Uno sguardo al passato recente, speriamo non diventi ritorno al futuro.
Mettere le mascherine, le mascherine non servono, le mascherine sono essenziali per prevenire il contagio. Le superfici di tavoli, tastiere e mouse, di pacchetti acquistati al supermercato sono contaminate con materiale virale, bisogna lavarle con cura, disinfettarle con alcool, la disinfezione delle superfici non è così fondamentale, la presenza di materiale virale non significa capacità di infezione. Distanziatevi di 1 metro, meglio 2 metri, bastano 1,5 metri. Appena avremo un vaccino potremo contare sull’immunità di comunità, serve una seconda dose, ce ne vuole una terza, copre 6 mesi, no solo 4, sulla trasmissione è poco efficace e solo per poco tempo, meglio il tampone. Ma quale tampone? Il molecolare è ovvio! No, quello antigenico va benissimo, anzi il molecolare è troppo sensibile, becca anche frammenti che però non sono infettivi.
Che confusione! Alla fine, cosa devo fare? Ogni giorno è una disputa tra esperti, seguita a ruota da disposizioni governative che cambiano di continuo, ho perso il filo…
In un precedente post, avevo provato a riflettere sull’equivoco esistenziale che sta dietro al modo in cui stiamo affrontando la pandemia da Sars-Cov-2.
Qui vorrei soffermarmi su un altro equivoco: la lettura dei risultati degli studi scientifici.
I risultati scientifici, derivati da ogni singola ricerca, sono una fessura estremamente sottile, focalizzata su un particolare molto preciso del mondo misurabile.
Questo comporta una serie di approssimazioni, dal disegno dello studio ai suoi esiti finali.
Innanzitutto la ricerca scientifica può essere fatta soltanto su fenomeni che si possano in qualche modo misurare. Non tutto però è misurabile. Ad esempio i sentimenti non lo sono in modo diretto, quindi si cercano soluzioni di misurazioni indirette, come la sudorazione o il battito cardiaco per valutare una reazione emotiva correlata.
Il fenomeno in oggetto poi deve essere semplificato per poter essere studiato. Per analizzare il movimento peristaltico dell’intestino se ne mette un tratto, espiantato da animale, in un bagno di coltura, perché studiare l’intestino intero dentro l’animale sarebbe troppo difficile.
Fin dal progetto iniziale però le cose non sono così ovvie: il modo in cui si delinea una ricerca implica la scelta di determinati parametri da misurare e l’esclusione di altri per motivi di fattibilità. Se si pianifica uno studio sul diabete di tipo 2 in medicina, si inserirà l’età di insorgenza, la glicemia, ma si lasceranno fuori grandezze sociali come il reddito, il grado di istruzione, il capitale sociale cioè la rete relazionale cui la persona può appoggiarsi ecc. Questi però sono fattori influenzanti l’insorgenza e il decorso della malattia.
I dati da soli, lo sappiamo, non sono sufficienti, richiedono di essere elaborati. Anche solo il modo di raggrupparli può essere condizionante le conclusioni cui si arriva. Ad esempio, supponiamo di voler contare il numero di piogge torrenziali che accadono in un certo territorio. Se si hanno 1 evento ad ottobre 2018, 1 a dicembre 2018, 2 a marzo 2019, fa molta differenza come il si raggruppa temporalmente: se lo si fa per anno solare, si dirà che si sono verificati 2 eventi all’anno; se invece si conta l’anno da aprile 2018 a marzo 2019 si avranno 4 eventi all’anno.
Inoltre, in genere le ricerche hanno indagini in range temporali piuttosto limitati. Ad esempio per valutare l’effetto prodotto sulla memoria da un allenamento cognitivo mediante l’uso di un gioco, si fa una valutazione della memoria prima di iniziare il training, subito dopo il training e a un mese dalla fine del training. I progetti a breve o brevissimo termine vengono privilegiati perché sono più facilmente sponsorizzati. i cosiddetti studi longitudinali sono tendenzialmente più costosi e quindi meno popolari tra gli sponsor in cerca di risultati velocemente applicabili.
