Si sente, ovunque, un’aria pesante. Le notizie sono sempre terribili, spesso dal vago sapore esiziale, ed è sorprendente come esse vengano continuamente mescolate con le sciocchezze: la strage in quel tal posto e il dramma della siccità vengono affiancati dalla faccia sorridente dell’ultima “influencer” che ti propone la vacuità più assoluta. L’informazione è, così, schizofrenica, e il risultato è che alla fine sei disorientato per cui, non essendo, o non sentendoti più capace di affrontare questa realtà apparentemente incomprensibile, ti rifugi nell’evasione fine a se stessa.
Ecco che, secondo il “Quadrante di Eisenhower”, sei finito nel riquadro delle cose “non urgenti e non importanti”.
Perché il “Quadrante di Eisenhower”? Che cos’è?
Questo strumento mi è venuto in mente riflettendo sulla difficoltà che spesso abbiamo nel proporre la meditazione come via indispensabile per cominciare a rifondare la nostra vita a partire da noi stessi. Chi fa un cammino da anni, come tutti i praticanti sanno, conosce questa via e la pratica (se no, che “praticante” è?). Quindi, chiunque faccia parte dei gruppi, o comunque abbia un’esperienza di meditazione o ricerca del sé (chiamiamola così per intenderci) dovrebbe essere in sintonia con questo concetto. Ma tutti noi sappiamo che, nel momento in cui si affronta un discorso con la maggior parte delle persone che frequentiamo, e se questo discorso va un po’ oltre le banalità (e io più invecchio e più cerco di fare SOLO quel tipo di discorsi), quando esponiamo i problemi che ci circondano e rischiano di sovrastare e travolgere la speranza e il senso della nostra vita, ci viene spesso posta la domanda: “E allora? Tu che faresti?”
Di fronte a questa domanda è ovvio ribadire che la prima cosa da “fare” è proprio questa: esporre, guardare, tentare di scoprire la realtà com’è, senza raccontarsi balle. Ciò è sicuramente la prima cosa da fare. Ma sappiamo che tutto ciò non basta, perché, a quel punto, facilmente si viene etichettati come “sognatori” o “complottisti”, senza che nessuno sembri accorgersi che, o sogniamo in quel modo, o ci spariamo un colpo in testa…
Se, allora, in uno slancio di fiducia, proponiamo la “meditazione” e il “lavoro su se stessi”, ecco che diventa molto facile essere ancor più fraintesi, presi per matti. Siamo “strani”, il che potrebbe importarci ben poco (lo siamo di sicuro, in un certo senso…), ma la cosa frustrante è che il nostro discorso viene banalizzato, non viene accolto. È inutile.
Poco male, potremmo dire, la prossima pizza la mangio con qualcun altro. È del tutto evidente che nessuno ha intenzione di predicare là dove non c’è speranza, tutti noi abbiamo esperienza di perle e di porci e nessuno (ci mancherebbe!) può permettersi di salire in cattedra senza conoscere le faticosissime realtà delle persone che incontriamo ogni giorno.
Ma non è questione di pizze. È il desiderio di essere concreti, che spesso logora. Essere considerati strani va bene, ma non riuscire a trasmettere il frutto di una esperienza può logorare.
Allora, mi è venuto in mente il “Quadrante di Eisenhower”.
Come tutti sanno, Eisenhower fu il generale che organizzò lo sbarco in Normandia. Tale vicenda, per quanto raccontata in mille modi e con varie interpretazioni, rende chiaro e condivisibile un fatto che nessuno può negare: quello sbarco era una cosa terribilmente “pratica”, e Eisenhower non è conosciuto dalla storia per la sua spiritualità, a quanto ne so.
Sappiamo che le forze USA erano preponderanti. Ma sappiamo anche che fu la loro organizzazione a vincere, assieme al numero; avevano procedure su tutto, avevano immaginato ogni piano alternativo e andarono fino in fondo.
Cosa c’entra con noi?
Il fatto è che, secondo me, in questa vicenda esiste un appiglio che può riguardarci.
Si dice che il famoso generale, per affrontare quel gravoso compito, avesse creato una modalità organizzativa che sarebbe servita a priorizzare le cose da fare per arrivare al risultato, senza dimenticare nulla: il c.d. “Quadrante di Eisenhower”.
