Penso che curare le persone sia un atto sacro. Eppure troppo spesso noi medici ci limitiamo a fredde prescrizioni mirate a specifici problemi organici, liquidando i pazienti in tempi piuttosto brevi e non occupandoci minimamente di chi siano o di cosa stiano vivendo.
La cura dovrebbe invece riguardare prima di tutto l’anima. Cosa può significare?
Chiunque, cercando di aiutare qualcuno, si occuperebbe di chi si trova davanti: da dove viene, come vive, in cosa crede, come sta. Inveceil medico no, è in grado di guardare l’esito di un esame su un monitor o un foglio di carta e di prescrivere una terapia basandosi unicamente su quel risultato. Poche parole, spesso dette male. Parole male-dette che feriscono. “Lei ha la tal malattia, assuma questa medicina”. Io ho una malattia? E come mi è capitato? Nessuno sa veramente spiegarlo. Capita che ci ammaliamo, a volte perché siamo stati esposti a qualche sostanza velenosa, altre per cattive abitudini, altre ancora per aver subito dei traumi fisici. Ma la maggior parte delle volte, che sia un raffreddore o una malattia mortale, non sappiamo definirne la vera causa primaria. Possiamo dire che le difese immunitarie erano deboli o che c’era una predisposizione genetica, ma la quota di “sfortuna” pare spesso essere maggioritaria.
La malattia è misteriosa. Arriva, fa il suo decorso, lascia un segno, guarisce, oppure uccide. Nessuno può sapere a priori che strada prenderà. Muoiono all’improvviso persone perfettamente sane (almeno per quanto se ne sapesse), figuriamoci cosa può succedere a un malato. Io potrei essere te, magari domani o oggi stesso.
Quello di cui tutti abbiamo bisogno è un grande rispetto reciproco: ognuno vive come e quanto gli è concesso. Questo istante può essere uno dei tanti o l’ultimo, questo periodo può essere caratterizzato da grande gioia o intensa sofferenza. Poi tutto può cambiare ed evolvere, ma in un certo momento non c’è altro per una persona, se non quello che è. Ecco perché va accolta, rispettata e accettata esattamente così, come si presenta di fronte ai nostri occhi.
Se vogliamo curare qualcuno dobbiamo allora lasciare andare tutto noi stessi, vuotarci, e renderci tanto accoglienti da non pretendere nulla. L’incipit è sempre uno sguardo amorevole, seguito da un ascolto attento e non giudicante, un lasciare andare pregiudizi e preconcetti. Ci viene riversata addosso tanta paura, spesso rabbia e in genere molta sofferenza. Tutto deve scivolare come acqua corrente che possa scaricarsi verso il mare. Lo sguardo e l’ascolto possono essere mezzi empatici, di risonanza, di contenimento e allo stesso tempo di addolcimento.
La persona sofferente si presenta con una richiesta di aiuto alla quale non sempre sapremo corrispondere pienamente, dobbiamo esserne consapevoli. La principale forza dell’intervento starà nell’attenzione piena unita all’interesse sincero per quell’anima che incontriamo.
Tutto l’aiuto specialistico dovrà poi contestualizzarsi in questa predisposizione.
Il medico è formato come un tecnico che conosce i funzionamenti biologici del corpo e i possibili interventi terapeutici per correggerne i “difetti”, ma quando si ferma a questo non è più di un meccanico. A volte questo atteggiamento è pure efficace, altre è inutile, altre è seriamente dannoso.
Il medico ha un’anima, che potremmo anche definire con un insieme di sostantivi come coscienza, psiche, sensibilità, intuizione, vocazione, e così via. Se quest’anima è trascurata, facilmente è votata alla guerra al prossimo. Diventa rigida, oppositiva, giudicante, impaurita. Si difende continuamente da possibili attacchi, ha sempre ragione, non deve nulla a nessuno: un io ego-centrato. Questo modo di essere, in cui tutti tendiamo a ricadere continuamente, quando appartiene ad un medico porta gravi problemi: chi vi si rivolge per un aiuto trova un covo di spine. Quel medico potrà anche essere un bravo meccanico, ma pungerà tutti con i suoi aculei.
