Romano Guardini, che sperimentò da cattolico e da tedesco la tragedia della guerra, ha tentato di illustrare questo fenomeno spirituale nel suo studio teologico-politico del 1935-46 sulla figura del Salvatore (in forte risonanza peraltro con quella che contemporaneamente era stata anche la diagnosi di Jung). Ivi leggiamo (p. 101):
«Il motivo mitico fondamentale del salvatore è ricaduto nella dimensione irredenta-pagana e si è fatto valere come tale. La sua energia, che aveva perso ogni collocazione, non più legata e legittimata dalla figura del sovrano cristiano, si è aperta dunque la via della storia nella sua forma pagana, o meglio apostata. – Esprimiamo più concretamente il processo: i tiranni dell’epoca da poco trascorsa, per fondare la loro potenza in modo definitivamente religioso, hanno risvegliato quel “nucleo di significato”, posto nella compagine fondamentale dell’anima, ma fatto vagante senza una sede e un oggetto, e gli hanno dato una forma, che poteva avere solo il senso di estinguere Cristo, il superamento e insieme compimento del presagio del salvatore, e riporre di nuovo al suo posto un salvatore intramondano».
In altri termini, noi sappiamo che gli umani hanno da sempre creduto ad un principio di salvezza, personificato via via in figure eroiche e semidivine come Ercole, Thor, Sigurd ecc., tanto che si può parlare di un vero e proprio archetipo del Salvatore inscritto nel fondo dell’anima di tutti i popoli. L’arrivo di Cristo ha sì portato a compimento tutte le massime aspirazioni antropologiche alla salvezza, ma in modo tale da sconvolgere e confutare le vecchie immagini divine del Salvatore, rivelandole nella loro struttura pre-cristica se non addirittura anti-cristica. Ecco allora che quello della Salvezza si scopre essere interamente un problema di conversione profonda dell’anima, che coinvolge non più il solo livello esteriore-volontaristico della persona, ma in primo luogo le potenze arcaiche e archetipiche che in tutti questi secoli hanno continuato ad agire inconsciamente nella nostra psiche, proliferando all’ombra dell’immagine di Cristo, del Nome di Dio e della Santa Madre Chiesa. Le tragedie del Novecento, in altre parole, ci insegnano che questa equivocazione fondamentale dell’immagine di Cristo con quella di potenze spirituali precristiane non è più sostenibile se non nella forma di una distruzione totale della civiltà e della stessa sussistenza umana sulla terra.
Leggiamo a questo proposito le chiarissime parole di René Girard, scritte proprio nel 1999, al termine del secolo più apocalittico della storia (Vedo Satana cadere come la folgore, pp. 241-42):
«Gesù distingue due tipi di pace. La prima è quella che lui propone all’umanità. Per semplici che ne siano le regole questa pace “sorpassa ogni comprensione” (Fil 4,7), per la buona ragione che la sola pace da noi conosciuta è la tregua raggiunta attraverso i capri espiatori, “la pace come il mondo la dà” (Gv 14,27), quella delle Potestà e dei Principati sempre più o meno “satanici”, quella di cui la rivelazione evangelica ci priva in misura crescente. – Cristo non può recare agli uomini la pace che è propria di Dio senza prima toglierci l’unica pace di cui noi disponiamo. È questa la situazione necessariamente inquietante che stiamo vivendo».
