Da sempre donne e uomini ci provano, a stare insieme. Fra le tante immagini a me piace quella dei primi cristiani che si riunivano in piccoli gruppi. Ho sentito anche raccontare del mondo contadino, del quale sono originaria. Mi dicevano che di sera le persone, pur stanche, si intrattenevano sull’aia o nel pagliaio d’inverno, e lì suonavano la fisarmonica, ballavano e scherzavano insieme. C’era qualcosa che li teneva uniti. Forse la fede – che veniva tramandata da una generazione all’altra – creava appartenenza, comunità, con tutte le implicazioni ad essa sottese. Ricordo la gioia che provavo quelle rare volte che la mamma e il papà si fermavano dopo cena a giocare insieme a carte, e la mamma rideva. Era un breve lasso di tempo in cui li vedevo stare insieme, appunto.
Ma andiamo con ordine. Vediamo un po’ com’è stato compreso il piacere di stare insieme nel corso della storia, saltando qua e là. Quando nel 1727, nella Thomaskirche di Lipsia, risuonò per la prima volta la Passione secondo Matteo di Bach lo stupore fu enorme. Dissero che era troppo teatrale, operistica, e a Bach fu tagliato il salario. Cosa poteva voler dire? Che il piacere musicale condiviso non andava bene, che la musica sacra doveva far sentire solo passione solenne?
Probabilmente il mondo aristocratico e i pii religiosi volevano distinguersi dalla pompa e dal chiasso del popolino. O piuttosto avevano paura di confondere Dio con la voluttà. Hegel arriva a dire che l’arte ha eccessi di sensualità, e che è tempo di cose serie: filosofia e scienza.
Nietzsche si spinge sul versante del bisogno, distinguendo quello semplice ed elementare della pura fame o sete corporea dal genuino bisogno umano, che non è mai né semplice né elementare, bensì innaturale: “bisogno senza bisogno”. L’intensificazione del piacere si spinge cioè oltre il livello fisiologico. Non solo, ci dice pure che la sazietà è priva delle parole e dell’eloquenza a cui la cultura e l’arte aspirano: “L’anima fiorisce solo nell’abbondanza”. Kant avrebbe aggiunto: “Neanche la natura scaturisce dal bisogno e dalla necessità. Nei suoi fiori gioca e nei suoi frutti lavora, ma il divagare dei fiori in forme e colori ha la precedenza rispetto ai suoi compiti”.
Di qui è possibile cominciare ad evidenziare alcune condizioni che bloccano lo stare insieme in modo spontaneo e divertente: anzitutto la morale ngli ambienti borghesi, e in secondo luogo la precarietà tra le classi meno abbienti.
Andiamo ancora avanti. Adorno, filosofo tedesco e noto critico del materialismo tecnologico degli anni Sessanta, vedeva nell’elemento disinvolto e leggero dell’uomo contemporaneo un cedimento sempre maggiore alla dimensione meccanica e funzionale della vita. Fa l’esempio del treno ad alta velocità che attraversa il continente in tre notti e due giorni, in contrasto con lo splendore sbiadito del vecchio train bleu, dove ogni dettaglio contribuiva al piacere del viaggio: dal saluto col finestrino aperto al cerimoniale del pranzo. Per Adorno non esiste felicità, e quindi gioia condivisa, nella mera oggettività e nella razionalità fissata sullo scopo, ma semmai in qualcosa che divaga, in un che di gaio e ricco, cioè in una deviazione dal necessario. Solo una vita libera da costrizioni può esprimere disinvoltura e spensieratezza.
Dal lavoro di Darsi Pace noi impariamo che c’è come un fardello che grava sulla nostra condizione terrestre ogni giorno. Eppure possiamo osservare quanto anche le forme storico-culturali del nostro tempo incidano sull’incapacità di stare insieme in modo semplice. I due condizionamenti cui abbiamo accennato in precedenza sono la morale e la precarietà: ora mi riferisco alla premura ossessiva per gli accessori dominanti della società tecnologica, che si antepone all’attenzione per la persona e a tutto ciò che nell’uomo attiene alla sfera emozionale e creativa.
