Il libro della filosofa cattolica Chantal Delsol pubblicato lo scorso anno in Francia e recentemente tradotto in Italia con il titolo “La fine della cristianità e il ritorno del paganesimo”, coglie alcuni tratti dello spirito del nostro tempo, caratterizzato da un radicale cambiamento di paradigma, ma risulta anche emblematico della sterilità creativa di un certo pensiero cattolico contemporaneo, il quale non riesce a concepire un nuovo inizio oltre la fine.
La pensatrice francese compie una diagnosi della nostra epoca, segnata dal lungo tramonto della civiltà cattolica, un fenomeno che avrebbe subito un’accelerazione a partire dalla seconda metà del XX secolo. Non una morte improvvisa ma una vera e propria “agonia”, cui tuttavia non avrebbe fatto seguito l’emersione di una società atea e nichilista. Il nichilismo otto-novecentesco, infatti, nel rivelare il vuoto e la falsità del cristianesimo borghese, avrebbe aperto il campo ad una nuova religione materialistica e pagana.
Questo neopaganesimo si sviluppa in opposizione al cristianesimo, ma ponendosi anche in continuità con alcuni suoi valori: “le virtù evangeliche sono state riprese e riciclate per diventare una sorta di morale comune” (p. 94); “La modernità, in effetti, è sicuramente un rifiuto del potere cristiano (ricusazione delle leggi societali) e insieme una ripresa e un adattamento dei princìpi cristiani (uguaglianza sociale, filosofia della cura)” (p. 114). Tale rivoluzione determina un rivolgimento “nei due ambiti fondanti dell’esistenza umana: la morale e l’ontologia” (p. 25), e sostituisce alla “veste esteriore e artificiale” del cristianesimo borghese una nuova morale ideologica.
Chantal Delsol individua, nella moltitudine delle correnti di pensiero moderne, l’umanitarismo e il panteismo come quelle tra le più diffuse. L’umanitarismo, come già aveva intuito Dostoevskij, si manifesta come una compassione generica e astratta verso l’umanità, che non si traduce tuttavia in una prassi orientata verso la giustizia sociale e il rispetto della dignità umana. Pensiamo alle élites economiche del nostro tempo, che dietro ad un atteggiamento filantropico, persistono ad alimentare disuguaglianze e ingiustizie sociali. Mentre il panteismo consisterebbe per l’autrice in una degenerazione della sollecitudine ecologica odierna, ovvero la riduzione dell’orizzonte cristiano di salvezza alla sola dimensione immanente, ad una religione pagana che finisce per venerare “gli alberi, la terra, le balene”.
In conclusione, la Delsol riconosce da un lato l’inconsistenza del sogno di una restaurazione del passato della cristianità, che definisce come “un’epoca in via di estinzione”. Dall’altro, come si è accennato, evidenzia il rischio che il cristianesimo finisca per adeguarsi alla modernità e alla sua morale fintamente solidaristica, egualitaria ed ecologica.
Ma esiste un’altra opzione percorribile per il cristiano del XXI secolo, che differisca sia dal fondamentalismo che dall’omologazione culturale? Nel capitolo finale, intitolato “Cristianesimo senza cristianità”, l’autrice sembra escluderlo: “non vi è una rinascita della cristianità all’orizzonte”. L’abisso che si apre nel caos della modernità, sembra inghiottire inevitabilmente anche il cristianesimo. Solo nell’ultima pagina del saggio la filosofa francese arriva ad auspicare l’avvento di nuovi cristiani che siano “testimoni silenziosi”, eroi che “portano tutto dentro, suscitando, così e solo così, il desiderio di somigliare”. Il nuovo cristianesimo, in contrapposizione con la sua storia secolare di dominio e violenza, dovrebbe perciò limitarsi a esprimere esclusivamente qualità quali “la pazienza, l’attenzione, l’amore umile”.
Tale proposta non può che risultare insufficiente. Quale minaccia allo status quo, infatti, può rappresentare questo atteggiamento quietistico in una società lasciata libera di proseguire indisturbata la sua folle corsa verso l’annichilimento dell’umano? Cosa resta del cristianesimo se si mette a tacere il suo spirito di contestazione nei confronti delle logiche di questo mondo, che con i suoi meccanismi sociali ed economici continua a comprimere in maniera allarmante gli spazi di libertà individuali, e a generare un diffuso malessere esistenziale?