Con la guerra in Ucraina, stiamo assistendo all’ennesima controfigurazione satanica della pace di Cristo, offerta follemente ma molto concretamente a questo mondo per evitarne l’auto-distruzione. Ecco perché la natura di questo nuovo, ultimativo Appello alla conversione è una questione strettamente politica. La stessa drammatica perdita di spirito e di visione subita da tutte le forme secolarizzate dello Stato (e a cui i Totalitarismi hanno risposto in forma anti-cristica) è in realtà dovuta a questo medesimo equivoco millenario, messo a nudo definitivamente col 1945: abbiamo cioè scambiato per spirito di Cristo l’anima gerarchico-sacrale e sanguinaria delle strutture statuali medievali e poi confessionali-moderne (si pensi al famoso trinomio «Dio patria famiglia», ancora invocato oggi da alcune Destre); e questo – a partire almeno da Thomas Hobbes – si è tradotto in una forma di laicizzazione delle istituzioni che è stata in realtà uno svuotamento ateistico del potere in funzione difensiva-pacificatoria. Ci si cominciò cioè a difendere da ogni giustificazione trascendente del potere proprio perché riconosciuta (cristicamente) come violenta e persecutoria. Ma così facendo, il nuovo Stato-macchina dichiaratamente ateo – che vediamo compiersi nel regime stalinista e oggi in quello cinese – non ha fatto altro appunto che secolarizzare la vecchia struttura sacrale della politica, riproducendone artificialmente la cieca violenza arbitraria (per secoli ben celata sotto la falsa trascendenza dei poteri ieratico-aristocratici). Lo Stato ateo moderno, in altre parole, denuncia messianicamente la violenza ingiustificata dello Stato assoluto-confessionale, ma rifiuta via via ogni reale conversione allo spirito di Cristo. Questa dinamica contraddittoria è stata poi all’origine degli imponenti reflussi sacrificali del potere politico lungo il Novecento, ed è anche la ragione per cui in noi è ancora presente un’immagine sostanzialmente atea, esanime e impersonale dello Stato laico.
La tremenda attualità del 1945 e di tutti i più grandi disastri del Novecento si sintetizza così in un unico, chiaro invito: quello ad un’autentica presa di coscienza del carattere essenzialmente futuro dello spirito di Cristo nel mondo. Solo una più profonda conversione del cuore, che passi al vaglio una per una tutte le figure sanguinarie-anticristiche che perdurano nell’anima storica delle persone e dei popoli, può consegnarci un nuovo sguardo politico sulla radice profondamente messianica delle istituzioni laiche moderne. Lo Stato laico infatti non è altro che il frutto di una maggiore elaborazione politico-istituzionale del mistero cristiano dell’incarnazione e della natura originariamente relazionale-trinitaria di Dio.
Un bel giorno allora, la vecchia equazione “laicità = meno spirito” dovrà rovesciarsi da capo a piedi nella coscienza politica di ognuno di noi. Più laicità – vissuta nella conversione a Cristo – significa invece più spirito evangelico, più bellezza, più Fuoco ardente e creativo della vita. E quindi in definitiva: più pace messianica e più salvezza incarnata per tutti i popoli della terra (pur con la prudenza progressiva di una Rivoluzione che sa di doversi compiere solo nel Regno).
Tale è il compito gioioso, abissale e universale che ci chiama dal fondo di questa notte planetaria, e che dal Vangelo in poi sappiamo avere già vinto il dominio della morte una volta per sempre. Sia questa e nessun’altra la Liberazione politica che ci attende per i prossimi secoli!
Grazie Luca per questa profonda analisi. Mi toccherà leggerla più volte e forse leggere qualcosa di Hobbes e altri filosofi dei passaggi che citi, per poterla comprendere appieno, ma penso ne varrà la pena
Analisi densissima e profonda, fortificata da un ragionato uso di documenti. Magari le varie celebrazioni sui giornali fossero almeno a metà di questo livello!
Grazie Luca per questo importante contributo alla comprensione.
Grazie Luca per questo tuo profondo e impegnativo contributo. Grazie ancora!
Valori messianici che si realizzano nella storia sulla base di una conversione personale profonda…per una autentica LIBERAZIONE davvero rivoluzionaria !
Grazie Luca x il tuo argomentatissimo post…e buon 25 aprile a tutti!
mcarla
Grazie Luca per il prezioso lavoro.
Davvero prezioso lo sforzo di dare senso, di tessere un filo, di tenere lo sguardo sul punto focale, di portare luce, la Luce di Cristo nella storia, e quindi nel nostro tempo.
Davvero grazie
Un caro saluto.
Un bel giorno allora, la vecchia equazione “laicità = meno spirito” dovrà rovesciarsi da capo a piedi nella coscienza politica di ognuno di noi. Più laicità – vissuta nella conversione a Cristo – significa invece più spirito evangelico, più bellezza, più Fuoco ardente e creativo della vita.
Grazie Luca
Grazie, caro Luca,
questo tuo intervento è così denso che richiederà molti anni per trovare la sua giusta assimilazione e diffusione.
Ma noi, come sai, non abbiamo fretta.
Un abbraccio. Marco
Grazie Luca di questo bel testo,
ricco e profondo, e al contempo irrorato da una sorgente di vita
che si fa pensiero, e interpretazione profetica della storia.
Di questo abbiamo veramente bisogno.