Forse è proprio questo mix di condizionamenti ad aver favorito in noi la difficoltà di incontrarci e intrattenerci nella relazione. Anche con gli amici più cari è diventato difficile stare un po’ insieme, e quando succede – dopo messaggi su messaggi per fissare, disdire, modificare gli appuntamenti – lo facciamo cercando di metterci dentro il soddisfacimento di qualche nostro o altrui bisogno, a costo di nobilitare o giustificare il tempo “sprecato” in compagnia.
Oggi la nostra mente ragiona in gran parte in termini di efficienza e di economicità: abbiamo tanto da fare, soprattutto per gli altri, impegni sociali ecc., e non possiamo permetterci di avere un tempo vuoto. A questo punto però sorge un dubbio: non sarò forse io che non so stare gratuita-mente in una relazione? La desidero veramente o ne ho paura? Non preferisco magari starmene a casa, al calduccio o al fresco (a seconda della stagione), sul mio divano, sapendo che posso comunque chattare con chi mi pare e che – se diventa impegnativo – posso sempre interrompere con la scusa di avere un’altra chiamata?
Ci sono studi che dicono che le persone si intrattengono volentieri da sole, con altri, parlando degli altri e dei massimi sistemi, e sono ghiotte di storie avventurose, immagini variopinte, musica da ballo e giochi di tutti i tipi. In breve: adorano la light communication (la “comunicazione leggera”). Questo fatto sembra lasciare intendere che tutto è buono per intrattenerci purché sia sottratto con forza a qualsiasi contrassegno concettuale: proprio qui c’è da temere che dietro l’ubiquità del cazzeggiare si annidi probabilmente la sua strisciante assolutizzazione… E questo è l’altro rischio: se mi dispongo con leggerezza a incontrare gli altri e poi scivolo in questa deriva?
A questo punto aveva ragione Heidegger quando diceva che ci si può divertire solo a partire dal lavoro che si sta facendo, come nel riverbero di quello stesso. Per lavoro il filosofo non intendeva solo un generico “fare cose”, ma ciò che ci impegna in tutto il nostro essere, in anima e corpo. La questione quindi è complessa, soprattutto oggi, ed è solo grazie al percorso di Darsi Pace che io personalmente ho potuto acquisire la conoscenza di alcuni elementi chiave, che ora so riscontrare in ogni discorso di questo o d’altro tipo.
Noi viviamo in una fase della storia del mondo fuori dall’ordinario: siamo ad una svolta antropologica, ad un punto di rottura in ogni ambito del reale. Un certo modo di essere umani sta crollando: lo vediamo in primis in tutte le forme tradizionali di relazione umana, tra persone singole, nelle coppie, nelle piccole aggregazioni fino alle istituzioni politiche e sociali. Così pure nei lavori manuali, in quelli professionali, nell’amicizia, nello svago: il nodo è sempre lo stesso, perché si tratta appunto di un problema antropologico. È il nostro modo di essere umani, di relazionarci come abbiamo fatto fino ad oggi a non funzionare più. Scrive Marco Guzzi:
«Finora ci siamo messi insieme sulla base di una modalità soggettiva che è separante. Un “essere me”, un individuo che in realtà è separato. Questa modalità di relazione tra esseri separati sta crollando. La domanda è: c’è un altro modo di relazionarsi, c’è un altro modo di essere umani? La risposta è sì»
In realtà, questa “messa allo scoperto” di come stanno le cose mi dà sollievo, perché non ce la facevo più ad uscirne in modo ragionevole. Mi sentivo così incapace che me ne facevo una colpa: invece no, non sono solo io e la mia storia ferita, le cose stanno veramente così. La bella notizia è che possiamo veramente ripartire, anche da una condizione molto alienata.
