Seconda parte
Lo scritto numero 4 pubblicato su questo sito il 13 Febbraio 2020, entro il progetto di studio “L’Universo delle Psicoterapie” del gruppo di creatività culturale, sotto la categoria AttraversaMenti – psicoterapie e spiritualità, introduceva un tema di grande rilievo:
sono ancora attuali le psicoterapie e le psicoanalisi oggi,
quelle presenti nel mercato delle offerte circa le pluri-tecniche applicate all’uomo contemporaneo?
L’intento dello studio che andiamo ormai conducendo è sempre quello di rapportarci al tempo presente lungo due direttrici, quella della denuncia di ciò che va morendo in questa epoca di transizione antropologica (Guzzi, 2011), che è in via di dissoluzione come nel caso delle forme dell’aiuto psicoterapico o psicoanalitico perchè non più rispondenti alla domanda di senso dell’uomo comune inscritta nei drammi della vita ordinaria mercantilistica e tecnocratica, globalizzata, e quella dell’annuncio di ciò che va emergendo nelle trame dei bisogni delle persone di diverso ceto sociale che nel frattempo incontriamo nei dialoghi, negli aiuti psicologici, nonché dalle esperienze soggettive positive riferite da queste circa gli esiti delle cure psicologiche e di metodi innovativi che hanno sperimentato in contesti diversi dagli studi professionali psicoterapici-psicanalitici.
In tal senso, il gruppo AttraversaMenti si è proposto di revisionare i modelli o i metodi dell’aiuto psicologico presenti nel mercato delle psicoterapie o delle psicanalisi, al fine di avere una visione chiara e sistematica dei criteri che le ispirano, i presupposti ideologici che le fondano insieme alle antropologie sottese a ciascuna di esse (scritto n. 1,2,3,4, www.darsi pace.it, AttraversaMenti)
In questi 2 anni trascorsi il mondo ha affrontato la pandemia da covid con tutti gli stravolgimenti che conosciamo, e da più parti si è avanzata l’idea che questa sia stata non solo una sventura, una frattura, ma anche una rivelazione di limiti e possibilità:
l’occasione per un divenire inedito anziché per un divenire inerziale, (Giaccardi – Magatti, 2020).
Improvvisamente l’individualismo si è rivelato per quello che è: un’astrazione. Siamo stati costretti a pensare in termini di << noi >> anziché di <<io>>. Ci siamo più da vicino confrontati con la morte, con la vulnerabilità delle nostre esistenze, richiamati a trasformare tali condizioni verso una potenziale rigenerazione della libertà e (come vediamo in questo periodo di avvio dell’anno e per esempio delle scuole, dove si è in presenza senza mascherine) un gran desiderio di esprimerci con tutto il corpo, incontrarci per condividere le nostre vite, rinsaldare i legami e stare più insieme. La possibilità che la fine del mondo fosse la fine di un mondo, e che fosse possibile l’inizio di uno nuovo, ha generato in tutti noi tanta speranza: …” cosa possiamo imparare da quanto è accaduto? Cosa dobbiamo abbandonare dei nostri modi di vivere” (Giaccardi, Magatti,2020), e che cosa conservare e sviluppare? “Come cambiare, in modo da rendere questo momento l’occasione per una rigenerazione anziché un immiserimento? (Ibid).
Tuttavia pare che si stia, però, già affievolendo questa speranza, per tornare alle abitudini di sempre. Senza parlare della guerra in Europa che è seguita alla pandemia e che stiamo vivendo con tanta angoscia.
Penso che la psicologia come disciplina possa fare molto in questo tempo estremo, come se non fosse più possibile affrontare gli eventi apocalittici di questo XXI secolo senza una più chiara conoscenza di se stessi, in cui mettere a fuoco i blocchi interiori, l’impotenza che attanaglia quando si persevera nell’utilizzo delle stesse categorie mentali del rapportarsi al mondo che prescrive modelli, mode e costumi determinati, o quando il rancore e le paure portano ognuno a chiudersi, isolarsi e sopravvivere del poco che si riesce a ottenere. In questa direzione non può emergere una figura di uomo nuovo, uomo spirituale, ma il rinforzarsi di categorie egoistiche e di solitudine senza la creatività necessaria al miglioramento della propria condizione e della convivenza umana.