Un caro abbraccio,
Francesco
Davvero una ottima analisi.
Mi permetto di aggiungere alcuni elementi/domande: che ruolo assume il concetto delle “sovranità” comunemente intese rispetto a questo stato?
L’assetto Vestfaliano (pace di Vestfalia, 1648) su cui si fonda sia il concetto di Stato-Nazione e di sovranità conseguente (Cuius regio, eius religio) realizza un io-bellico o una nuova umanità? E ancora accettabile oggi? Come superarla? Con quale architettura istituzionale?
La sovranità che appartiene agli stati nazionali che la esercitano anche a costo di “chiedere il sangue” ai propri cittadini (come ancora codificato nella nostra pur bellissima costituzione, art. 52) oppure alla persona umana nella sua integrità?
E’ possibile concepire un mondo “senza guerre” se poi riconosciamo agli Stati – il nome della sovranità nazionale – il diritto sacrosanto di armarsi in nome della difesa? Diversamente, come concepire il concetto di sovranità se questa è sottoposta a un diritto esterno che fosse in grado di vietare di armarsi, e quindi di fare la guerra?
In sostanza quali conseguenze ha il concetto di “sovranità nazionale”, intesa come assoluta e non sottoposta a nessuna forza nel diritto, sulla pace mondiale e sulle guerre?
Ringrazio di cuore tutti voi, per le vostre preziose e sincere risonanze.
Le tue domande, caro Fabrizio, sono non poco impegnative, e ovviamente io ci tengo a precisare di non essere un politologo né un giurista. Quello che posso dirti è che il concetto di sovranità nazionale deve potersi rigenerare radicalmente più o meno allo stesso modo – ma ad un livello più ampio – di quella che chiamiamo sovranità personale. D’altra parte, che nella modernità sia il popolo stesso a riconoscersi soggetto sovrano del proprio Stato (Indipendenza americana) non è un fatto scisso dalla storia cristologica della salvezza, al contrario: solo e soltanto il concepimento (protestante-puritano) del popolo come comunità di santi in Cristo, in virtù del battesimo, ha potuto poi produrre questa auto-posizione politico-esistenziale del soggetto “popolo” e del suo diritto di sovranità libera.
Questo è anche il motivo per cui il crollo dell’assetto westfaliano dell’Europa coincide col crollo della soggettività moderna ancora radicata nel paradigma confessionale. A mio parere, dovremo andare verso forme sempre più cristiche di professione di fede, dunque nel rispetto più totale dell’autonomia della sfera spirituale dal potere politico inteso in senso egoico-mondano. Lo Stato si ricristianizza (e in un certo senso riconfessionalizza) solo nella misura in cui si mette al servizio della trasformazione messianica del mondo, rinunciando per sempre ad essere pura istituzione ordinatrice e garante di un ordine terreno (questo vale tanto più per la Chiesa).
Per quanto riguarda la realizzazione della pace internazionale, io penso che uno Stato – in questa ottica – non possa più avere il diritto di chiedere il sacrificio di sangue ai propri cittadini. Ciononostante, l’unico modo per emanciparsi dalla logica del riarmo è che ci sia, un giorno, una concordia generale nel disarmo – coordinato e contemporaneo – di tutte le maggiori potenze del pianeta, giù fino alle più piccole. E’ chiaro che qualcosa di simile è fin troppo lontano ancora, ma non vedo molte alternative. Fino a quel momento il diritto alla difesa, magari riorganizzato in strutture internazionali assai più eque e oneste di quanto sia la Nato (non dunque l’egemonia imperiale di una superpotenza, ma un reale equilibrio di più nazioni o imperi) resta una soluzione più credibile e direi anche urgente, perlomeno per non regredire a prima del XX secolo.
Un caro saluto a tutti,
Luca. –
Grazie Luca
Grazie Luca per questa carrellata storico/culturale illuminata dai nostri tesori darsipacisti.
Mi sembra poi molto confortante poter constatare la differenza di comportamento della nostra Chiesa attualmente, vedendo le chiare posizioni di Papa Francesco per la pace e mi voglio ricordare anche che accanto alla vecchia chiesa che appoggiava il potere diabolico/bellico, c’erano però sempre tante persone che concretamente si prodigavano per aiutare i perseguitati!
Il cammino procede, anche se da vicino spesso non se ne vede il movimento!