Oggi pubblichiamo l’incontro che Marco ha avuto a marzo con alcun studenti del Liceo Classico Giulio Cesare di Roma. Per introdurlo utilizziamo proprio le parole di Andrea che di seguito ci parla delle motivazioni che lo hanno spinto ad organizzarlo e anche delle emozioni che ha suscitato.
L’autogestione è un tempo vuoto, fluido, sganciato dal ritmo scorsoio della routine scolastica.
Questo lo rende un tempo virtuoso: la virtù è l’autentico poter-essere, è essere-niente: ciò che non è infatti può essere tutto.
Per noi ragazzi poi è un tempo di grandi possibilità creative; a noi infatti è delegato il compito di gestire, organizzare e riempire per una giornata scolastica lo spazio e il tempo nel nostro istituto.
Giovedì 31 marzo, proprio in una occasione di questo tipo, ho bucato il guscio di inerzia e passività in cui spesso mi recludo invitando Marco Guzzi nel mio liceo (che poi è stato anche il suo): il Giulio Cesare.
Per me si è trattato di congiungere due mondi, né più né meno.
Nella precarietà di quelle due orette passate insieme, nella povertà di un’aula semivuota, in una freddissima giornata di fine marzo, in un liceo deserto, disertato, sottoposto al giogo dei terribili “scaglionamenti” che disperdono i ragazzi, li allontanano e distruggono l’aggregazione; attraverso tutte le mie paure, da quella di fallire a quella di essere annientato; umiliando tutte le mie pretese angeliche di perfezionismo e di successo; superando, vivendo e sopportando tutte queste difficoltà, interne a me ed esterne, ho avuto un piccolo assaggio di ciò che Marco chiama il Corso di Incarnazione: la discesa a Terra.
E Incarnazione significa creare un punto di Incontro. Non con Marco Guzzi. Io parlo di un Incontro della mia quotidianità oscurata, con la Luce che cerco, che amo e di cui sono fatto (e che Marco giovedì ha rappresentato e trasmesso a tutti noi).
Ho avuto l’impressione che i pochi presenti, nonostante Marco abbia lanciato dei veri e propri fulmini, già sapessero ciò di cui parlava e che il suo discorso un po’ folle sulla fine-inizio di un mondo suonasse alle loro orecchie come qualcosa di noto, intuitivamente facile e “naturale”; niente di iniziatico o elitario: le parole di Marco e la sua temperatura parecchio alta hanno trovato (mi sembra) tra i ragazzi un ragionevole consenso, un’accoglienza interessata e una partecipazione attiva, con volontà di approfondire e diversi interrogativi.
È come se nel corso del dialogo si fosse dispiegata una simpatia misteriosa, una corrispondenza morbida tra le parole di Marco e l’ascolto del pubblico. Il discorso, ho detto, suonava naturale, ovvio – non scontato – certo sorprendente e inatteso, ma comprensibile.
Questo mi ha dato forza: ho capito come il campo iniziatico del nostro lavoro, campo che dissodiamo con cura ogni giorno, non è niente di alto o per pochi ma è qualcosa che tutti – dal più grande al più piccolo, dal più intelligente al meno – possiamo afferrare immediatamente con una semplicità che, nell’incontro di giovedì, mi ha sorpreso.
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