La psicologia può offrire dei metodi utili di liberazione personale, a condizione che si interpreti bene il suo ruolo, accademico, oltre che quello soprattutto professionistico nella sua declinazione clinica, operativa, e che si chiariscano quali metodologie risultano semplici e funzionali allo scopo senza giri di parole o l’uso di astrazioni sul funzionamento della mente.
E noi siamo qui proprio per proporre una sintesi della sintesi su definizioni rintracciabili da ogni parte su cosa significhi “psicologia clinica”, “psicoterapia”, “la parola “psicologico”, insieme ai correlati di cura, guarigione mentale, terapia, analisi, ecc., interessati a focalizzare ciò che si va consumando delle tradizioni culturali, scientifiche o delle teorie emerse negli ultimi 30 anni su questi concetti, e cosa va emergendo o venendo alla luce come maggiore verità.
Innanzitutto,
ancora oggi,
non esiste un accordo di vedute definitive sulla psicologia clinica come disciplina e metodo per l’aiuto alla persona o alle organizzazioni sociali,
e quindi sulla psicoterapia. La psicoterapia dovrebbe essere una competenza non isolata, ridotta all’utilizzo di tecniche, ma rientrare come disciplina nella psicologia clinica. Parlo di psicologia clinica, perche nelle Università non si insegnano le psicoterapie e né le psicoanalisi, ma le discipline delle psicologie ad ampio spettro e cliniche dell’aiuto.
Come abbiamo detto nella prima parte dello scritto, nel numero 4, il mondo accademico e le scuole di specializzazione in psicoterapia (circa 400), tuttavia, legittimate da una legge dello stato a proporre titoli privatistici ma equipollenti alle specializzazioni statali, fuori dalle Università, si possono dividere in almeno 2 categorie,
quelle che propongono Modelli di intervento basati sulla riduzione del deficit, e
quelle che propongono Modelli fondati sullo sviluppo della persona che chiede aiuto.
Distinzione che si commenta da sola, ma che impone anche una chiarificazione:
I modelli della riduzione o cura del deficit,
°fondano l’intervento su una presunta normalità che deve funzionare da “norma”, a cui riportare la persona;
° l’intervento è presuntuosamente rivolto all’individuo (come nel caso del medico che cura solo un organismo o l’organo malato per riportarlo all’ortos, in generale diciamo),
° partendo da una diagnosi psicologica che spesso si confonde con i criteri definitori della psichiatria, fatta di linguaggi e codici definitori, spesso obsoleti, racchiusi nel manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM)
Come ben si può notare, qui siamo molto lontani dalla proposta per una Nuova Umanità e su una apertura a ciò che chiamiamo Nascente nel nostro cammino in Darsi Pace, quando intendiamo l’IO come un’entità plastica, sempre disponibile a modificarsi o modularsi secondo l’azione dello Spirito che può lavorare su di sé. Cioè, le classificazioni nosografiche non fanno giustizia all’uomo e alla umanità, proponendo adattamenti e limitazione all’espressione piena di sé.
I modelli psicoterapici che promuovono lo sviluppo, invece, hanno l’obiettivo di:
° utilizzare le risorse individuali di ciascuno in rapporto alla comunità in cui è inserito;
° non stabilire un punto prefissato di sviluppo, ma il tutto si gioca sul rapporto tra emozioni, pensieri e ascolto riflessivo-pensato;
° ripensare il rapporto tra la persona ed il suo ambiente (contesto), se riesce oppure no a realizzare il suo obiettivo o compito pro-sociale. In questo si inscrive anche tutta l’azione politica e lavorativa dell’impegno dell’individuo nel mondo;
° di intendere lo sviluppo quale modo particolare di ascoltare e pensare le emozioni o i propri vissuti, verso dei compiti da realizzare entro la convivenza umana (con un primato della soggettività),
° per cui,
l’intervento psicologico clinico così fondato non cura, non medica, non guarisce niente (entro l’ottica medica riduzionista)
ma propone essenzialmente, entro una crescita potenziale,
un accordo o contrattazione tra le persone attorno ad un progetto di sviluppo (Carli, 2003),
e di crescita integrale da realizzare insieme tra le persone in ogni tipo di contesto in cui si è inseriti (famiglia, azienda, scuola, genitorialità, lavoro, partito politico, ecc.): un progetto in cui condividere ruoli, beni da scambiare, competenze, responsabilità e qualità di ciascuno (che noi in DP chiamiamo talenti o qualità spirituali) che arricchiscono la vita comune, … per la trasformazione del mondo.