Si tratta di un processo iniziatico di trasformazione del mio Io e della mia cognizione storico-culturale del mondo. Allora uno spiraglio di libertà, proveniente dal nostro sentirci esseri spirituali, potrà donarci anche la capacità di stare insieme in modi diversi. Fra questi anche uno stare insieme in modo più spontaneo e non necessariamente impegnato, per poter scherzare, ridere, abbracciarci senza scadere nel banale, nel volgare e nello scontato.
Ma perché oggi – vi chiederete voi – questo mio incessante interessamento per lo stare insieme agli altri, dopo anni di vita in parte eremitica e trovandomi ormai ad un’età avanzata? … Forse una nostalgia adolescenziale? Direi proprio di no, visto che ricordo molto bene la ricerca disordinata, spesso convulsa, che caratterizzava la vita comunitaria di quei tempi, così come ricordo la vita comunitaria moraleggiante e competitiva degli ambienti ecclesiastici.
Si tratta di creare relazioni nuove dove i soggetti non si sentono più separati, ma sanno di essere correlati e cercano delle relazioni concrete sulla base di una nuova consapevolezza. Per realizzare questo è necessario un processo iniziatico di trasformazione dell’ Io da quella condizione di chiusura, di ignoranza sul funzionamento di noi stessi e delle cose, ad un Io consapevole di essere Spirito. Quando avviene il rovesciamento dello sguardo da fuori a dentro di noi, incominciamo ad osservarci e a studiarci in profondità. Vediamo le nostre oscurità e sappiamo che sono le stesse che abitano anche negli altri, e questo ci porta ad essere più comprensivi verso quegli atteggiamenti che di solito giudichiamo e da cui siamo soliti difenderci.
Forse così cominciamo ad essere più attenti anche al linguaggio. Ad esempio, se voglio richiamare l’altro su qualcosa di sbagliato, non posso partire dicendo “tu hai detto, tu hai fatto…”, perché questo va ad incentivare la modalità di difesa/aggressione. Diverso se esprimo ciò che io sento e patisco a seguito di quel fatto increscioso, ma partendo da me, da ciò che mi ha provocato interiormente. In questo modo l’altro non si sentirà subito accusato.
Così vale pure per l’utilizzo dei verbi: quelli che esprimono dovere e imposizione fanno subito scattare nell’altro una modalità oppositiva, così come avviene quando iniziamo una frase con un secco “no”, o comunque con una negazione: è il modo più esplicito per dare inizio ad un combattimento verbale. È sempre necessario accogliere dapprima positivamente ciò che l’altro in parte ci dice, ed esprimere poi il dissenso modulando le parole senza forti avverbi di avversione e tanto meno giudizio. Questi non sono altro che spunti tecnici per ciò che riguarda la comunicazione, la quale si avvale soprattutto dell’afflato emotivo che la costituisce.
Una vera ricerca relazionale è un lavoro artigianale che – limatura dopo limatura – può portare molto avanti, fino a veri e propri momenti di estasi e di gioia. Si tratta di emozioni che si sottraggono agli avvenimenti ripetitivi e recuperano le sorgenti intatte del nostro essere per aprirsi agli altri, nella dedizione e nella reciprocità.
Così nascono le amicizie nelle quali è possibile vivere nuove esperienze di unificazione, di amore. È necessario vincere la paura che c’è in noi, lasciare che sia lo Spirito della parola che Cristo ci ha donato a parlare in noi : «E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola» (Gv17, 20-26).
