Mi trovo per qualche settimana in Spagna, a València. Al mio arrivo a fine gennaio, da qualche giorno l’ondata determinata dalla variante Omicron sta rallentando la crescita, come in Italia, lasciando presagire la fine dell’emergenza sanitaria. Inevitabilmente, proverò anche a capire come questo Paese abbia vissuto, e stia vivendo, la preoccupazione per la pandemia. Nella prima parte cercherò di limitarmi ad una descrizione, perché troppi fattori mi sfuggono. Non rinuncerò però a cogliere alcune differenze con la situazione che stiamo vivendo in Italia.
Mi informo dapprima sulle restrizioni vigenti in materia Covid-19: la Comunidad Valenciana è una delle regioni spagnole che ha scelto di introdurre il “green pass” di base, a differenza di altre Comunità Autonome in cui non è mai entrato in vigore.
La risposta degli spagnoli alla campagna vaccinale durante l’estate è stata tra le migliori dei Paesi UE. A conferma di ciò, il Ministro della Salute Josep María Argimon a ottobre scartò l’ipotesi di un obbligo vaccinale sul lavoro, convinto che la popolazione avrebbe continuato spontaneamente a vaccinarsi.
Josep Lobera, docente di Sociologia presso l’Universidad Autónoma de Madrid, in un’intervista ha affermato che l’atteggiamento favorevole degli spagnoli nei confronti della vaccinazione, sarebbe iscritto nella memoria storica del Paese, e legato almeno in parte alla sua tardiva democratizzazione (che si è conclusa solo nel 1981). Infatti, lo sviluppo delle istituzioni pubbliche, tra cui quella sanitaria, venne percepito come un evento significativo per la modernizzazione della Spagna, e perciò investito di una valenza positiva. Un altro elemento da considerare riguarda il “trauma collettivo” vissuto dagli spagnoli durante la dittatura di Francisco Franco, il quale ritardando la vaccinazione contro la polio, provocò innumerevoli morti.
Mi sembra che questa sia una prima differenza rispetto all’Italia, e che si giochi, più che sulle fredde percentuali, sull’atteggiamento di fiducia che il governo spagnolo ha mantenuto nei confronti della popolazione, e viceversa. Invece, nel mio Paese, ricordo di aver percepito fin dall’estate, nonostante il buon andamento della campagna vaccinale, anche una diffidenza reciproca tra le istituzioni e una parte della cittadinanza, maturata forse ben prima della pandemia ed enfatizzata dai media.
Nella Comunidad Valenciana il Pasaporte covid è stato introdotto a inizio dicembre 2021. Il Tribunale Superiore di Giustizia motivò questa scelta ritenendo “equilibrata e proporzionata” la limitazione “tenue” e temporanea di alcuni diritti fondamentali dei cittadini, per tutelarne altri, altrettanto importanti, alla vita e alla salute. Il Tribunale identificò nel “green pass” un metodo potenzialmente efficace per limitare i contagi in determinati luoghi (ospedali, residenze per anziani, ristoranti, bar e locali) e in occasione dei grandi eventi. Proprio nei giorni precedenti al mio arrivo, il presidente Ximo Puig ottiene dal Tribunal Superior de Justicia una proroga delle misure emergenziali (dal 31 gennaio al 28 febbraio), a patto però di abolire la richiesta di esibizione del “green pass” nei luoghi all’aperto, come le numerose terrazas dei ristoranti e delle cafeterías, già affollate per via delle temperature gradevoli.
Arrivare a València in effetti mi fa un effetto straniante. Mi trovo a un’ora e mezzo di volo da Milano, ma mi sento catapultato in una realtà molto differente. Nonostante la città si stia risvegliando lentamente dopo il periodo critico, percepisco anche un’aria di fiducia e apertura. Nei luoghi pubblici tutti possono muoversi liberamente, poiché si vive pressoché senza “green pass” (ad esclusione di ristoranti e bar al chiuso, e cinema, fino a fine febbraio). I mezzi di trasporto, le biblioteche, le università, le scuole, i musei, i negozi, i teatri, gli stadi sono accessibili a chiunque, nel rispetto comune delle regole di igiene e protezione individuale. Sul lavoro, il “green pass” non è mai stato introdotto, anche se vengo a conoscenza del tentativo di alcune aziende di informarsi sullo stato vaccinale dei candidati in sede di colloquio, e dei propri dipendenti, suscitando la reazione dei sindacati.
