Raramente, nella cultura di massa o specialistica, si osa ammettere la reale portata della figura e dell’opera di Richard Wagner. Ancora meno lo si fa nell’orizzonte poetico-rivoluzionario e cristologico di cui il nostro movimento è espressione. Eppure un grande politologo tedesco come Udo Bermbach, che ha passato circa vent’anni della sua carriera a studiare quasi solo la concezione estetico-politica di Wagner, scriveva nel 2004:
«Nessun altro artista, né prima né dopo di lui, ha mai concepito così radicalmente il connubio di entrambi i campi, estetica e politica, arte e visione della società. (…) Ciò che Wagner voleva, ciò a cui più profondamente anelava, era questo: elaborare – attraverso una nuova concezione estetica del Teatro (…) – un modello alternativo [di società] che riaprisse la possibilità di un’esperienza complessiva della vita, che corrispondesse sul piano estetico a nuove visioni dell’esistenza, determinando allo stesso tempo un perfezionamento morale in grado di contrastare la cattiva condizione dello Status quo».
In altri termini: una Rivoluzione politico-sociale compiuta attraverso una fondamentale Rivoluzione poetico-spirituale dei linguaggi e della coscienza storica dell’uomo. Il teatro totale wagneriano aveva infatti la pretesa (esplicitamente formulata in numerosi saggi) di sintetizzare in forma nuova, apocalittico-iniziatica, l’intera tradizione poetico-artistica dell’Occidente, giunta oramai – non solo secondo Wagner – ad un punto di sterilità e di alienazione terminale. La conversione simultanea di tutti i linguaggi estetici moderni in una nuova, perfetta configurazione del dramma musicale sarebbe stata capace di restituire l’antica essenza politico-religiosa del teatro greco, determinando una rigenerazione complessiva della civiltà europea sia sul piano antropologico che comunitario.
Questo e solo questo è il senso di tutta l’opera di Wagner. Lo scriveva lui stesso nel suo primo saggio del 1849, intitolato L’arte e la rivoluzione, una volta in esilio dopo aver partecipato alla fallita insurrezione di Dresda: «A guardar bene si tratta dunque di uscire dal mestiere per andare verso un’umanità artistica, verso la libera dignità umana. Ora l’arte ha precisamente il compito di rivelare a questo istinto sociale il suo più nobile significato, il suo giusto indirizzo. La vera arte può sollevarsi a dignità dalle sue condizioni di barbarie civile soltanto appoggiandosi al nostro grande movimento sociale: l’arte e questo movimento hanno un fine comune (…). Questo fine è l’uomo bello e forte: possa la rivoluzione dargli la forza, l’arte la bellezza!».
A tutto questo si deve aggiungere l’importanza dell’enorme elaborazione mitologico-musicale che tutti i drammi wagneriani, dal ciclo nibelungico a quello del Gral, dispiegano e presentano. In un lavoro decennale di studio e di ricerca, sviluppato nella mia tesi di laurea, ho tentato di mostrare come l’archetipica pagano-germanica e medievale-cristiana evocata da Wagner – sulla stessa scia della grande tradizione romantica di Novalis, Schelling, Hölderlin, Schlegel e Jacob Grimm – assuma il senso di una conversione alchemico-messianica (poetico-musicale) ad una nuova immagine di Cristo, cioè ad una nuova forma di umanità. La continua, ossessiva attrazione per la figura del Messia, del Redentore puramente umano e al contempo divino – di volta in volta impersonata da eroi come Lohengrin, Siegfried, Tristan, Parsifal – attraversa infatti l’intera produzione artistica di Wagner quasi come una vocazione martellante, svelandoci in fondo che quello di Cristo è il problema fondamentale dell’esistenza umana contemporanea.
Capire questo oggi, e capirlo anche grazie ad un attento dialogo critico-iniziatico con l’immensa eredità wagneriana, significa non solo porre uno sguardo essenziale sulle luci e sulle ombre più possenti del Novecento messianico, ma anche sulle domande più brucianti e radicali tutt’oggi incombenti sul fondo dei cuori umani – in gran parte spaesati e ignari della propria vera sete: Chi sono io veramente? Che senso ha questa vita? C’è una via di Salvezza al non-senso della morte?
Buon ascolto!
Caro Luca,
Ho ascoltato il tuo intervento e letto il post con molto piacere. L’argomento è di grande interesse e la tua esposizione estremamente coinvolgente, grazie!
Silvia
Caro Luca, la tua ricca e profonda riflessione su Wagner evidenzia la potenza della musica e del teatro che possono costituire una rivoluzione spirituale e sociale capace di contribuire alla rigenerazione dell’Europa e dell’umanità.
La tua lettura iniziatica dell’opera artistica wagneriana mi riempie di gioia perchè è un riscatto rispetto all’oggi che propone i suoi festival televisivi tanto ascoltati quanto banali e inutili.
Sarebbe deprimente se esistesse solo la vuota cultura televisiva che viene ammannita per l’instupidimento e il controllo delle “masse”.
Tu con Wagner ci ricordi che esiste l’alternativa di potenzialità musicali buone, benefiche e piacevoli.
Grazie del tuo gran lavoro di cui c’era proprio bisogno.
Giancarlo