La domanda che mi viene rivolta, ora con scettica ironia ora con una punta di compatimento ora con aria di sufficenza, da chiunque sappia che la mia scelta di studi all’università è caduta sulla Facoltà di Filosofia è invariabilmente questa: “Cosa farai dopo?”
La logica del “Cosa farai dopo?” domina sottilmente ogni discorso intorno al senso dello studio – scolastico e universitario. Quando la vita poi ci mette dinnanzi, come è inevitabile, a quei bivi che da noi chiedono una decisione concreta e ineluttabile questa logica si sposta dai discorsi alla prassi – cioè: costruisce esistenze, destini, volti d’uomo.
A chiunque si sia imbattuto personalmente, anche in via occasionale, in questo dilemma apparirà chiaro come qui non è in gioco una determinata visione dello studio, che chiamerò per comodità “strumentale” dal momento che il suo senso ultimo è decretato essere quello di un mezzo per trovare lavoro e “sistemarsi”; no, qui è anche il lavoro stesso a esser concepito come mezzo e strumento a sua volta, senza nessun altro scopo che quello di assicurare sostentamento, gli evangelici “pane e vestiti”.
Dunque non è solo lo studio a essere decaduto a mezzo ma anche il lavoro sicchè la scuola – come anche la scelta universitaria di un percorso di studi piuttosto che di un altro – è un mezzo preposto a un altro mezzo, uno strumento di strumenti – il tutto dominato dall’unico fine che si profila in questo grigio orizzonte, quale unico fine possibile e sperabile, quello di un tetto sopra la testa e di una pancia piena.
Tutto ciò è largamente risaputo; Noi di Darsi Scuola dedichiamo periodicamente riflessioni su queste tematiche, invero centrali, eppure adesso, in questa sede, non mi voglio dilungare in polemiche filosofiche contro i dettati materialistici, riduttivisti ( e via dicendo) che dominano la nostra società e sulla ricaduta di questi sulla vita scolastica. Preferisco piuttosto raccontare – in quanto praticante dei Gruppi Darsi Pace – come ha operato personalmente in me la logica del “Cosa farai dopo?” ma, sopratutto, cosa mi ha spinto a non orientare la mia scelta a partire dai suoi suggerimenti, cioè a orientarla seguendo un’ altra logica.
Non si tratta perciò di criticare al livello intellettuale il paradigma materialista, di combattere i suoi concetti con altri concetti, ma – al contrario – di spostare l’asse portante del problema su un altro livello. Vorrei perciò mostrare come la logica del “Cosa farai dopo?” – con la sua assolutizzazione della vita biologica e delle sue esigenze a scapito di tutti gli altri orizzonti di senso cui l’uomo anela – è, innanzitutto, una struttura interiore ( e dunque non sta solo nella testa di qualche preside “cattivo”) e, in secondo luogo, è sostanziato, impregnato e fondato sulla paura. E’ essenzialmente paura, almeno così come si è presentato dentro di me.
Dunque io ho percepito questa logica operare nella mia vita come tentazione ( e non è forse come tentazione che si presenta l’invito a trasformare le pietre in pani?) e paura. Paura, fondamentalmente. Sensazione di minaccia incombente, di incertezza che avvolge il tutto, come se questo non avesse un fondo stabile. Il futuro – lavorativo, universitario, esistenziale – era il grande punto interrogativo da cui mi dovevo difendere, perchè “non poteva venirne fuori niente di buono”. Con questo stato d’animo ho lasciato le scuole superiori. Allora l’assicurazione a-priori che ciò che studierò mi darà lavoro – fondata o infondata che sia- è innanzitutto una rassicurazione e opera come rassicurazione – uscita possibile da quella condizione di estrema fragilità e nudità in cui mi sono trovato a “dover-stare”, schermo contro l’incertezza, e la conseguente paura, di non avere il pane quotidiano, scudo contro quella condizione che mi faceva sentire aperto ed esposto a tutto e, in definitiva, al fallimento e alla distruzione.