Innanzitutto desidero dare la mia riconoscenza al movimento Darsi Pace che riconosce in noi, in ciascuno di noi che vuole esprimerlo il proprio talento, dai praticanti più giovani a quelli più anziani. Doni che forse, pur sapendo di avere, avevamo seppellito; ricordo la mia maestra che sempre leggeva i miei temi ed anche alle scuole superiori mi era vacile vincere concorsi. Poi tanti foglietti con poesie e frasi intuite interiormente persi e a volte bruciati… Passano gli anni ma quel diamond riappare e ‘qualcuno’ dal cielo e qui sulla terra ti aiuta a farlo riemergere…
Infinitamente grazie Bianca
Cara Bianca, come le onde del mare c’è un momento in cui ci si ritira e uno in cui si avanza. Questa tua ampia e stimolante riflessione mi fa pensare al momento che sto vivendo. Anch’io noto la difficoltà che abbiamo a stare insieme in modo vero e accogliente, solo per il piacere del confronto. Tuttavia il tempo che stiamo vivendo è, come spesso accade, ambiguo. È necessario coltivare uno spirito solitario e allo stesso tempo stare in gruppo, per poter condividere i frutti del costante lavoro su di sé. Solo da questa prospettiva per me diventa accettabile anche il “cazzeggio”. Ti abbraccio. Claudio.
Grazie cara Bianca per questo interessante contributo!
Mi pare importante tornare a riflettere su ciò che diamo spesso per scontato. Importante perché proprio come dici tu, nella disgregazione di questi tempi, non è più scontato niente, nemmeno le modalità di aggregazione che abbiamo sempre ritenuto “ordinarie”. Vedo un grande rischio: dove manca la riflessione, aumenta la corrosione.
“Non voglio esser solo / non voglio esser solo mai” cantava Eugenio Finardi nella dolcissima “Le ragazze di Osaka”.
https://invidious.projectsegfau.lt/watch?v=QkHaNq3oilI
Spesso mi capita di riflettere ad esempio sul matrimonio, e per entrare nello specifico, trovo i contributi di Marco Guzzi realmente di conforto e di aiuto, per comprendere i tempi di crisi che stiamo passando e capire che anche l’unione tra uomo e donna ne risente: di più, se questa crisi non si elabora ma si subisce soltanto.
Cara Bianca, hai ragione. Andando avanti negli anni l’anelito a stare insieme e condividere non diminuisce, anzi si fa più radicale. Almeno, è ciò che io sento. Io anche, sempre di più, “non voglio esser solo”. Ed è vero che quando non voglio vedere la parte di oscurità che è dentro di me, quando non sono paziente con essa, quasi non mi rendo di nuovo (oserei dire) “amico” di essa, non riesco a comunicare in modo veramente empatico con nessuno, nemmeno i familiari più intimi.
Proprio perché non voglio esser solo, ho dunque bisogno di questo lavoro, da riprendere sempre, per aprirmi agli altri. Verissimo, la bella notizia è che questa ripartenza è sempre possibile, è sempre dietro l’angolo, anche quando ci sembra di esserci molto allontanati. Non è questione di distanza, difatti, ma di orientamento: basta girarsi, in un certo senso. Inizia subito il ritorno: lo dice tanto bene sempre Marco, nel testo “Imparare ad amare”, che si affronta negli ultimi anni del percorso Darsi Pace.
Senza questo lavoro, senza direi “questi lavori”, di gruppi in cammino ognuno secondo diversi carismi ma tutti nella strada verso la Nuova Umanità, ho la sensazione che vincerà il criterio economicistico, dove l’ansia di stringere qualcosa di concreto che sottragga al tuffo nel nulla, porterà a piegarsi agli idoli contemporanei, alla tentazione così tristemente moderna, di monetizzare tutto. Se non si vede una Luce si impazzisce, non c’è calma, tutto va fuori binario.
Invece, bello che ci sia offerta questa possibilità, di lavoro.
Tornare alla quiete in noi stessi, accogliere l’altro con un sorriso.
Sì spesso difficile, certo.
Ma quando accade
(e possiamo lavorare per questo),
è un anticipo di Paradiso.