La più grande differenza che percepisco è questa: nel vivere quotidiano, non esiste una distinzione tra cittadini vaccinati e non vaccinati (o vaccinati con due dosi), ma quella tra ambienti a maggiore o minore rischio di contagio. Anche sui maggiori giornali nazionali, dove comunque le notizie legate alla pandemia sono ormai poche, non trovo traccia di questa categorizzazione, che invece in Italia ha portato a una polarizzazione del dibattito, e a un “doppio binario” per quanto riguarda i provvedimenti. Mentre la vita torna a scorrere, ricavo l’impressione di un governo che è riuscito nell’intento di non esacerbare in alcun modo questo potenziale conflitto latente – sfociato invece in Italia nel costrutto mediatico di una dura contrapposizione – e di uno Stato che non sembra avere alcun “conto in sospeso” nei confronti di quella parte di popolazione che, qui come in Italia, per varie motivazioni non ha aderito alla campagna vaccinale.
Spero che questa breve testimonianza possa contribuire ad aprire una prospettiva su un Paese a noi vicino e, più in generale, a recuperare una visione più ampia sulla realtà, che non può essere appiattita sulla narrazione dei media. Penso infatti sia indispensabile oggi che ognuno di noi, come meglio crede, provi ad uscire dalla “bolla” in cui rischiamo di restare intrappolati assumendo posizioni pre-confezionate e divenendo vittime di automatismi emotivi e mentali, che ci spingono all’odio o all’indignazione. In queste bolle siamo rassicurati nella convinzione egoica di essere dalla parte giusta, ma sempre più isolati gli uni dagli altri. Perciò, mentre costruiamo le nostre verità (sempre e comunque contrappositive), la società si disgrega in atomi, e tensioni sempre più aspre compromettono i legami tra familiari, amici, colleghi di lavoro.
Finiamo per lasciare che prevalga una natura umana profondamente bellica, che utilizza anche il linguaggio come arma per sopraffare l’altro, come sosteneva Schopenhauer arrivando a identificare la dialettica con la sua degenerazione, l’eristica. Dovremmo però considerare che questa visione dell’umano, e questa concezione svalutativa del logos, non hanno nulla in comune con le origini della cultura occidentale, e della democrazia, né possono dare come frutto una cultura che sia davvero feconda.
Inoltre, siamo davvero convinti che la ‘costruzione del bene’ possa giustificare qualsiasi atteggiamento normativo, per di più perdendo di vista i criteri della proporzionalità e della temporalità nell’applicare determinate misure, come invece avvenuto in Spagna? Così facendo, rischiamo di affermare il dominio algoritmico di una ratio calcolante e impersonale che, non ravvedendo più i propri limiti, finisce per prendere il sopravvento sull’umano, sottoponendolo al suo spietato giudizio – restando in ogni caso indifferente alle storie concrete di ciascuno di noi.
In conclusione, credo che sia necessario recuperare la capacità di sviluppare nuove riflessioni comuni, ed elaborare una modalità diversa con cui affrontare più umana-mente questa, e altre emergenze – sempre più incombenti, come dimostra l’evoluzione drammatica degli ultimi giorni. Ciò sarà possibile solo recuperando una visione culturale e antropologica inedita, che sappia rifiutare sia una riduzione semplicistica e ideologica dell’umano, che le narrazioni belliche e unilaterali proposte dai media, riaffermando anche nelle situazioni più critiche la complessità della realtà e della verità.
Grazie di questa interessante testimonianza.