In me la logica del “Cosa farai dopo?” traeva la sua forza da questo oscuro sostrato psichico in cui mi trovavo – nell’estate tra superiori e università, cioè in questa estate – quotidianamente immerso. Le altre scelte universitarie che proponevo a me stesso – accanto a Filosofia – non erano, in questo senso, valide in sè stesse ma solo in quanto vie di fuga o possibili soluzioni per estrarmi dalla paura e per farmi finalmente “toccare terra”.
La scelta di fare Filosofia – in barba alle mille assicurazioni o rassicurazioni che mi chiedevano di rinunciare a ciò che sono, a ciò che più mi piace e dunque a vendermi – ha significato per me un atto di disobbedienza; non obbedire alla paura! Non farsi determinare, nella scelta, dalla paura! Non lasciare che sia la paura a scegliere al posto mio!
La giustezza della mia scelta universitaria io la intravedo quindi non tanto nell’assicurazione a priori di un fondamento certo su cui poggiare i piedi e neanche nella conseguente rassicurazione che non cadrò nel nulla perchè c’è, effettivamente, questo fondamento – quanto piuttosto nel fatto che, in questa scelta, la paura non ha avuto voce in capitolo.
COSA FARAI DOPO ?
Postato il 1 Dicembre 2022 Scritto da 5 Commenti
Hai ragione Andrea, la Conoscenza è un valore in sé, non deve servire a…
Certamente per me, che ho 50 anni di più, il problema non si pone.
Tu invece, come giustamente scrivi, non devi ascoltare la voce della paura.
Però anche più avanti nella vita, la stessa domanda si ripropone: “A che serve?”
Mi viene in mente un autoritratto che Goya ha disegnato quando aveva 80 anni.
In esso si vede un vecchio, appoggiato a due bastoni e sopra di lui le parole “Aun Aprendo”, “Ancora Imparo”.
Studiare, imparare, anche se non serve a nulla, perché l’apprendimento è un fine in sé e un farmaco per la sofferenza.
Un caro saluto
Credo di aver Comunicato con Te su Messenger, un Piacere e una Gioia Altissima. Ho riproposto l Invito sulla Mail a Marco, sono Lievemente Determinato ahahahah .Spero non insistente e invadente. Massimo RISPETTO per il Vostro TEMPO VITA FARE. Leggero’ con Maggiore Attenzione il Testo di cui sopra e mi Permetterò di Dire la Mia. Buon Tutto e GRAZIE GRAZIE GRAZIE
Caro Andrea,
io ho fatto la stessa scelta alcuni anni fa e mi sono ritrovata in tutto quello che hai scritto. Alla fine sono giunta alla tua stessa conclusione: non ho permesso alla paura di scegliere per me. Per esperienza posso dirti che queste scelte alla fine premiamo sempre e che alla fine un modo e un come si trova, pur con qualche difficoltà. Certe persone non ce la faranno mai ad adattarsi…io sono una di quelle…credo anche tu…anzi…onestamente penso che siamo davvero in tanti, più di quanto crediamo…e questa è una buona notizia ?
In bocca al lupo per tutto
Maila
Individua ciò che per te è prioritario e fai delle scelte conseguenti!
C’è chi sarà con te e chi contro di te ma questo non importa.
In bocca al lupo!
Ciao
Caro Andrea
mi rivedo nella tua esperienza;ho conseguito il diploma magistale nel 1969,scelta fatta dalla mia famiglia!Siccome eravamo in piena “contestazione”mi sono iscritta alla LUMSA alla facoltà di Pedagogia sfidando i miei genitori che volevano una laureata in lettere.Pedagogia mi ha dato la possibilità di studiare filosofia e oggi rifarei la stessa scelta perchè mi ha dato la possibilità di vedere e vivere la mia vita in modo “diverso”.
Ho insegnato e sono stata un’insegnante “diversa” a detta degli alunni e colleghi.Anche i miei figli mi dicono che sono una mamma” particolare”.Vedrai che non ti pentirai della tua scelta .