Il Gandhi italiano. Così era soprannominato Aldo Capitini, filosofo ed educatore perugino, primo pensatore politico, in Italia, a richiamarsi esplicitamente alla tradizione orientale della Nonviolenza. La sua particolare vocazione verso una politica della pace, in senso ampio, fu subito messa a dura prova dalle contingenze storiche del suo tempo, che lo portarono ad essere un fervido oppositore delle istituzioni ecclesiastiche (impegnate a siglare i famigerati Patti Lateranensi) e, ovviamente, del Partito Nazionale Fascista. A distanza di cinquantaquattro anni dalla morte, avvenuta il 19 ottobre del 1968, possiamo dire che la sua riflessione filosofica e il suo estro politico restano tutt’oggi un patrimonio di grandissima attualità.
Il principio della Nonviolenza, come prassi di lotta politica individuale e collettiva, è il centro di tutta l’opera intellettuale e di testimonianza fisica del Professor Capitini. Disobbedienza civile, obiezione di coscienza, resistenza pacifica: sono tutti mezzi pratici (Tecniche della nonviolenza) che vanno sviluppati per raggiungere quel fine ultimo, magari provvisorio, che risponde al nome di giustizia terrena. Infatti secondo il suo pensiero, ancora oggi lungimirante e rivoluzionario, ciò che da sempre ha caratterizzato l’essenza dei rapporti politici, in generale, è propriamente la violenza (espressione, diremmo noi, di un io ego-centrato). Essa si esprime a volte sotto forma di guerra fisica, come nel caso delle guerre mondiali; a volte, più modestamente, divampa sotto forma di conflitto ideologico e sociale. In entrambi i casi però, a promuovere la violenza nella storia – sempre secondo l’analisi del filosofo – è l’idea perniciosa di una schiavitù della Necessità. Schiavitù che, per l’appunto, l’atto non violento confuta e contraddice nell’immediato.
In tal senso, l’atteggiamento di Capitini si può dire che nasce principalmente da un rifiuto drastico di ogni motivo di quietismo, di pessimismo, di rassegnazione o, anche, di facile irenismo. La sua carica dirompente risiede nella fiducia che egli ha rispetto all’intima religiosità che abita ogni essere umano. È parlando all’umano in quanto spirito vivente che costui non si sentirà più chiuso e inerme di fronte alla potenza di fuoco dell’oppressore, ma comincerà ad aprirsi e a muoversi liberamente, sicuro di poterlo neutralizzare grazie alla fede salda in quel principio luminoso che lui chiamava: unità amore. Ecco perché non è vero che siccome il mondo è sempre andato dietro alla violenza e alla guerra, quasi fosse mosso da un istinto inerziale, allora non è possibile operare alcun cambio di rotta, alcuna ri-voluzione. L’atto nonviolento è lì, sotto gli occhi di tutti, a riprova del contrario.
È noto a tutti che il Bapu spirituale Mahatma Gandhi fu il primo uomo politico del mondo contemporaneo che parlò di “azione nonviolenta” (ahimṣā), in risposta all’efferatezza del colonialismo inglese nella sua terra d’origine: l’India. Egli, ispirandosi profondamente alle parole del Vangelo, fondò il primo Movimento nonviolento che, a giudicare dalla rilevanza che ebbe e che ha tuttora nella storia politica mondiale, rimane senz’altro un esempio di azione rivoluzionaria pacifica che – mutatis mutandis – può essere sempre percorribile. Infatti è proprio grazie al fascino della “resistenza”, della “forza” e della “fermezza nella verità” (Satyagraha) che Aldo Capitini seppe tradurre quel suo “utopismo religioso” – come lo definì successivamente Gianni Vattimo – in concreta azione di risveglio e di trasformazione della realtà.
Il 24 settembre del 1961, qualche anno prima della sua scomparsa, Capitini organizzò la celebre Marcia Perugia-Assisi “per la pace e fratellanza tra i popoli”. Un’iniziativa questa che suscitò grande mobilitazione, ma che appare ai nostri giorni come qualcosa di tristemente unico e di difficile ripresentazione (nonostante ci siano state nel tempo alcune ricorrenze). Ma lo scollamento fra il mondo politico, quello culturale e il ceto popolare (sempre più immerso negli abissi di un mondo illusorio e intangibile qual è quello del sistema digitale), è una delle cause principali della non riuscita organizzativa di una risposta commovente e comune che fu appunto la Marcia non violenta per la pace. Oggi purtroppo prevale il silenzio generale, la superficialità, l’astensionismo (giustificato?) che si unisce al menefreghismo di una classe dirigente allo sbando e priva del ben che minimo amor di patria. E, intanto, nel susseguirsi di governi mediocri, l’impotenza politica e culturale dilaga.
