L’estate astronomica è iniziata da pochi giorni, quella percepita, da molti di più. Sono da poco arrivato in Abruzzo, nel tentativo di sfuggire alla canicola romana. Qui pure fa caldo, è vero, ma in modo più mite, meno accanito. Non si sfugge al riscaldamento globale, certamente: ai guai che abbiamo causato ed ancora causiamo, per la nostra resistenza terribile a riflettere, meditare, guardarci dentro, capire che la creazione fa parte di noi e noi di questa, e che l’attitudine predatoria ha già causato innumerevoli danni.
Siamo assediati da notizie di guerre, epidemie, carestie, siccità. Siamo assediati e sempre impreparati, ci meravigliamo sempre, come se pensassimo di poter abusare dell’ambiente naturale senza doverne pagare conseguenza. Come se il pianeta Terra fosse capace in modo illimitato di porre rimedio ai nostri sconquassi.
Mi rattrista considerare tutti i danni che abbiamo combinato come umanità – che anche io ho contribuito a causare, nella misura in cui non sono stato consapevole – soltanto per questo, per l’attitudine non governata, non temperata da nessun lavoro spirituale, a prendere, afferrare, abusare, sfruttare allo stremo, trarre massimo profitto. Scriveva Marco Guzzi, proprio prendendo spunto dal caldo innaturale di questa estate, che
Dobbiamo offrire a noi stessi, e ai nostri fratelli e alle nostre sorelle perduti in questa notte indiavolata, saldi appigli, luoghi comuni, aggregazioni reali, fisiche, incarnate, dove esercitarsi ad una vita nuova…
Credo anche che ormai dobbiamo fare presto. Darsi Pace può offrire il suo contributo, in attiva e rinfrescante relazione con tante altre realtà. Ma dobbiamo fare presto, in questo lavoro che riguarda ognuno di noi, riguarda me, prima di tutto.
Se io rifiuto il lavoro su me stesso faccio male al mondo, anche con tutte le mie belle idee su cosa fare e come farlo. Se rinuncio a mettere mano alla sostanza ancora così brulla (e ancor di più per questo caldo arido) del mio cuore, se rinuncio (sia perché mi dico che non c’è da far nulla, sia perché – all’estremo opposto – mi lamento che ormai non c’è più nulla da fare), se lascio perdere, faccio male a me e a questo mondo, questo pianeta sperso in un Universo sconfinato. Questo pianeta che spesso si pretende solo, ma è in compagnia di migliaia o milioni di pianeti simili a lui (ormai lo sappiamo).
Mi sono svegliato nel cuore della notte: il mio cane ha pensato di prodursi in una sonora abbaiata, ad un’ora che i più definirebbero sconveniente. Avrà sentito un rumore lontano. In effetti, svaporata con fatica l’irritazione, aguzzo l’orecchio e finalmente, mi giunge come un eco di un distante abbaiare. Perché il quadrupede domestico si sia così infervorato, non mi è dato saperlo. Quel che capisco è che in un semplice abbaio passano delle informazioni che (in questo caso specifico) lo indispongono molto. Informazioni che io semplicemente – con tutta la mia scienza – non riesco assolutamente a comprendere, non posso proprio decifrare.
Non riesco a riprendere sonno. La mente torna in piena attività e – come fa spesso di notte – indugia velenosamente sulle cose che non vanno, su quello che mi manca, sui difetti, sulle mancanze, sui vizi. Sulle cadute, sempre le stesse. Come al solito, è un giudice spietato che non dà tregua, non conosce misericordia, non mostra tenerezza. Che pazienza, che strazio a volte, riporsi nell’attitudine di lavorarla, questa mente! Mentirei, se asserissi che non conosco lo sconforto, la sfiducia, il timore – malefico e bugiardo – dell’inutilità ultima di ogni sforzo.
Devo sottrarmi a questo gioco: non mi fa bene, non mi serve.
Mi sposto sul terrazzo in cerca di refrigerio, di un punto di vista nuovo. Ho bisogno di ripulire i pensieri, di aprire spazi ampi: qualsiasi cosa, pur di non dimorare integralmente in un discorso malato, mille volte già ascoltato.
La sorpresa, è ad un passo.
Fuori c’è un infinito di stelle (per rubare l’immagine dalla bella canzone di Mina e Fossati), ad aspettarmi. Ad un passo da me e dai miei pensieri – come scopro subito – vibra una sensazione di dilatazione cosmica formidabile, ed insieme di quiete profonda.
Mi siedo ed inizio a guardami intorno, con calma. Le luci artificiali sono poche e poco invasive, così che il cielo riesce di nuovo ad imporsi: a me ora come ai primi uomini, immagino.