Carissimo Claudio,
i piccoli greggi, sparsi in diversi luoghi della terra, avranno una tale luce che come scintille saremo qui (ritirati) e là (insieme agli altri). Ci prenderemo cura gli uni degli altri e degli afflitti, della vedova, del cieco, dello zoppo, dell’orfano. Le difficoltà condivise diminuiranno e le gioie condivise si moltiplicheranno. Sarà custodito un silenzio per ricrearci, per attingere allo Spirito di Cristo non condizionato, eterno che ricrea tutte le cose. Tutte le cose sussistono in Lui e hanno per finalità Lui, sta a me di dare accesso a questo processo per poterlo vivere io….!!
Nel cammino iniziatico che abbiamo intrapreso, cara Bianca, sentiamo le parole di Giovanni come parole che plasmano la nostra identità.
Comprendiamo che la relazione con gli altri cambia se cambia la relazione con noi stesse, se ritorniamo alla Fonte che ci origina e ci rigenera.
Lì il cambiamento si innesta nel compimento realizzato dall’Uomo-Dio.
Come i Magi ci mettiamo in cammino,
giorno dopo giorno ci facciamo di sfondo,
lasciamo espandere in noi la coscienza che osserva e non interferisce,
che accoglie senza trattenere
fino ad arrenderci alla luce del Bambino Divino.
Viaggiare dentro le profondità buie e sconosciute di noi stesse seguendo la stella che brilla ad Oriente ci fa scoprire l’inaudito: il Dio che cammina con noi e si fa carne della nostra carne per curare la mancanza che tanto ci fa soffrire.
In ciò che finisce di noi riconosciamo la possibilità di un nuovo inizio, esperienza gioiosa da raccontare attraverso la luce che annuncia il nostro Natale.
Grazie per le tue riflessioni in un abbraccio, Giuliana
Anch’io ti abbraccio Claudio, sono felice di averti conosciuto, la tua gentilezza è squisita !
Cara Giuliana,
le tue parole sono meravigliose e vere ! Immergersi nel vangelo nelle parole di Giovanni apre spazi infiniti, le cose cambiano di valore, così le situazioni e le relazioni rientrano in un’armonia favorevole. Accanto a ciò a volte anche una buona parola di un amico, un’incoraggiamento, una piccola conferma può toglierci dall’oscuramento di quel momento e permettere di ripartire.
Sei stata per me in questi sette anni una tutor così prossima che….vale la pena di ricominciare !
Con affetto Bianca
Carissimo Marco,
la società occidentale incentiva da tempo la vita da single, né sappiamo le ragioni…la conseguente solitudine può poi essere ben consolata !
Può succedere anche che una certa solitudine nasca in famiglia quando i figli iniziano vita propria..
Noi ci contrapponiamo a ciò come i piccoli gruppi accesi dalla fede profetizzati da Johseph Ratzinger, come desiderio vivo, non solo come un bisogno per coprire un vuoto. Come nuova forza d’amore.
E già in Darsi Pace tutto ciò è iniziato !
Uniti in questo cammino un augurio di un santo anno nuovo
Bianca
cara Bianca
vivo un tempo in cui le parole mi sfuggono
ma se fossimo vicini ti abbraccerei
intensamente
e così, mi pare, vicini lo siamo
Con il tempo sto mettendo a fuoco sempre meglio cos’e per me la relazione, o meglio essere in relazione con ……….
Provo a descriverlo così come lo vivo, le poche volte che ciò accade perdo la mia forma abituale, l’altro e me siamo uno e posso sentire ciò che sente, ricevere e dare o dire o fare ciò che serve perchè non sono più io che sto scrivendo ma l’Io che scrive attraverso me.
Non mi aspetto nulla e sono consapevole di essere esposto, accetto il rischio perchè sono nello stato immortale della fede!
Si, ecco penso che una vera relazione profonda e sincera possa crescere solo sul fondamento della fede vera profonda e sincera che in fondo non è che la Relazione delle relazioni.