Perciò ho voluto commemorare la preziosa figura di Aldo Capitini, perché ritengo che il suo insegnamento sia di vitale importanza in questa precisa fase storica. La singolarità diabolica del nostro tempo si esprime innanzitutto attraverso una lenta accettazione della “normale” condizione di sudditanza e di terrore permanente, che questo assetto di mondo bellico e orwelliano vorrebbe mantenere in vita il più a lungo possibile. Il ricatto neoliberista, implicito nelle dinamiche storiche e politiche post Muro di Berlino, è sempre lo stesso, ben sintetizzato (ovviamente ante litteram) da Freud ne Il disagio della civiltà: “L’uomo civile ha barattato una parte della sua possibilità di felicità per un po’ di sicurezza”. Dove per “civile” oggi si deve intendere: occidentale, benestante, neocapitalista, egoista e iperconsumista. Ma è veramente così? E se è così: è possibile vivere rifiutando l’idea del “baratto”? E in che modo?
L’interrogativo sulla veridicità e sull’efficacia dell’azione politica nonviolenta, al di là del rischio moralistico e doveristico insito nel soggetto che la compie, è un’interrogativo che rimane comunque culturalmente aperto. “La Nonviolenza sollecita sempre nuove aperture”, amava ribadire il Professore umbro. D’altronde l’azione reattivo-istintiva è la reazione più facile da immaginare, quando ci troviamo in una condizione di chiusura difensiva. In quel momento ciò che vogliamo fare è solamente esplodere verso l’esterno. O verso l’interno (implodere). Difficile è, invece, non assecondare queste logiche provocatorie e autodistruttive, siano essa interne o esterne alla persona, ed evitare così qualsiasi replica di tipo vendicativo. Anche perché tale replica non farebbe altro che riprodurre per filo e per segno l’antica legge del taglione: occhio per occhio e dente per dente. Legge che, come sappiamo, viene abolita una volta per tutte dalle parole del Cristo Gesù: “porgi l’altra guancia” (Mt 5,38-48). È, infatti, proprio Gesù di Nazareth a mettere la parola fine alla reazione a catena della morte-violenza, insegnandoci che esiste una terza via oltre a quella del male e della sottomissione, ovvero: la via della pace, del perdono, della misericordia e della conversione (metanoia). Insegnamento che, a quanto pare, fatichiamo molto a incarnare.
Concluderei riportando qui un breve passaggio di Capitini tratto da Elementi di un’esperienza religiosa (1937), dove, a mio modesto parere, emerge lucidamente lo spirito aperto e davvero singolare di quest’uomo dal forte impegno civile e spirituale. Il coraggio politico delle azioni che promosse, e che lo portarono a subire più volte la prepotenza del potere costituito, è il frutto di una concezione spiritualmente elevata sia dell’antropologia culturale che dell’orizzonte psico-fisico comunitario. Perciò sarebbe il caso oggi di rileggerlo attentamente, senza pregiudizi ideologici né aspettative individuali, ma semplicemente assaporando il linguaggio di un pensatore che adorava immensamente l’umanità tutta con i suoi pregi e le sue contraddizioni:
“Io non sono solo, non sono il solo individuo, altri furono prima di me, altri vi sono ed altri verranno: individui esistenti concretamente, pensanti e viventi con una incompatibile somiglianza a me”. […]
“Nonmenzogna e nonuccisione attuano un’unità dalla radice, un’unità concreta che non lascia nulla fuori di sé. Con ciò non vado contro la concezione etica e politica, non misconosco la buona fede di ogni altro atteggiamento morale; ma voglio cogliere l’altro, non scivolare su di lui, voglio viverlo in modo intero, non come urto di atomi o come contratto, ma come mia persuasione, togliendo nell’intimo ogni residuo di separazione che io possa scorgere”. […]
“Così si scende nell’intimo della vita, si possiede un mondo di esseri indipendenti eppure non distanti, si celebra la vicinanza sottraendosi a considerare come assolute le separazioni nello spazio e nel tempo. Vivo un mondo degli spiriti concreto, libero, affettuoso, di qua dalle azioni che singolarmente esplichiamo”. […]
“Dio sorregge infiniti altri; e il mio isolamento scompare, l’Assoluto non è la mia solitudine, ma la verità che opera e stringe dall’intimo tutti. Questa è l’apertura infinita dell’anima”.