Nella formazione manageriale, il “Quadrante di Eisenhower” è abbastanza popolare perché pretende di dividere le cose da fare in quattro gruppi:
- Cose importanti e urgenti (I + U)
- Cose importanti ma non urgenti (I + NU)
- Cose non importanti ma urgenti (NI + U)
- Cose non importanti e non urgenti (NI + NU)
Solitamente, ciascuno viene invitato a fare un elenco delle sue attività per capire cosa posizionare in ciascun quadrante, e vengono proposti vari esempi. Ma andrei oltre, invitando tuttavia ciascuno a provare; può essere interessante.
Cos’è che ci può riguardare? Il fatto che, portando avanti il ragionamento, vediamo come rimandare continuamente le cose I + NU (importanti ma non urgenti), fa sì che finiremo con l’essere travolti dall’urgenza, sia quella importante che no. Il problema è che, strutturalmente, se una cosa la puoi rimandare, tenderai a rimandarla, e continuerai a rimandarla.
Il risultato è che, se riportiamo questo a una realtà aziendale (o a uno sbarco in Normandia…) il fatto di rimandare cose che sono, sì importanti, ma che sei convinto di poter fare anche domani, tale atteggiamento ci porta a essere sempre più vittima dalle urgenze, sempre più stanchi, e nella stanchezza ci rivolgeremo sempre più alle cose NU + NI (non urgenti e non importanti: Netflix!); a quel punto si innesca un circolo vizioso e non sapremo più come fare, con relativo sconforto e senso di inadeguatezza. Ciò farà sì che un’azienda, ma potremmo dire, una famiglia, una persona, uno stato… finirà per essere sempre travolto dalle emergenze, mentre la tentazione di finire sul vacuo, sulla “fiction”, sul nulla, sarà sempre più forte. Il Titanic affonda e noi suoniamo.
Ebbene, qual è la soluzione?
Solitamente, tra le cose che finivano tra le I + NU c’era lo studio e la formazione personale. In campo manageriale è ovvio che, se uno pretende di gestire un ramo d’azienda senza tenersi aggiornato e senza studiare, dura poco. Questo ci riguarda.
Le cose Importanti, ma Non Urgenti, vanno programmate. Quando un titolo di studio ce l’hai, se vuoi continuare a studiare devi importelo, se no, non lo fai.
Se ritieni che nella tua vita qualcosa vada cambiato, devi lavorare sul cambiamento, cioè destinargli del tempo: è questo atto di volontà che ci salva, se no non andiamo avanti e veniamo travolti, come lo stato, come il mondo, come l’umore generale, a me sembra.
Ritengo quindi che l’esempio del “quadrante” possa costituire un argomento valido. Quando ci chiedono: “E allora? Tu che faresti?” potremmo parlare della necessità di dedicare uno spazio a ciò che, pur essendo importante, non è urgente, a ciò che rimandiamo sempre, che potrebbe essere, da un punto di vista, proprio il tempo da dedicare alla nostra cura personale. Se non creiamo uno spazio, nella nostra vita, al quadrante I + NU, finiremo con il vivere la vita travolti dalle emergenze.
Ed è lì che troviamo la necessità di spengere la televisione o il tablet, mettiamo da parte il cellulare, smettiamo di ascoltare il frastuono che vuole travolgerci.
Ciò non è facile, potremmo sentirci dire. Ma, intanto, la veste di questa proposta avrebbe un aspetto pratico, a me sembra, ben diverso dal limitarsi a proporre la via della meditazione e del lavoro su se stessi. Cioè, e in prima battuta, potremmo invitare il mondo a lavorare sul quadrante I + NU.
Cosa non è urgente, ma maledettamente importante?
Cos’è che rimandiamo, rimandiamo sempre, ma forse potrebbe cambiare la nostra vita?
Se stiamo male e vogliamo cambiare, siamo certi che non ci siano davvero vie di uscita? E non potrebbe essere, forse, tentare di rispondere a questa semplice domanda, un valido motivo cui dedicare qualcosa come trenta minuti al giorno? Trenta minuti? Quanto tempo rimango seduto sul cesso (scusate?) solo perché mi porto dietro il cellulare e mi guardo Facebook?