Credo che le risposte alle domande finali te le sei date da solo: diverse sono le condizioni iniziali della popolazione circa il sostegno al vaccino, quindi diverse sono stati i provvedimenti: più restrittivi laddove vi è meno collaborazione sociale, meno restrittivi dove c’è ne era di più.
Grazie, caro Filippo.
Trovo questa testimonianza pacata e rinfrescante: mi piace in particolare l’attitudine di quieto osservatore, ragionante ma senza pregiudizi. Mi pare che tale attitudine ti abbia consentito di avere occhi davvero “aperti” sulla realtà spagnola entro cui eri immerso. Il tuo racconto si segue bene – azzardo un parallelo letterario – come i classici “racconti di viaggio” che andavano molto nell’Ottocento, quando il mondo era ancora carico di mistero e così era importante descriverlo in modo, appunto, pacato, privilegiando l’osservazione al ragionamento. Implicitamente (fiduciosamente) convinti che vi fosse sempre qualcosa da imparare, per chi guarda.
Apprezzo poi in particolare il tuo ragionamento sulle “bolle”, perché sento che è stato (ed è) proprio così. Se apro Twitter, Facebook, posso percepire, quasi toccare, i confini della “mia bolla”, costruita nella falsa rassicurazione di gente che la pensa come me. Ma vedo ormai l’inutilità palese di intervenire ancora, per rinforzarci reciprocamente in questa bolla, contrapponendosi alle bolle di Universo che casualmente possono collidere con la mia.
E’ curioso ma esiste davvero un modello di universi “a bolle” che cosmologicamente mi sembra un preciso corrispettivo a quanto accade a livello sociale, oggi. Perché in fondo ogni bolla informatica è un vero “universo”, ha leggi proprie e un proprio sistema di valori.
Tuttavia, la natura profondamente bellica di questo fenomeno – fosse anche una bolla di sedicenti “pacifisti” (che poi spesso sono i primi a chiedere di imbracciare le armi, perché c’è da opporsi al tiranno di turno e allora tutti i discorsi relazionali pur svolti nel tempo, vengono rapidamente accantonati per altri momenti) – questa natura è ormai palese, ed è urgente per mia vita personale, la vita di tutti, prendere un respiro e domandare qualcosa di più grande.
Seguendo come posso, chi ho incrociato nella mia vita, che questa cosa me la propone
Un abbraccio,
Marco
Grazie per questo contributo.
Sarà sempre più, un lavoro indispensabile, quello di recuperare un punto di vista umano.
Purtroppo sempre meno evidente
Grazie Sebastiano per la lettura e il commento; penso che determinati provvedimenti non siano giustificabili nemmeno in presenza di una scarsa collaborazione sociale, e che non siano una conseguenza inevitabile. In ogni caso bisogna sicuramente interrogarsi, senza visioni preconcette, sui fattori che incidono nel rapporto di fiducia o sfiducia tra cittadini e istituzioni. Un saluto, Filippo
@Stefano: grazie a te! concordo, anche io penso sia urgente recuperare e mantenere uno sguardo umano, più ampio, che riesca ad accogliere senza durezza anche ciò che sfugge alla nostra pretesa di controllo.
@Marco: ti ringrazio per il commento, che mi conforta, perché hai colto pienamente lo stato d’animo con cui ho vissuto quel periodo. Sì, davvero abbiamo bisogno di coltivare questi spazi di dialogo, per evitare di rinserrarci in silenzi pesanti, o alimentare discussioni sterili… Spesso ciò significa ritrovare un punto di vista che non trova spazio nel sistema mediatico, ovvero tornare a ragionare sulle cose, senza dare nulla per scontato. Un abbraccio, a presto, Filippo
Buongiorno.
Prego aiutatemi a capire. A meno di una mia errata interpretazione, leggo tra le righe del post un atteggiamento accomodante nei confronti delle misure adottate dal regime per contenere la cosiddetta “pandemia”. Questo mi disorienta nel contesto di un movimento di crescita interiore e spirituale, innovativo nel suo genere, che io apprezzo moltissimo e che seguo da diversi anni.