Da non confondere con educati scambi di opinioni anche opposte, accogliente ascolto o tollerante sopportazione che possono essere tutti effetti consequenziali nella comunione di fede, ma non procreativi di nuova vita se fuori da questa.
Credo che le nuove comunità avranno al centro l’attenzione per chi ne fa parte, come sta il Cristo che incarni ?
Dove sei???
Per questo ringrazio con te cara Bianca in questa serata dell’Epifania DarsiPace per me cometa d’orientamento verso la Verità.
un sorriso Ale
Caro Guido,
certo che lo siamo vicini ed anche uniti nella stessa missione: trasformare questo mondo ingiusto. Ho ascoltato il tuo bel video su Casa del sole tv dove porti la tua passione …grazie. Credo che il minimo comune denominatore c’è e..in abbondanza !!
Contraccambio con affetto la tua amicizia !
Sì Alessandro, grazie del tuo invito a restare ancorati alla Relazione delle relazioni, e’ cosa salvifica, nelle relazioni familiari e comunitarie.
Le comunità con impostazione perentoria di orari, compiti, modalità relazionali subalterne sono finite, stanno dando gli ultimi colpi di coda.
La deriva sta in chi vorrebbe entrare in comunità e fare quello che gli pare, improvvisazioni, cambiare in continuazione programmi, creando, anche inconsapevolmente disordine per tutti.
Ora dobbiamo scoprire a mio avviso, il senso profondo della disciplina che non è rigidità ma che ci argina, ci fa da sponda e ci illumina in senso iniziatico: passo dopo passo.
Non è obbedienza fine a se stessa, ma un indicatore come la bolla della livella del muratore, scivola un pò di qua, un pò di là finché non trova il centro: lì il vero amore !!
Buon anno a te e a Luciana con affetto !
Carissima Bianca,
grazie per il tuo scritto equilibrato, lucido, analizzi la complessità di un tema delicato, rendendo bene il senso “del come e perché stiamo insieme” e ti ringrazio.
In questo tempo così difficile ma anche propizio, mi sembra importante descrivere che cosa non è la vita insieme perché è l’aspetto che emerge in modo più chiaro.
L’esperienza, in lungo e in largo, su questo argomento ci parla, in linea di massima, di lacerazioni e sofferenze profonde.
Il processo iniziatico praticato personalmente è fondamentale, conoscere però il tempo sul come realizzare una vita insieme richiede ulteriori maturazioni perché i passaggi culturali e sociali sono lenti e anche le metabolizzazioni personali più profonde , più coscienti, sono altrettanto lente.
Vivere insieme in un equilibrio tra solitudine e comunione è una realizzazione che richiede una maturità affettiva non dico perfetta, ma solida sì.
Il desiderio della relazione, della comunione è strutturale, è profondo e ci chiama incessantemente ma non nelle modalità che abbiamo vissuto fino a ora dove in genere viene meno proprio questo equilibrio tra solitudine e comunione.
Sentire il COME dello stare insieme è opera dello SPIRITO in noi e scaturisce da una sovrabbondanza interiore, non da una carenza. Cos’è questa sovrabbondanza? Non so più dare niente per scontato.
Ci sono dei presupposti che hanno bisogno di un discernimento profondo e se comprendo il PERCHÉ dello stare insieme il COME, almeno nella mia sensibilità, è ancora inedito, non ne ho idea perché conosco tante comunità unite nel nome di Cristo che vivono lacerazioni , abbandoni e decadenze ancora in atto.
Mi sembra di capire che questo è il tempo di osservare con l’io in conversione che stare insieme non è né questo, né quello e
che lo Spirito al tempo opportuno farà sgorgare il COME nel cuore stesso della Chiesa ma da una sovrabbondanza del cuore che non sarà mai un modo perfetto di vita insieme ma neppure una replica del già vissuto che tanto dolore sta ancora generando.