Interpretare i dati poi non è un gioco da ragazzi, i dati non parlano da soli, occorre saperli far parlare e non di rado gruppi di ricerca diversi giungono a conclusioni diverse pur partendo dagli stessi dati.
Questo per dire alcuni aspetti e soltanto con intento esemplificativo.
Le varie approssimazioni introdotte di per sé non sono difetti, ma il realistico modo in cui si può procedere applicando il metodo scientifico. Avendone consapevolezza, se ne cerca un ammortizzamento, intanto grazie all’elaborazione statistica dei dati. Inoltre, lo stesso studio viene ripetuto da gruppi di lavoro diversi per vedere se i risultati vengono confermati.
Essendo ogni ricerca estremamente concentrata su aspetti precisi, ognuna di esse è come una tessera di un puzzle di cui però non si conosce l’immagine finale. Ricomporre la figura è un impegno internazionale, cercare gli incastri, muoversi per tentativi ed errori, per intuizioni, smentite, riprogettazioni, conferme, miglioramenti, dispute, negoziazioni intellettuali tra scuole di pensiero diverse.
Una singola ricerca da sola è orfana e gli esiti che genera non sono dirimenti. Essa acquisisce significato soltanto all’interno di un contesto molto più ampio. Per realizzare questo occorre tempo, un tempo di sedimentazione, di decantazione, di relazioni, di interconnessioni.
Soltanto alla fine di un lungo processo, i risultati di molte ricerche, mai di una sola, prenderanno la forma e la dignità di conoscenza, serbatoio da cui attingere per ricavarne pratiche applicabili alla vita nel mondo allargato, fuori dai laboratori, fuori dai trials.
Ciò che abbiamo invece sperimentato con l’arrivo di Sars-Cov-2 è il salto, improprio e pericoloso, di equiparare i risultati di ogni singola ricerca a conoscenza assodata. Questo però è un colossale errore di metodo.
Certamente la pressione è tanta, mediatica, politica, economica, sociale. Tuttavia, equivocare su questo punto produce un’incomprensione rispetto al metodo scientifico e, alla fine, un suo ingiusto discredito. Se ogni paper che esce accende la falsa speranza di soluzione definitiva che però in realtà non può essere realizzata, quel paper si trasforma in delusione, sfiducia fino al disprezzo dell’ambiente scientifico sentito come traditore.
Affamati di notizie confortanti, siamo piombati addosso ad ogni singolo studio aspettandolo sulla porta del laboratorio, anche appropriandoci indebitamente di strumenti per specialisti come il pre-print; da lì abbiamo ricavato indicazioni di comportamento generale che si sono rapidamente tradotte in decreti e circolari sfornati come croissant.
La confusione, l’incertezza, la precarietà, in cui questa modalità ci getta, ci dispone ad aggrapparci ad ogni pezzo di informazione che dia un vago sollievo al senso di obnubilamento mentale. Diventiamo allora facile preda di schemi interpretativi che acquistano fama per contrapposizione: meno sono scientifico, più sono credibile. Questo però è un pessimo servizio al bagaglio conoscitivo dell’umanità.
Abbiamo perciò bisogno innanzitutto di rispettare i tempi della ricerca.
Per noi cittadini, vuol dire imparare a gestire la frustrazione del non poter avere tutto e subito come vorremmo.
Per i giornalisti, vuol dire smettere di chiedere ad ogni tg il parere dell’esperto sullo stesso argomento, perché non può che essere uguale a quello fornito nell’edizione precedente.
Per i politici, vuol dire ricordare che sono chiamati a governare un intero paese in tutta la sua vastità, non a gestire un problema alla volta.
Per gli scienziati, vuol dire ponderare i dati con molta prudenza, rimanendo nell’alveo del probabile e del possibile, evitando le lande seduttive della perentorietà.
Grazie
Trovo davvero illuminanti le indicazioni riguardanti l’iter lungo , laborioso e complesso che gli scienziati devono seguire per ottenere risultati possibilmente attendibili.
E’ proprio vero che noi umani, abituati ormai al “tutto e subito”, vorremmo poter contare alla svelta su di un prontuario di indicazioni sicure che ci garantiscano la salvezza immediata da ogni male e in questa pretesa siamo ampiamente assistiti dai giornalisti, dai politici, dagli esperti di turno…
Ti ringrazio, cara Iside, per questo tuo ulteriore intervento colto, lucido, pacato, su un tema ancora così “caldo” e controverso . Un saluto affettuoso
Francesca Mannozzi
Carissima Iside complimenti per la disamina illuminante.