Non si tratta di non vedere le sofferenze o i sintomi di disagio individuali spesso anche molto dolorosi, ma solo di interpretarli alla luce di un cambiamento da attuare, di un passaggio da effettuare da ciò che si è consolidata come ferita dell’IO Asfittico verso un IO Libero di esprimersi e realizzarsi pienamente, anche insieme agli altri. E, in ogni caso, senza prescrivere una cura psicanalitica solo intrapsichica e disincarnata da una vita a volte impossibile nel mondo.
A questo punto, data la presenza di alternative epistemologiche e metodologiche tra tradizioni accademiche, lobby culturali e di potere ideologico entro la disciplina di base della psicologia clinica, affermiamo senza ombra di dubbio che
non esiste neanche una psicologia come scienza,
una disciplina univoca a cui riferirsi, o una psicologia clinica con delle prassi ben definite che possa fondare una professione,
ma una
disciplina che si riferisce a psicologi,
tanto articolata (spesso confusiva) per quanto sono diversi e innumerevoli gli psicologi stessi, tanti insegnamenti frammentari per quante centinaia sono gli accademici presenti nelle Università, che non concordano il più delle volte neanche sull’oggetto univoco che studiano, cioè l’uomo. Magari si dirà che ciò è anche un bene, ma …, ci torniamo sul punto.
A grandi linee, senza generalizzare come rischio, si può anche dire che entro il primo modello, quello della riduzione del deficit, si ritrovano tutti gli approcci delle psicoterapie e psicoanalisi del XX secolo (nella maggior parte);
nel modello dello sviluppo, si ritrovano tutte quelle correnti o teorie, invece, autori e metodologie che hanno una idea di cura o guarigione completamente dissonante da quella che in un’ottica positivistica o scientista vuole proporre l’ordine, il controllo, la sanità (e non la salute), la cura, … il conformismo.
Il punto è che la psicologia come scienza nel novecento, e la psicanalisi da Freud in poi si sono proposte proprio come una distrazione, un rinnegamento delle radici e della materia misteriosa di cui ci si era sempre occupati (come i filosofi e i grandi maestri dello spirito insegnano) nei secoli e fino alla fine dell’‘800, ma su questo torneremo nel prossimo articolo a breve.
Conformismo e Sviluppo (noi in DP diremmo trans-formazione), allora, sono le due direzioni possibili degli obiettivi per un intervento di autoconsapevolezza, consulenza psicologica o tecnica psicoterapica.
Dello Sviluppo dobbiamo dire di più.
Lo sviluppo è un processo nel quale prevalgono potenzialità in stato critico.
Se affermo che ci sia una normalità da raggiungere, può sembrare ciò rasserenante, ma al contempo limito le possibilità creative della persona.
Se assumo lo sviluppo come criterio, devo pormi più domande: dove andare, chi definisce questa direzione, chi la legittima, … l’importante non è raggiungere l’esito finale previsto, ma acquisire una competenza a direzionare un processo, creativo. Non basterà avere teorie fantasiose sull’intrapsichico, ma saranno necessarie ipotesi anche sul rapporto che posso intrattenere con il contesto-mondo, dopo che ho curato le mie ferite, contesto che non posso dare per scontato perche sempre mi interroga entro un rapporto tra ciò che porto nel mio mondo psichico interno e il contesto in cui vivo e agisco. L’esito non è prevedibile, diciamo. L’attenzione, nel caso dello sviluppo, si sposta dall’esito (normativo) al processo.
Questo è un buon motivo per proporre un cammino di autoconoscimento o di analisi del mondo intrapsichico interno, ma al contempo per capire quali trasformazioni di sé e del mondo attuare.
Con Attraversamenti vorremmo proporre metodologie di rinnovo delle relazioni di aiuto tra il consulente o lo specialista e la persona che chiede aiuto, non arroccandosi su certezze di una salute solo immaginata ideale, ma un accompagnamento all’indagine delle relazioni tra gli umani per capirne le direzioni o i blocchi evolutivi, favorendo così una disciplina al servizio della persona che, poi, è sempre un mistero (Imoda, 1993), in cui sono racchiuse storie di drammi ma anche spiragli di luce, quella luce che è sempre disponibile purchè se ne faciliti la sua emersione sbarazzandosi degli impedimenti ideologici e costrittivi difensivi della reattività automatica incancrenita. E poi per accompagnarla a svolgere il proprio compito nel mondo, entro i contesti che decide di partecipare.