La mente giudicante pian piano si quieta, così immerso in questa meraviglia. La sensazione che ora si affaccia, è di abitare una vastità incredibile, ma pacificante. Un’ampiezza serena, certamente diversa da quelle che confondono, come ad esempio quelle dei grandi centri commerciali: questa vastità è buona perché non mi schiaccia, non mi sovrasta, entra in dialogo con me. Come in una enorme cattedrale, tutto è grande ma tutto è al suo posto, secondo un ordine superiore che mi è amico. Così che in tanta grandezza, sento che mi posso finalmente riposare.
Alzo lo sguardo. La Via Lattea è un nastro luminescente sopra di me. Scruto con calma le stelle, quelle più brillanti, quelle meno. Gli oggetti artificiali li riconosco subito, perché si spostano rapidamente. Mi inquieta un po’ perché iniziano ad essere molti, ormai. Mi distolgo coscientemente da questo pensiero disturbante, lo lascio andare.
Ritorno a guardare, il brilluccichìo irregolare (è l’atmosfera a dare questo effetto, non le stelle, ma è uguale) è così straordinario ed insieme così familiare ai miei occhi. Quante donne, quanti uomini avranno guardato il cielo prima di me, così come adesso lo guardo io.
Tutto mi dice che siamo in un ambiente vastissimo, ma di una vastità gentile. Capisco che pensare la Terra senza il cielo intorno, è già un pensiero malato, parziale. Che veramente siamo un puntino blu nell’immensità, e che è bello che sia così. Magari il Cosmo è pieno di esseri che stanno guardando il cielo, e stanno facendo considerazioni simili. Non lo sappiamo: scientificamente, dovrei dire che non lo sappiamo ancora. Non importa. Anche la scienza può aspettare. E’ la superba e mite grandezza di tutto che parla al mio cuore e lo rinfranca, adesso. E questo linguaggio, questo silenzioso parlare… questo sì che il mio cuore lo intende!
Qualcuno ora mi potrebbe obiettare, ma come, studi le stelle tutto il giorno, da decenni, e ti sorprendi ancora per questo? Eppure è così. Uno può investigare per anni ed anni tutti i meccanismi di funzionamento di una stella e rischiare di perderne la sottile meraviglia. Allo stesso modo, credo, è possibile leggere decine di libri di spiritualità e di meditazione, senza però prendersi il piccolo rischio di provare a seguire il respiro, immettersi in una pratica quotidiana, trovare (come si diceva) una comunità di persone che ti aiutano. Con le quali, camminare la vita che rimane.
Studiare il cosmo, sapere intellettualmente che l’Universo osservabile si estende per miliardi e miliardi di anni luce, non è nulla in confronto alla sensazione di immersione in un cielo di stelle, all’esperienza che se ne può fare (ancora, si può, fino a quando la tecnologia senza controllo oblitererà anche questa meraviglia silenziosa), e che coinvolge tanto la mente quanto il corpo, coinvolge ogni cellula di me stesso, la espone ad un ordine diverso rispetto ai miei pensieri, un ordine infinitamente più salubre e ricco.
Io credo che guardare il cielo così, come fermarsi in un bosco e ascoltare i piccoli rumori, godersi le sensazioni – sia veramente rivoluzionario. Come ogni cosa che scardina da dentro l’assetto superficiale e commerciale in cui siamo immersi, lo scardina con il pacifismo realistico della quieta bellezza.
Il mondo di oggi, semplicemente non ha tempo per osservare un cielo di stelle, cioè qualcosa che non produce, non consuma, non fa pubblicità, non fa guerra, non organizza consenso. Qualcosa che si propone come pura bellezza, ristoro per ogni cuore affaticato.
Proprio per questo io credo che l’uomo nuovo, che faticosamente nasce in ognuno di noi, sarà un uomo che tornerà – prima di tutto – a guardare le stelle.
Grazie di cuore per questa bellissima e toccante testimonianza.
Ciao Marco grazie delle tue parole. Mi piacerebbe osservare il cielo con le tue spiegazioni per essere più cosciente di quello che mi sovrasta ed avvolge. Abito anche io in Abruzzo dove sei di bello?
Ciao Marco,mi chiamo Domenico e ho letto con vivo interesse questi tuoi pensieri dettati da uno spirito che molto probabilmente risponde a una chiamata che è dentro ognuno di noi,un inconscio bisogno di salvezza che non la voglia di fuggire aiuta a risolvere (per milioni di persone le vacanze non serviranno a farle crescere interiormente) ma la crescita in consapevolezza del posto che ogni essere vivente occupa in questo cosmo senza confini.
Mi permetto solo di aggiungere che ogni esperienza può far prendere due strade completamente differenti a seconda della nostra situazione di partenza. Un tempo,quando dubitavo dell’esistenza di un Essere Creatore,affacciarmi alla “finestra” del cielo cosmico mi faceva perfino paura,osservavo un immenso spazio misterioso dominato da un silenzio tutt’altro che rassicurante per i miei bisogni.