Io credo che l’umiltà l’onestà e la chiarezza che ho trovato in questo articolo sono esattamente quelli che sono mancati da parte dei giornalisti e delle istituzioni che hanno sempre aperto la bocca dando fiato, come si dice,e non credo solo per soddisfare la sete di verità ed il senso di frustrazione di noi cittadini che siamo rimasti appesi due anni ad una verità in continuo cambiamento e che ci ha portati un po’ a non credere più a nulla anzi a sentirci presi in giro. Ho il forte dubbio che sia stato fatto apposta per giungere proprio a quel senso di frustrazione ed avvilimento che ormai ci pervade
Che dire, illuminante e chiaro. Dovrebbe questo pensiero essere alla base delle logiche di gestione delle emergenze sanitarie. Ma li gli interessi in gioco sono ben altri, gli attori si comportano secondo schemi di parte e influenze esterne che rendono tutto un gran casino
Cara Iside, grazie per questo articolo, che apre dei temi pochissimo trattati – mi pare – nelle riflessioni sul Covid 19, però realmente fondamentali. Sono molto d’accordo sul fatto che un certo riduzionismo cerca di sbarazzarsi di quel che non è “misurabile” (e non riesce a rendere tale), perché fondamentalmente non capisce che farci, perché forse questa non misurabilità ci parla di qualcosa di altro, rimanda al mistero dell’uomo e nell’epoca dei Big Data questa irriducibilità alla quantificazione, dà così tanto fastidio che si preferisce ignorarla.
Quel che proviamo a fare in AltraScienza – e con il tuo prezioso apporto! – è proprio cercare di ragionare su una impresa scientifica che conosca i suoi limiti, che non cerchi di prosciugare la specificità umana ma di rispettarla, e direi che ne abbiamo un bisogno incredibile.
Scienziati e politici sono stati investiti dal Covid in modo furibondo e (per la nostra cecità) imprevisto, capisco che la reazione non sia stata sempre esemplare. Ma l’idea di ridurci a “dati” non può essere vincente e alla fine ci mortifica, dobbiamo riprenderci i tempi della ricerca, certo accogliere il carattere di urgenza di alcune situazioni ma non fino a perdere di vista l’umano, che vogliamo salvare.
Perché il nucleo è che la vera scienza, non è tutta riducibile nel modello efficientistico-commerciale oggi imperante. La ricerca – come ben dici – ha bisogno di pazienza, di costanza, di tempi lunghi, di confronto, di ponderazione. Non c’è “tutto e subito”, e la frustrazione di attendere e capire va gestita. Non è una “guerra” contro il virus, non si tratta di sbaragliare nessun fronte. Anche le parole vanno pesate, perché sono indicative. Il vaccino è stata una corsa incredibile, penso che abbia salvato delle vite, ma non vuol certo dire che è stato fatto tutto per bene. Non contano solo i numeri, non siamo numeri. Ognuno è un universo. Questo bisogna ricordarcelo, bisogna che la politica e la scienza lo capiscano, ne tengano conto.
Grazie!
Grazie Iside!
Saresti una speranza al ministero della salute. P.s. Ogni riferimento non è puramente casuale.
Cara Iside,
Mi colpiscono sempre la precisione e incisività del tuo pensiero e della tua scrittura.
A dirimere ogni possibilità e preoccupazione di valutazione critica, è intervenuto proprio in questi ultimi giorni un annuncio della Fda americana diramato dalla Reuters secondo cui non saranno più richiesti alle case produttrici i dati dei trials clinici per i nuovi vaccini delle varianti omicron. Un bel regalo a big pharma…..
Da parte mia, un grande abbraccio e grazie!
Daniela
Il metodo scientifico potrà portare i suoi migliori frutti quando sarà usato adeguatamente, e cioè secondo misura, appunto.
Perché questo accada, non ci resta che affondare nell’umano e costruire da dentro ampie visioni antropologiche.
iside