I criteri o le teorie a monte delle psicoterapie più varie sono a valle metodi di cura psicologica derivanti da precise visioni sull’uomo, antropologie diverse, spesso mascherate o giustificate in nome della scienza o della natura.
Queste metodologie di cura da decenni vengono attuate sia dagli specialisti del campo, sia addirittura da molti cammini di fede cristiana contemporanei che si sono votati anch’essi all’analisi psicologica in quanto componente irrinunciabile della trasformazione personale, pur senza riferimento a solide basi scientifiche o antropologiche rispetto alle teorie che la ispirano (vd. gli autori prestigiosi che le hanno inventate e le credenze da cui sono ispirati), appoggiandosi ora a questo autore di spicco, domani a quell’altro, in una combinazione eclettica ma spesso non coerente con i principi basati né sulla Rivelazione, né tanto meno su quelli del Magistero della chiesa, compresi quegli autori che vengono inseriti in quell’area che va definendosi “Umanistica-Esistenziale (Rogers, Maslow, May, Fromm, Frankl, ecc.)”così tanto utilizzati in ambiti cattolici, ma solo perchè hanno rappresentato dagli anni ’70 in poi la cosidetta “terza forza” rispetto alle altre 2, la psicanalisi ed il comportamentismo.
Alle antropologie che hanno ispirato le teorie psicoterapiche vogliamo rivolgere nel prossimo scritto molta attenzione per chiarirle e per proporre, invece, in modo più consono, una rilettura cristiana dell’antropologia sull’uomo, da cui
far derivare i metodi o i modelli che potrebbero ri-fondare sia una teoria omnicomprensiva delle facoltà dell’uomo, sia le tecniche sulla conoscenza di sé e sulla guarigione psichica, di cui alcune sono già esistenti e coerenti, altre da rigettare completamente, altre approssimative e riduttive.
Riferimenti bibliografici
Carli, R., Paniccia, R.M., 2003, Analisi della domanda, teoria e tecnica dell’intervento in psicologia clinica., Il Mulino.
Giaccardi, C., Magatti,M., 2020, Nella fine è L’INIZIO, Il Mulino.
Guzzi, M., 2011, Dalla fine all’inizio, -saggi apocalittici-, ed. Paoline, collana Crocevia.
Imoda, F., 1993, Sviluppo umano, psicologia e mistero, ed. Dehoniane.
Caro Michele,
Grazie mille di questo interessante e complesso articolo del quale ammetto di non esser riuscito a comprendere tutto, almeno a un livello cognitivo, ma che mette in luce molti punti oscuri che la branca delle scienze psicologiche ancora mostra. D’altronde, parlo da ‘non addetto ai lavori’ ☺ E pur tuttavia, essendomi ritrovato e trovandomi ancora in questo settore, anche se dall’altra parte del campo, desidero anch’io offrire qualche mia considerazione. Da paziente psichiatrico a cui peraltro sono stati riconosciuti mille disturbi che non mi hanno mai aiutato a capire quale fosse il busillis e a superarlo, posso limitarmi a dire che il problema della psichiatria odierna è lo stesso che affligge l’intera medicina e la sua concezione attuale: mancano, al loro interno, ancora l’assunzione e integrazione di una prospettiva iniziatica. Quando infatti una persona si trova sul punto di raggiungere od oltrepassare il baratro (il nostro “punto di dolore”), quel momento diviene spesso la migliore occasione per bloccare il “viaggio” di quella persona riportandolo su, in alto, a un livello “egoico”, invece di accompagnarlo a scendere ancora più giù, laddove giacciono i gioielli delle sue vere potenzialità e il suo vero Io. Quando poi, addirittura, ci si trova GIÀ al di là dell’abisso perché magari l’anima di quella persona è stata invasa da forze “altre” (alterità sia benevole che malevole – lo sappiamo: l’inconscio può essere anche una discarica), scatta spesso la somministrazione automatica di psicofarmaci e un’etichettatura di ‘psicosi’. Personalmente ho conosciuto anime meravigliose, di una profondità e sensibilità inaudite, che si erano trovate scaraventate come al di là dell’abisso e a cui erano state