Grazie per averci dato questa opportunità di riflessione. Un abbraccio. Chiara
Carissima Chiara,
ciò che dici è così vero: esperienze di lacerazioni e sofferenze profonde….ci vuole l’angelo della sorellanza come lo chiama Ansel Gruen che ci mostri che godiamo tutti degli stessi diritti e che nessuno deve porsi al di sopra degli altri, ma stare accanto con discrezione e comprensione.
Certo, c’è un tempo da attendere che non conosciamo e c’è un tempo che chiede di essere realizzato, completato ‘erfuellen’ in tedesco. Se l’abbiamo sentito, se un giorno l’abbiamo iniziato, quel desiderio, forse è giusto andare verso quella meta. Ci vuole fortezza dice il teologo Demmer, che sgorga dalla serenità dello spirito, richiede disponibilità al sacrificio, volontà di riuscita e da il coraggio per vivere la nostra vita.
Con tanto affetto
Bianca
Bianca
Cara Chiara,
ciò che dici è così vero: esperienze di lacerazioni e sofferenze profonde. ..ci vuole l’angelo della sorellanza come lo chiama Ansel Gruen che ci mostri che godiamo tutti degli stessi diritti e che nessuno deve porsi al di sopra degli altri ma stare accanto con discrezione e comprensione.
Se questo sentire l’abbiamo avuto, assaggiato, anche solo in parte iniziato, forse è giusto andare verso quella meta, ciascuno coi propri tempi. Demmer teologo contemporaneo parla della fortezza che sgorga dalla serenità dello spirito, che chiede disponibilità al sacrificio e da il coraggio per realizzare e vivere la nostra vita.
Con grande affetto
Bianca
Cara Bianca, grazie per la tua riflessione che mi interpella profondamente, dato che da anni vivo in comunità e sperimento anch’io la crisi delle relazioni e il desiderio di viverle più autenticamente.
Il cammino iniziatico che stiamo facendo ci aiuta realizzare con più consapevolezza il passaggio di stati ma sappiamo la fatica di vivere nello stato di io in relazione, stato della libera adesione al mistero di Dio in me, in cui il mio io scopre di essere originariamente (in) relazione con Dio: nutrito, sostanziato e posto in essere solo dalla sua parola creatrice (stato mariano).
L’apice della relazione perfetta contempliamo oggi nella scena del Battesimo di Gesù:
“Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui. Ed ecco una voce dal cielo che disse: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto». (Mt 3, 16-17)
Anche noi, figli nel Figlio sentiamo queste parole e riceviamo da Lui l’amore ri-creativo, proprio della nuova umanità.
A proposito scrive Marco:
“Il primo carattere di questo amore è certamente la sua capacità di comunicarsi, di unire, di creare relazioni. Lo stato di amore della nuova umanità non è perciò riducibile né ad amoroso silenzio né a qualche forma di immobilità perfetta, ma si esprime piuttosto come comunicazione efficace, annuncio, un semplice ma dirompente farsi capire, come ci illustra con assoluta chiarezza l’episodio della Pentecoste (cfr. At 2,1-13).
La donna o l’uomo rinnovati nello Spirito del Nascente non cadono perciò in una qualche estasi silenziosa, ma si mettono a parlare lingue nuove, trovano canali inediti di comunicazione, sono cioè pervasi da un fuoco poetico, da lingue di fuoco incendiarie che continuano a dare fuoco al mondo: la donna e l’uomo nascenti trasformano cioè sempre lo Spirito dell’Amore in un linguaggio, e quindi, in definitiva’ in una tecnica” (La nuova umanità, 92).
Molte delle nostre sofferenze provengono dalla consapevolezza di non riuscire a rispondere all’anelito della comunione con Dio, con noi stessi, con gli altri con il creato; di non riuscire a stare insieme in una accoglienza gratuita, senza pretese. Di non essere ancora le donne e gli uomini nascenti che sappiano comunicare l’amore e costruire fraternità giorno dopo giorno.