Se invece il medico è anche un mistico, uno che è alla ricerca della Verità, sa che è lui stesso a doversi trasformare per poter aiutare l’altro. Lavora continuamente su di sé per rimuovere le ombre, per curare le proprie ferite, in modo da non causarne più agli altri. Prima di tutto è una persona, un’anima alla ricerca della sua Fonte, e come tale può accompagnare nel cammino altre anime, anche quando si tratta di oltrepassare l’inferno. La parola bene-detta può diventare terapeutica, lo sguardo attento un medicamento, e uniti a conoscenze tecniche ed esperienza creano un potente farmaco.
Solo un vero mistico-tecnico può riuscire pienamente nel sacro intento di curare gli altri, nel corpo e nell’anima: un’armonia tra coscienza e conoscenza, entrambe ricercate e desiderate in modo continuo, attento e rigoroso.
Grazie Marco! Quello che tu dici è verissimo e bellissimo!
La maggior parte dei medici italiani, specie del servizio sanitario nazionale, è competente ed attenta-
L’utenza pretende sempre di piu’senza apprezzare il molto che ha. Questo crea condizioni di lavoro frustranti ed ansiogene.
Considerate che in America occorre pagare ogni prestazione sanitaria.
Se poi le persone hanno bisogno di uno psicologo privato non possono pensare di trovarlo in un medico che con competenza svolge il proprio lavoro, quasi sempre molto oltre ciò che gli spetta.
Nei pronti soccorsi, negli ospedali, spesso sottoorganico, nei reparti occorrono risposte tempestive e personalizzate e non sempre c’è possibilità di colloqui formativo-spirituali.
Noi possiamo aiutare i medici non disturbandoli quando non occorre.
Teniamoci stretto il nostro sistema sanitario nazionale che ha molte falle ma anche molti pregi.
Grazie!
Grazie Pier Luigi per questa tua riflessione che condivido!
Ho vissuto sulla mia pelle il dolore e la confusione di passare da specialista a specialista come fossi una pallina da ping pong, senza che nessuno riuscisse a darmi delle risposte rispetto a questo mio dolore fisico, psicologico ed esistenziale. Ho visto di tutto, reumatologi, fisioterapisti, psicologi, medici fino al punto che, quando il male era ormai diventato intollerabile, il destino ha voluto che entrasse nella mia vita un medico omeopata, un mistico-tecnico, per la prima volta senza che fossi io a cercarlo. Con il suo sguardo che adesso riconosco come amorevole e non giudicante, mi ha traghettato oltre l’inferno nel quale mi trovavo, e dal quale ne sarei difficilmente uscito vivo da solo. Alla fine, riprendendo M. Guzzi, solo il medico ferito può curare. Grazie
Silvia, cogli dei punti molto importanti: le condizioni di lavoro dei medici (e dei sanitari in genere) hanno un forte impatto sulla possibilità di aiutare e curare le persone concretamente e adeguatamente. Infatti in tanti stanno lasciando l’impiego nel pubblico e il Sistema Sanitario Nazionale rischia di collassare per carenza di personale, rendendo sempre più affannato chi resta. Poi è vero che serve anche un’opera educativa verso tutti per evitare inutili sovraccarichi. Il problema è che spesso, di fronte a qualche sintomo, ci si lascia prendere dall’ansia e si pretendono risposte nemmeno sempre facili da dare, o sicurezze impossibili.
Francesco, la tua esperienza è particolarmente significativa. La persona va curata sempre nel suo insieme, altrimenti si blocca un sintomo o si tampona un problema, dimenticando il significato globale della sofferenza, che si manifesterà poi altrove. Il medico nella sua ferita acquisisce sensibilità, ma può aiutare gli altri se prima di tutto si prende cura di se stesso. E questo vale per tutti, in quanto tutti siamo chiamati a curarci vicendevolmente.
Grazie per i vostri contributi.
‘La parola bene-detta può diventare terapeutica, lo sguardo attento un medicamento’
Grazie per la tua cura e per questa prescrizione amorevole e universale