tarpate le ali di una più integrale conoscenza di sé attraverso la somministrazione di medicine, che hanno rovinato la loro esistenza rendendola un inferno e un cronicario psichiatrico. La mia idea è che passerà molto tempo prima che un’ottica iniziatica venga assorbita nei processi di cura, proprio perché comunque alle spalle abbiamo appena un secolo di psicoanalisi, che alla fine non è molto. E un altro guaio, purtroppo, è dato dal fatto che neanche le attuali facoltà universitarie contemplano la chiave iniziatica; per esempio, ho una cara amica di appena 28 anni che mi riferisce di non essersi sentita aiutata nel suo percorso di studi psicologici intrapresi proprio nella speranza di superare i problemi che aveva; anzi. Lungi dall’offrire un reale sbocco o una via di uscita dai problemi, da quanto lei mi dice, i suoi studi hanno ingarbugliato la sua anima nei meandri asfittici di un Io in Conversione senza sbocco, dandole l’impressione che i suoi problemi, invece si ridursi, siano aumentati. Quanto a me e all’esperienza che ho fatto (e che continuo a fare) della psichiatria attuale, posso affermare che se ci sono persone con le quali mi sono sentito massimamente libero di esprimermi anche solo un po’ di più, queste sono proprio le anime psichiatrizzate. In conforto a tale idea mi giunge peraltro anche Alda Merini, quando, dopo la sua esperienza del manicomio, in un aforisma scrive: “Ero matta in mezzo ai matti. I matti erano matti nel profondo, alcuni molto intelligenti. Sono nate lì le mie più belle amicizie. I matti son simpatici, non come i dementi, che sono tutti fuori, nel mondo. I dementi li ho incontrati dopo, quando sono uscita!”. C’è ancora molta strada da fare, temo, per capire che le anime malate o sofferenti anelano in realtà a varcarlo quell’abisso, non ad essere di nuovo ‘normalizzate’ verso un livello animico egoico che non rende, nel profondo, felici nessuno.
Guarda, ti lascio il link ad un articolo che trovai qualche anno fa in merito al tema da te affrontato e che almeno io trovai illuminante!
https://www.virginiasalles.it/oltre-la-patologia-dellego?fdx_switcher=true
Ti ringrazio molto del tuo contributo, caro Michele, e..ti auguro buon lavoro! Un saluto affettuoso, Simone
Ciao Michele,
grazie infinite, hai toccato dei punti molto importanti: mettere a fuoco i blocchi interiori, bisogno di usare altre categorie mentali, di avere un altro pensiero, non più fondato sulle illusioni ma nella ricerca dello spirito che siamo noi. Detto questo che è importantissimo, resta una popolazione sofferente in forme di mali mentali molto seeri. Voci di comandi compulsivi a cui la persona non può più sottrarsi. Un discorso consolatorio seppur buono per quell’istante non può bastare né alla persona né ai familiari spesso sfiancati, incapaci, anziani, per poter sostenere ..ecco allora che in campo ci vuole la professionalità. Il biologo Martin Halsey ha detto che la prossima pandemia sarà la malattia mentale. Credo sia necessaria una seria formazione iniziatica per i terapeuti per poter stare difronte ad ogni disagio che si presenta. Forse bisognerà pensare a nuove case di cura, completamente diverse, colorate, gioiose, luoghi dove poter esprimere l’ arte del corpo, della musica, della pittura, del canto, della meditazione e della contemplazione utilizzando quella cristiana che ben si radica nel tessuto nostro culturale. Anche i servizi sociali dovranno diventare nostri alleati nella nuova umanità e perciò preparare scuole x offrire loro percorsipsicologici-iniziatici di secondo grado. Una rete che si possa estendere per la salvezza, per far sentire che non siamo ai margini, ma dentro un’opera creatrice…
Coraggio !
Bianca
Grazie Michele per il lavoro che puntualmente ha sottolineato il deficit di forza e di credibilità dei vari modelli psicoterapici ancora oggi in voga ed ampiamente diffusi nella nostra società occidentale.