Questa situazione non ci abbate ma ci spinge di intensificare il cammino come figli nel Figlio.
“Signore, io solo in te io sono.
Soltanto in te io sono
Senza mentire, senza soffrire
Separazioni.
lo sono il tuo lo sono
Che suona in me, e tramite me
Dà luce al mondo.
Manda il tuo Spirito d’amore.
Compi l’opera delle tue mani.
Manifesta in pieno la mia vocazione:
Il mio vero volto.
Fa’ di me uno strumento gioioso e fiducioso
Dell’opera della tua salvezza.
Che io guarito guarisca
E costruisca fraternità.
Così la nostra gioia sarà piena” (Darsi pace, 210).
Un abbraccio. Alicja
Carissima Alicia,
quando Marco dice che siamo tutti correlati io lo sento così vero in me fino alle giunture delle mie ossa. Vorrei essere con tutti e anche da sola col mio Signore. Mentre sto acquistando la casetta a Spello sento che non mi appartiene anche se gioisco di averla; non m’interessa fare le cose solo per me, sento una febbre dentro che non so dire, però: quanto ci vogliamo già bene !!
Buon viaggio nella tua Polonia.
A ri-trovarci presto.
Bianca
Ciao Bianca complimenti per le tue riflessioni davvero molto interessanti. Anch’io riflettevo proprio in questi giorni su come sia necessario trovare delle modalità nuove di stare assieme, delle modalità che in qualche modo includano anche la dimensione ricreativa, allegra, il divertimento sano. Quindi risuonano fortissime in me le tue parole e ti ringrazio per il tuo articolo e per la tua condivisione. Complimenti poi per le citazioni filosofiche…
Bianca cara
le tue belle riflessioni sulla possibilità, la voglia, il pericolo dello stare insieme hanno trovato risonanza nelle corde del mio cuore. Pensieri, emozioni, vissuti profondi sono emersi sullo schermo della coscienza, suscitando di nuovo stupore e gratitudine. Tanti anni di vita comunitaria, alternatasi in modalità diverse, hanno segnato profondamente e indelebilmente il percorso di vita che mi è stato dato di vivere fino ad ora. E sento urgentemente e bruciante nella carne in questo periodo di maggior solitudine – “solitudine”, non “isolamento” – il bisogno vivo e vivace dello stare insieme.
“Non è bene che l’uomo sia solo”, ci rivela il libro della Genesi. Che sia vita coniugale, comunitaria o altro, in ogni caso siamo fatti per la relazione, e questo è stupendo e tremendo! Perché la relazione e lo stare insieme possono tingersi della luce dell’estasi o del buio del rifiuto…Le nostre fragilità possono degenerare in coltelli ma anche e soprattutto tramutarsi in carezze liberanti, tutto questo l’ho toccato con mano in me e in altri, e credo con tutte le mie forze che alla fine e per l’eternità vinceranno le carezze liberanti, gli sguardi puliti, i canti di gratitudine e le grida di gioia…
Grazie Bianca per avermi dato l’opportunità di balbettare un poco la mia riconoscenza e la struggente nostalgia di uno stare insieme finalmente rigenerati nello Spirito come figli amati e capaci di amare…
Un abbraccio
Costanza
Ho letto quasi tutte le riflessioni e pensavo non ci fosse altro da dire, aggiungo semplicemente che la comunità o gruppo sono la forza per il singolo che si trova, come me in questo periodo, a navigare con mare mosso e apparentemente senza punti di riferimento.
A me ha aiutato tanto ascoltare una trasmissione di Marco che ad un certo punto recitava: “…il carattere cambia, i pensieri cambiano, il cervello cambia con libere attività mentali”!
E’ un momento duro, ma straordinario allo stesso tempo, la meditazione quotidiana mi sta aiutando a non soccombere alla tristezza, alla paura, al pessimismo.
Grazie