Siamo vittime da due anni e mezzo di misure liberticide, persecutorie, infami e soprattutto assurde, insensate e inefficaci, imposteci con metodi subodoli, ingannevoli e dittatoriali. Hanno calpestato i nostri diritti fondamentali. Ci hanno tolto il respiro, la parola, il sorriso, la dignità imponendoci di coprirci il volto con uno straccio. Hanno imposto il marchio “verde” persino per poter lavorare.
“Invece in Italia, NONOSTANTE IL BUON ANDAMENTO DELLA CAMPAGNA VACCINALE, ho percepito una diffidenza tra le istituzioni e una parte della cittadinanza”.
Si può definire BUONO L’ANDAMENTO DI UNA SPERIMENTAZIONE DI MASSA IMPOSTA CON IL RICATTO E CON L’INGANNO? Facendo carta da macero della nostra Costituzione, della Dichiarazione universale dei diritti umani, del Codice di Norimberga, della Convenzione di Oviedo, ci stanno obbligando ad inocularci un siero genico sperimentale. Ci sono già migliaia di morti e reazioni avverse gravi irreversibili registrate ufficialmente, nonostante la vaccinovigilanza sia solamente passiva.
C’è da meravigliarsi che (purtroppo solamente) una parte della cittadinanza sia scettica verso un “governo” non eletto, burattino di poteri occulti che ha dichiarato guerra ai cittadini?
“Il Tribunale Superiore di Giustizia motiva l’introduzione del Pasaporte covid ritenendo equilibrata e proporzionata la limitazione tenue di alcuni diritti fondamentali per tutelarne altri.”
Ritengo prioritaria in assoluto la garanzia della libertà e della dignità della persona. Chi sceglie di vivere distanziato, disinfettato, imbavagliato, inoculato, marchiato, perché ritiene in questo modo di tutelare la propria vita e la propria salute, sia liberissimo di farlo. Ma non ritengo affatto una limitazione tenue l’imposizione generale di misure coercitive con il pretesto di tutelare la vita e la salute delle persone.
Forse sono intrappolata nella bolla egoico-bellica a cui accenna Filippo. Ma secondo me la farsa pandemica è un astuto piano architettato per distruggere e schiavizzare l’umanità attraverso l’imposizione di assurde e degradanti misure restrittive, la cui finalità non ha nulla a che vedere con la tutela della salute. E davanti a questo stato di cose non mi riesce proprio di essere conciliante.
Cordiali saluti
Sabrina
Buongiorno Sabrina, intanto grazie per il tuo commento.
Con buon andamento faccio riferimento alla percentuale di vaccinati in Italia in estate, rispetto alla media UE. Ho provato a evidenziare come, nonostante ciò, in Italia e in Spagna i provvedimenti politici e le narrazioni mediatiche siano state poi molto divergenti tra loro. In questo senso, anche io credo che l’inasprimento ingiustificato dei provvedimenti in Italia, abbia generato un effetto boomerang, finendo per aumentare la diffidenza nei confronti delle istituzioni.
Il secondo passaggio si riferisce al contesto spagnolo, e nello specifico alla Comunidad Valenciana; penso sia importante discriminare tra caso e caso.
In generale, credo sia fondamentale rianimare uno spirito critico e di contestazione, senza però lasciarsi avvelenare da sentimenti di odio e indignazione, spesso fini a se stessi, che generano un senso di impotenza e ci impediscono di cambiare attivamente la realtà. Siamo chiamati a trovare un modo (non facile) di vivere creativamente questo periodo storico, che ci mette certamente di fronte a molte sfide per la libertà e la dignità dell’essere umano. Un caro saluto, Filippo
Grazie Filippo.
L’odio avvelena, certo. Però secondo me l’indignazione contro tutto ciò che lede la dignità umana è impulso per il cambiamento.
Un caro saluto
Sabrina
Sant’Agostino affermava che “La speranza ha due figli bellissimi: l’indignazione e il coraggio. L’indignazione davanti alle cose così come sono, il coraggio per cambiarle.”