Ma con la crescita della fede in Dio Padre questo silenzio cosmico non mi fa più tanta paura anche se ciò che sappiamo è ancora poco rispetto a quello che non si sa,ma questo è il bello della ricerca…
Riesco allora a comprendere forse un pò meglio le parole del Salmo 19 quando annuncia “i cieli narrano la gloria di Dio,il firmamento annunzia l’opera delle sue mani…senza discorsi e senza parole,senza che si oda alcun suono…” ,sta a noi solo voler conoscere e scegliere la via che il messaggio di Dio ci ha indicato.
Un caro saluto e grazie dell’ascolto.
@Elisabetta, grazie per la stima e la fiducia! Lo apprezzo.
@Paola abbiamo una casa di famiglia nei pressi di Rocca di Cambio, ma io abito normalmente a Roma. Spero comunque di tornare in Abruzzo quanto prima, per un po’ di ristoro climatico anche, visto il caldo torrido della Capitale.
@Domenico grazie per le tue riflessioni. Hai ragione, tutto dipende dal modo in cui ci poniamo di fronte a quel che il cielo ci mostra, tutto dipende dalla nostra libertà. Che anche il Senso delle cose si fermi con rispetto davanti alla mia libertà, aspetti il mio “assenso”, il mio “permesso”, è veramente una cosa dell’altro mondo, una suprema gentilezza che ogni volta che riesco a pensarci con coscienza, mi riempie di stupore…
Marco è sempre bello leggerti e ogni volta trovare conforto nelle tue considerazioni. Ritrovare una strada dopo lo “smarrimento” che subisce in modo altalenante il nostro essere, è sempre un approdo ristoratore. Un porto sicuro dove poter approdare fino a comprendere che quello spazio così insondabile verso il quale ci affacciamo può davvero restituirci la pienezza della vita, il senso profondo della nostra esistenza
Grazie Pasqualino, ti ringrazio davvero.
Per onestà devo dire, per quanto gratificato e anche lusingato da molti commenti qui e su Facebook, che io restituisco quello che mi è stato donato. E questo spazio, questo ambiente, questo cammino di Darsi Pace, mi ha dato e mi sta dando tanto, anche come possibilità di credere in quello che ho dentro, di valorizzarlo e di esprimerlo (ed è accaduto perfino quando il mio sentire non era “allineato” a quello del movimento). Il mio ringraziamento dunque va a Marco Guzzi, a Paola e a tutti quelli che lavorano per questo progetto, che sono in questo cammino.
Un abbraccio!
Le stelle e la morte, se prese sul serio, sono due orizzonti che ci aiutano a riposizionarci per iniziare a capire ciò che davvero ha valore e cioè ciò che ha sapore di vita.
Se solo fossimo più capaci di visualizzarci piccoli piccoli sul pallino blu, di sentirci roteanti granelli/Dervisci in uno spazio sconfinato..
Se solo fossimo più capaci di tenere ben presente che l’altro capo di questa vertigine è il dissolvimento di ogni cellula – e non rimarrà pietra su pietra.
Che guardiamo dalle stelle o dagli inferi, lì si rivela tutta la meschinità delle nostre rabbie, delle nostre menzogne per dominare e schiacciare l’ambiente come il vicino di casa, un capo di stato come gli oceani.
Ma dagli estremi possiamo recuperare il coraggio ed intraprendere la via del ritorno: la discesa nelle nostre profondità, il riconoscimento delle nostre miserie, la loro purificazione fino a trovare nella morte una fionda gravitazionale che ci stabilisca nell’orbita della vita – eterna.
iside
È la gentilezza di certi sguardi, che ritrovo nei compagni di Darsi Pace, gentilezza che com-muove lo spirito, a confermarmi, dopo anni, la potenza di questo percorso.
Grazie Marco.
Grazie Marco per questo viaggio che ci hai regalato. Risuona in me “E quindi uscimmo a riveder le stelle”.
Un abbraccio
Lula
Grazie Marco, le tue parole sono un balsamo per l’anima.
Anna
Ciao Marco, grazie per le tue parole, sono in perfetta sintonia con quello che dici. Anzi, spesso mi rendo conto di vivere sempre “in difesa” verso l’esterno, abitare a Milano mi fa essere costantemente in questa modalità. Sono sempre alla ricerca di isole di bellezza e vastità, che come descrivi bene tu, nutrono il nostro essere, lo risanano letteralmente.
Allora credo che il mio esercizio costante debba essere quello di riuscire a stare il più possibile in quella coscienza che sto cominciando a conoscere da poco, dove il piccolo fiore che cresce sul minuscolo balcone c’incanta; lì in quei momenti creati, anche i piccoli particolari sono anch’essi grandi panorami che si possono espandere in noi come grandi cieli stellati.