Riflessione quanto mai attuale. Oggi un’anime come quella di Capitini, che non conoscevo e ringrazio Davide per avermela fatta scoprire, avrebbe sofferto in modo indicibile. La violenza ha sempre fatto parte dell’esperienza umana. Da alcuni anni sta dilagando, attraverso guerre sparse nel mondo, ma più subdolamente attraverso i mezzi di comunicazione. Se la violenza sta ad indicare un’“azione volontaria, esercitata da un soggetto su un altro, in modo da determinarlo ad agire contro la sua volontà” ecco che possiamo riconoscere che la pubblicità non richiesta rientra perfettamente in tale definizione. Ogniqualvolta si sceglie di focalizzare l’attenzione su un video o un brano musicale, siamo costretti ad ascoltare réclame che non scegliamo, senza poter interrompere tale ingerenza sulla nostra scelta per almeno qualche secondo. Ogni scelta di ascolto risulta possibile cioè solo se subordinata a un obbligo di ascolto. Si tratta di una violenza piccola, non plateale e nascosta che subiamo senza troppe lamentele. Io sento un senso di “abuso”, al quale ci stiamo inconsapevolmente abituando mentre mina alla base le nostre relazioni.
Desideri anche io ringraziare Davide per avermi messo in contatto con Capitini, che anche io non conoscevo. Capisco l’importanza di percorrere il pensiero di persone come lui, in questa travagliata epoca.
Più in generale in questi tempi bellici, dove tutti si scoprono desiderosi di “parteggiare” per questo o quello e sentono l’invio di strumenti di morte come “bello e giusto”, senza mai una domanda sul modello di civiltà al collasso – anche immediatamente fisico – che stiamo ancora sostenendo (a nostro danno), in questi tempi Darsi Pace è tra le poche realtà che veicolano instancabilmente un pensiero diverso e di ragionata speranza.
Per questo sono sempre più affezionato e grato.
Desidero anche riallacciarmi al commento di Claudio, anche io sento questa pubblicità onnipresente come una violenza. Ma di più, mi pare un subdolo ma perentorio richiamo ad un “sistema valoriale” distorto e suicidario, che ci viene veicolata praticamente ogni minuto (mi viene in mente qualche epico passaggio del film “Arancia Meccanica”, con la differenza che ora la violenza psicologica è molto più subdola e “soft”).
Mi sembra che non sia tanto nel decidere se comprare ciò che viene proposto, sia una automobile o un detersivo: è infatti – come Marco Guzzi spesso rileva – un ribadire perentoriamente un modello di mondo, una gerarchia di valori, dove per esempio l’uomo è un attrezzo meccanico e l’universo è un sistema di forze competitive e non un ambito relazionale.
Ogni pubblicità veicola un modello cosmologico perverso, e questo modello ci viene ricordato decine di volte al giorno, casomai avessimo la “tentazione” di indirizzare i nostri pensieri verso ipotesi di cosmo e di donna, di uomo, più “sani” e gravidi di speranza. E’ un “ricondizionamento psicologico” attivo 24/7 in pratica.
Ci vuole veramente un lavoro costante, ed è bello che questo laboratorio sia aperto e inclusivo. A dispetto di tutto. Grazie a Marco e Paola, a formatori e formatrici, ai gruppi culturali, alle donne e agli uomini che prestano qui la loro opera, costruendo speranza.
Grazie Claudio e grazie Marco per l’attenta lettura e per gli spunti dati. Sono contento che questo mio articolo-ricordo abbia mosso riflessioni come le vostre sulla violenza e sulla menzogna pubblicitaria martellante. Non mi stupisce che la pubblicità regni sovrana in questo mondo, essendo noi fondamentalmente immersi, da tempo, in una “società dello spettacolo” (Debord) che fa della malattia, della guerra e della crisi sociale uno show permanente. Lottiamo “pacifica-mente”, e con estrema forza, per rivoluzionare anche il linguaggio della comunicazione web e tele.
Un caro saluto, Davide