In questo tempo estremo, abbiamo bisogno di nuove visioni. Non è sufficiente riconoscere le spinte disgregative del nostro tempo, ma è necessario compiere uno sforzo ulteriore per superarle. La confusione ideologica che l’autrice denuncia nel suo testo, può essere contrastata solo da un pensiero cristiano che sappia affrontare la radicalità di questa epoca, e non certo collocarsi al riparo della storia, pensando di poter sopravvivere ai margini. Siamo chiamati a incarnare sempre più lo spirito rivoluzionario che il messaggio cristiano reca con sé, e che inevitabilmente ci induce anche a contrastare attivamente le logiche distorte di questo mondo. Solo in questo senso, l’abisso della fine può preannunciare un nuovo inizio: l’epoca dello sfacelo della “civiltà cattolica” diventa anche quella della realizzazione inedita del cristianesimo nella nostra storia individuale e collettiva, e si potrà compiere solo attraverso il radicale rinnovamento della società in tutte le sue dimensioni.
Grazie caro Filippo! Le nuove visioni in grado di smascherare con lucidità e contrastare con energia le logiche distorte di questo mondo saranno appannaggio di donne e di uomini di fede. Fede e Rivoluzione. La certezza che il Cristo ha già vinto e che darà lingua e sapienza a chi saprà incarnare sulla terra i passaggi ulteriori della riconciliazione tra l’umanità e la sua fonte. “Se aveste fede quanto un granello di senape potreste dire a questo gelso: Sradicati e vai a piantarti in mare, ed esso vi obbedirebbe” (Luca 7-10). Lavoriamo con gioia perché possa crescere la nostra fede e per contribuire così a rovesciare il sistema della menzogna!
Grazie anche da parte mia, caro Filippo. Hai ragione, ogni lettura che si fermi al biasimo, alla critica o alla constatazione di una “fine” è un lavoro non portato fino in fondo. L’universo si espande e propone nuove possibilità, proprio nel crollo delle “civiltà cattoliche” forse, mi dico, c’è una inedita possibilità di diventare responsabili personalmente, di lavorare con gioia, come scrive Paola, perché la nostra fede si accresca.
Un sacerdote che seguo parlava di stare sul “tapis roulant”, cioè farsi trasportare, o camminare attivamente. Ecco, forse farsi trasportare, sia pure da un contesto cattolico, non funziona più. Non è detto, tutto sommato, che sia un male.
A me non interessa la cristianità ma il cristianesimo.
Mi sembra che la filosofa Delsol abbia una visione eurocentrica e non consideri il resto del mondo, anche se è vero che in Europa al cristianesimo stanno subentrando buddismo, islam, animismo ( nella forma di culto alla moda per gli animali e per i vegetali), esoterismo e soprattutto una passione per “Madreterra” di tipo religioso.
E’ possibile che il “non prevalebunt” valga per il mondo intero e non per l’Europa.
Il vuoto nelle chiese, nei seminari, nei conventi, è doloroso, ma forse nel vuoto precipita anche tanto di sbagliato.
L’Occidente deve tener presente di essere nato greco-giudaico-cristiano, e che in quanto tale è stato la culla del diritto e della libertà e della democrazia.
La determinazione forte di laicisti e nihilisti a nascondere ed emarginare il cristianesimo può portare con sè l’affievolirsi dei valori di cui l’Occidente è stato culla e che è il solo oggi a custodire e preservare, proprio mentre la liberaldemocrazia è in crisi e dilagano le autocrazie e le oligarchie.
@Paola: grazie a te, proprio così! Abbiamo bisogno di riscoprire la potenza radicale della fede autentica, intrinsecamente rivoluzionaria.
@Marco: grazie Marco, è vero, la forza d’inerzia non può condurre verso dimensioni creative. Siamo chiamati a compiere uno sforzo attivo, personale e consapevole, per rigenerare anche i contesti comunitari in cui viviamo.
@Giancarlo: concordo con te Giancarlo, l’Occidente – ormai globalizzato – rinnega o rimuove le proprie radici profonde, perciò tutte le sue istituzioni sono in crisi. Questo crollo, con il vuoto che spalanca, va interpretato, per non lasciare che domini la rassegnazione culturale ed esistenziale, e per collocarci in una direzione feconda.