Namaste
I tuoi scritti e interventi sono sempre mirabili e anche se non ti ho mai incontrato, tu Marco mi sei molto caro.
Il commento di Iside mi ha particolarmente toccato. Che sia dalle “stelle”, (che intendo come stati di coscienza più elevati di quello ordinario), o dagli “inferi”, (quelle zone interiori abitate da inquietanti presenze, da “spettri”, da “cavalieri neri” letali, il cui incontro butta male), è la stessa meschinità che si rivela allo sguardo, ma quale differenza! Dalle prime, il panorama è più vasto, l’occhio più libero e la misericordia più grande. Dalle oscure profondità, la libertà sembra per sempre perduta e ciò che si vede è solo colpa e condanna. È mai possibile, da questo estremo, ritrovare la libertà del coraggio e la via del ritorno?
La vastità della libertà, dove brilla di luce propria le stelle, le persone, il sale della terra. Non dobbiamo perdere la speranza adesso.
Grazie Marco per le tue belle riflessioni che sono poi quelle che facciamo tutti noi. Mi sono ritrovata in certe tue sensazioni e la gioia che si prova a sentirsi liberi dalla gabbia di ghiaccio che ci rende insensibili tutti.
A volte quando cammino e mi sento divisa faccio un gioco, guardo solo in basso il mondo in cui sono immersa e mi sento schiacciata come in un ingranaggio, poi subito alzo gli occhi sopra l’orizzonte e mi rendo conto che siamo in uno spazio più vasto, inconoscibile ma intelligente e allora mi sento già meglio. Buone vacanze a tutti
Carissimi, grazie di cuore per i vostri commenti.
Cari Iside, Cristina, Lula, Anna, Elena, Andrea, Barbara, Diana… leggendovi imparo cose nuove, “tocco” altre sensibilità e capisco che il cielo stellato ha un linguaggio per ognuno di noi, ma questi linguaggi si possono comunicare e creano una rete di solidità, di solidarietà, che è bella e confortante. Vorrei rispondere ad ognuna, ognuno di voi ma verrebbe un commento troppo lungo e non è bene che riempia di altre parole oltre il post, ma lasci il campo alle vostre.
Allora, vi dico solo che vi sono molto grato. E sono grato sempre di più a Darsi Pace perché è amico di questa mia passione per il cielo, perché – attraverso tutti voi – è amico del mio destino.
Marco, grazie perché le tue riflessioni fanno brillare fervidamente la luce stellare che – ad intensità diverse – vibra in ognuno di noi. Grazie perché la tua testimonianza- così spontanea, amica e profonda- invita ad osservare con rinnovata speranza il Cielo fuori e dentro di noi. Grazie
Mi aggiungo con Gratitudine a tutte le risonanze che questo “infinito cielo di stelle” continua a donare in un da sempre e per sempre.
Fa pulsare di Speranza e di Vita, il cielo dentro e fuori di noi.
Per davvero “le stelle e la morte, se prese sul serio, sono due orizzonti che ci aiutano a riposizionarci per iniziare a capire ciò che davvero ha valore e cioè ciò che ha sapore di vita.”
GRAZIE
Buongiorno caro Marco. Sono Roberto, un abruzzese che ama la natura come te. Spesso mi sono abbandonato nel silenzio a guardare le stelle, a sentire il profumo del fieno tagliato, a sentire i rumori lontani, smorzati, della città affaticata. Spesso mi sono chiesto perché DIO abbia voluto darci una manifestazione così immensa della sua grandezza, della sua potenza, proprio a noi, così piccoli, incapaci di volare e di comprendere appieno il senso profondo dell’esserci. Spesso penso alla fine della mia vita (pensiero che ho spesso nelle mie giornate), Mi chiedo, cioè, che cosa resterà, dopo la morte, dei sogni e delle emozioni che mi hanno fatto amare la vita? Pensavo di poter uscire da questo incubo perché ero convinto che la nostra vita dovesse avere un senso e che il senso dovesse arrivare da fuori: proprio guardando le stelle, pensando all’universo o pregando, senza conforto. Ma questo segno di un senso, che cercavo così, non mi arrivava mai e così mi sentivo solo e perduto. Non capivo che quello che cercavo non poteva arrivarmi da fuori. Non capivo che il senso dovevamo darlo noi (grazie Marco Guzzi). Da questa riflessione ho capito che il bisogno dell’infinito, del cielo stellato, degli abbandoni alla natura, nascevano nel mio animo perché erano già in me, come credo in ognuno di noi, per l’indissolubile legame che ci lega all’universo. E’ iniziato un percorso che oggi è verso l’ignoto. Grazie ancora, Marco, per l’aiuto che trovo nelle tue parole.