Si potrebbe obiettare che, ormai, ciò che era I + NU è diventato tutto urgente; viviamo in emergenza, potremmo dire, quindi siamo tutti impegnati a tappare le falle: decidere chi votare quindi ascoltare tutti i programmi elettorali, cercare lavoro, chiedersi come fare a pagare le bollette il prossimo inverno, o vivere nella certezza che tanto moriremo tutti (quindi, Netflix).
Balle. Tutte balle. Il quadrante delle cose importanti è sempre lì. Forse, individuarlo e cercare di capire come riempirlo, magari proprio scrivendo, potrebbe essere il primo passo verso la libertà, un primo passo condivisibile con tutti.
E, vorrei concludere: Eisenhower doveva limitarsi a sbarcare e vincere Hitler. Noi quali obiettivi abbiamo?
Più alti, direi. Meno sanguinosi e più entusiasmanti.
Lunga riflessione ma illuminante, non conoscevo il quadrante di Eisenhower ma lo terro presente. Grazie!
Non sapevo del quadrante ma sembra essere un ottimo spunto. Grazie
Molto esaustivo questo tuo mini saggio, Fabio. E potrebbe diventare anche persuasivo per i più coriacei.
Ma lo sappiamo bene come funziona la psiche umana- e questo grazie anche alla “scuola” che frequentiamo-nelle sue oscillazioni quotidiane.
Tanto che per acquisire e rendere stabile una pratica dobbiamo combattere con i suoi capricci (psiche) e rinnovare tutte le volte l’impegno perché diventi costante.
Convincere gli altri è assai piu arduo. Dici bene: fare queste proposte comporta essere guardati come persone strane.
Ti ringrazio per l’esempio molto incisivo che ci hai portato.
Anche io non conoscevo il “quadrante di Heisenhower”.
C’è sempre da imparare e da conoscere.
Grazie Fabio
La rivoluzione inizia con il coraggio di dare tempo a ciò che abbiamo fino a quel momento ritenuto “Importante ma Non Urgente”, anche quando tutto e tutti intorno a noi (e dentro) vorrebbero convincerci che “stiamo perdendo tempo”. Dimentichiamo che “Il tempo è compiuto” e che l’unica cosa che siamo chiamati a fare è “convertirci” (la rivoluzione). Tutte le nostre attività dovrebbero scaturire da questa ferma decisione.
“Darsi pace” mi sostiene in questo cammino quando mi sento sola e mi sembra impossibile andare avanti. Sì, me ne rendo conto: nel mio personale “Quadrante di Eisenhower” la collocazione delle attività quotidiane è stata modificata con serena determinazione.
Importante….non urgente…fondamentale per conoscermi senza la fuga del ” non urgente “.
Mi fermo.Medito.Grazie
Credo che sia bellissimo identificare la “non urgenza” come la figura di un Dio che ci attende sereno, senza metterci fretta. Ove tutto sembra urgente Lui mi appare lì, immoto, sorridente, paziente e allegro. Non è mai troppo tardi vuol dire anche, forse, che non ci sono scuse; Lui sarà sempre lì e noi possiamo scegliere in ogni momento. È un po’ come il perdono… se ci perdona comunque vuol dire che ce la possiamo fare, non che ci possiamo permettere di ignorarlo.
Se ci attende sempre, mi chiedo, perché aspettare?
Grazie a tutti.
Grazie Fabio. Tutto tremendamente vero.
Così come la domanda finale: “noi quali obiettivi abbiamo?”. Penso che in dp condividiamo la risposta a questa domanda.
Proprio per non restare “eterne promesse” e rivoluzionari a parole possiamo e dobbiamo impegnarci concretamente, pur sapendo che il punto di partenza è comunque accoglierci.
Un abbraccio forte a te.
Grazie Fabio, bellissimo post che aiuta anche me, è ottima la tua risposta in conclusione. Grazie ancora
Grazie, per questa riflessione.
Molto vero.
Tutto è un problema di scelta, qui di esercizio della lìbertà.
Grazie Fabio.