Come psichiatra e psicoterapeuta sono convinto che la psicofarmacologia possa essere di aiuto, anzi indispensabile, quando le persone sono sofferenti in modo così invasivo che la mente, espressione del cervello, inpedisca loro di pensare in modo libero e scegliere. La psichiatria e la psicoterapia si occupano solo della mente. Per poter aiutare gli altri che comunque chiedono un aiuto sarebbe necessario chiarire in Noi cosa intendiamo per Anima e Spirito e Dio. Credo che le psicoterapie siano diventate altre credenze di cui ci dobbiamo liberare per dare spazio all’ entrare nel più profondo dell’Uomo, comprenderlo, comprenderci, ed aiutare l’ Altro. E se è vero che siamo tutti interconnessi e faciamo parte del Tutto, questo dovrebbe aiutarci a trovare nuove modalità di Comunicazione e di Aiuto
Grazie Michele per avere individuato in modo preciso i limiti della psicoterapia ed avere aperto, indirettamente la necessità di ci continuare la ricerca per contribuire a Dare il Bene a chi soffre in misura maggiore e non sà dove sbattere la testa.
Caro Simone, grazie per questa testimonianza così vera e molto concreta. Vorrei dirti che il nostro gruppo Attraversamenti vorrebbe stare proprio in quel posto “di mezzo” che tu indicavi. Starci con i mezzi attualmente a disposizione, come la pratica meditativa, il sapersi ascoltare, valutare senza inflazioni ideologiche ciò a cui siamo sospinti, inviati a fare poi nel mondo. Tutt’altro che azioni psicotiche, ma opere, opere di miglioramento delle relazioni in cui siamo implicati: famiglia, coppia, lavoro, volontariato, attività culturali o dello svago sono tutti contesti in cui stare, molto concretamente impegnati. Credo che alla psichiatria manchi un metodo di aiuto psicologico, se non quando si affida a tradurre le teorie sulla mente (cognitivisti) o quelle tradizionali (psicoanalisi) in percorsi obbligati e forse un po superati. La sfida dei tempi apocalittici (Guzzi) ci richiede di intravedere metodi di aiuto più semplici ma molto più efficaci per sapere come stare in “rapporto più unitario” tra noi esseri umani: a tal proposito, però, manca una competenza psicosociale di lettura e utilizzo di modi per capire e “iniziare” una migliore vita, un migliore modo di relazionarci e aiutarci tra noi tutti. Altro che guerre, affari economici, consumo, sfruttamento! In ogni caso, se vuoi possiamo continuare questo confronto che faccia emergere creatività e nuovi modi di stare con i propri desideri, visioni, e ricerca continua. a presto, qundi!
Michele
Cara Bianca, capisco!
Personalmente il mio aiuto professionale ha abbandonato da tanti anni la metodica psicanalitica, della sola parola consolatoria. Io cerco di lavorare con tutto me stesso, mente-corpo-fisiologia-spirito, così come abbiamo imparato nel nostro comune cammino in DP. Ho lavorato sempre con i servizi sociali, e non ho nessuna difficoltà a relazionarmi con essi. In verità, sentendoti così preoccupata, premurosa, informata dei dolori che affliggono le persone che incontri o che conosci, mi chiedo: a chi li raccomandi? A chi li invii, hai già professionisti di fiducia e che abbiano inserito nei loro metodi la pratica psicospirituale? Come sai noi in DP, e nel gruppo Attraversamenti siamo a disposizione per dare un aiuto, e spero che nel prossimo futuro di poter pensare insieme ad un servizio di ascolto per tutti quelli che non riescono neanche ad arrivare al percorso di DP, o che non lo sentono possibile per loro. Stiamo pensando anche di voler avvicinare gli operatori psi, per corredarli di una formazione iniziatica, non ricordi?!
Tu, vuoi far parte di questa cordata che stiamo costruendo per intercettare persone, essere un po pescatori di anime per offrire loro una mano?
Non rimanere nella pre-occupazione, ma continua ad occupartene, a segnalare, ad inviare, ad indirizzare, a consigliare, perchè in effetti anche io so che questi sofferenti non sanno a chi rivolgersi, e mentre giustamente operiamo e riusciamo ad operare ,..il paziente magari muore. Hai ragione, io ho coraggio, forse non basta!
a presto,
Michele
Caro Marco,
nel frattempo stiamo costruendo anche con te un percorso di accoglienza, farsi rete (un giorno potremmo chiamarlo Darsi Rete), in Attraversamenti, e siamo ad un buon punto. Continuiamo così, sicuri e protetti dall’alto da Dio che ci vuole costruttori di vie, ponti, e nuovi contesti di gruppi in cui poter iniziare a vivere in modo nuovo, oltre che a poter accogliere chi è perduto o disorientato.
Buon lavoro amico,
Michele