Prevenire è meglio che curare: uno di quegli slogan che la pubblicità produce e poi si infila nella memoria di ciascuno di noi fino a diventare una mentalità acquisita.
Del resto, pare proprio ragionevole: preferiamo certamente evitare di ammalarci piuttosto che stare male e poi dover affrontare tutta la fatica del tentare di risalire al punto precedente la malattia.
Tuttavia, credo che anche in questo ambito siamo caduti in un paradigmatico fraintendimento. Infatti, il sistema di prevenzione messo in piedi è perfettamente sintonizzato sulle disarmonie di una umanità nel suo stato ego-centrato, ben modellato da una struttura economico-sociale di un sistema finanziario compulsivamente consumista.
Se pensiamo alla prevenzione, facilmente ci verrà in mente qualche campagna di screening dove siamo caldamente invitati a effettuare analisi di ogni tipo, per monitorare meticolosamente il nostro stato di salute. Mammografia, Pap test, colonscopia, ecc. con convocazione personalizzata. Prescrizioni a tappeto di statine o farmaci per tenere a bada la pressione sanguigna e scongiurare così un evento cardiovascolare. Naturalmente poi le analisi del sangue una volta all’anno perché non si sa mai… prevenire è sempre meglio…
Un’amica mi diceva di aver sottoscritto una polizza assicurativa per la copertura delle spese sanitarie e, con quel senso di aver fatto davvero un bell’affare, mi sottolineava come compreso nel prezzo fosse previsto un check-up all’anno in una specialità a scelta.
Un check-up cardiologico o un weekend in una spa: la logica è la stessa. In fondo, lo slogan del prevenire è meglio che curare era associato ad un dentifricio.
La categoria è una sola, non importa a cosa la si applichi. Il prodotto è messo in vendita, tutto è ammesso pur di convincere il consumatore all’acquisto. Tanto non siamo nulla di più di un consumatore, una specie di sistema digerente che inghiotte qualunque cosa, l’importante è che essudi profitto per le corporations.
In questo meccanismo ben oliato di sicuro ci saranno persone che hanno visto individuare una piccola massa sospetta, sono state indirizzate alla biopsia e poi al tavolo operatorio per l’asportazione del tumore incipiente.
Il punto infatti è che cosa abbiamo fatto di una potenzialità favorevole, trasformandola in uno sfruttamento irragionevole – o meglio, imbrigliato nell’unica ragione possibile, quella economico commerciale.
Noi esseri umani siamo fondati su un vuoto che l’ego interpreta come mancanza destabilizzante e spaventosa da colmare con appigli di certezza. Nell’ambito sanitario, la certezza assume le sembianze del check-up, organizzato secondo la moda della delocalizzazione (o dell’outsourcing per dirla all’inglese).
Sembra infatti che subiamo sempre di più la fascinazione del demandare ad altri il sapere come stiamo. Lo dice un’App che controlla il battito cardiaco, il numero di passi giornalieri, che definisce il numero di calorie ad ogni pasto, oppure lo dice un’analisi cui assegniamo il potere di rivelare la verità sul nostro stato di salute. La mancanza di asterischi o le diciture “nei parametri di norma” ci danno un senso di sollievo come di inoppugnabile giudizio. Siamo a posto, nulla cui pensare fino al prossimo tagliando.
Per il riconoscimento di ciò che è malato in noi, il messaggio è martellante: serve essere sotto un occhio esterno e meccanico, che usa il linguaggio binario dell’algoritmo, il linguaggio della semplificazione per cui o siamo sani o siamo malati.
Seduta sulla sedia nel mio studio, cerco una posizione comoda e stabile, lascio andare il peso del corpo sul sedile della sedia e respiro. Sento il passaggio dell’aria nelle narici, e inizio l’osservazione della mia mente vagabondante. Pian piano prendo distanza dalla forma della mente che esce dalle mani del vasaio neoliberista. Provo a guardare me e il mondo a partire da un altro punto di vista.
Man mano che lo stato di meditazione si approfondisce, comincia un senso di dilatazione in cui il mio piccolo io ha cenni di esperienza di essere molto di più della compressione egoica dello stato ordinario di coscienza.
Non mi basta assolutamente più essere ridotta ad un consumatore, la vita ha ben altri orizzonti che desidero esplorare.
Scendo nelle morbidezze dello spirito, dove la vita si impregna di un sapore più intenso. Qui vivere assume una nuova conformazione e a partire da uno stato più unificato cambia la prospettiva.
Che significato do alla (mia) vita?
Che cosa vale la pena di prevenire? È sufficiente una TAC a colmare il senso di insicurezza che mi abita?
Per l’io in relazione il vuoto è la sorgente a cui si attinge tramite l’abbandono reso nella fiducia. Allora non c’è più la mancanza come fonte di incertezza, ma il vuoto è riconosciuto come fonte della vita sorgente di creatività, che richiede affidamento.
Per sprigionare il suo senso di compiutezza. In questo il check-up annuale viene riposizionato e ricollocato a lato, perché il centro è altrove.
Per un’umanità più unificata ed integra prevenire e curare sono la stessa cosa.
L’io relazionale vive iniziaticamente anche la prevenzione, portando dentro di sé la parola che interpreta i segni della malattia e della cura, un linguaggio complesso ed articolato, che richiede attenzione, concentrazione, meditazione.
La conoscenza di sé parte dall’interno, cerca lo scavo nelle profondità del mistero dell’umano non misurabile. Chiama a raccolta ciò che ha disperso, convoca in sé ciò che ha delocalizzato, perché l’io si faccia agente consapevole del proprio sentire.
Così, possiamo iniziare a discernere ciò che ci nutre da ciò che ci avvelena, ciò che ci cura da ciò che ci fa ammalare, ciò che è vitale da ciò che è mortifero. Lo facciamo anche con l’uso degli strumenti tecnologici più avanzati, sapendoli riconoscere appunto come strumenti, senza idolatrie perché la sovrabbondanza della vita reclama ben altre aperture di pienezza.
Iside condivido in pieno quanto dici.Tutto nasce da messaggi di paura al servizio di potere ed economia malsani
Riflessione salutare e pragmatica…..
Grazie
Incontrarsi in questo nostro angolino e’ importante perché ci dà pace
È un dialogo con noi stessi che rimuove e nostre paure e ci rende liberi e ci dona salute
Certo non è semplice ma iniziamo
Scendo nelle morbidezze dello spirito, dove la vita si impregna di un sapore più intenso. Qui vivere assume una nuova conformazione e a partire da uno stato più unificato cambia la prospettiva.
Che significato do alla (mia) vita?
Che cosa vale la pena di prevenire? È sufficiente una TAC a colmare il senso di insicurezza che mi abita?
Per l’io in relazione il vuoto è la sorgente a cui si attinge tramite l’abbandono reso nella fiducia. Allora non c’è più la mancanza come fonte di incertezza, ma il vuoto è riconosciuto come fonte della vita sorgente di creatività, che richiede affidamento.
Per sprigionare il suo senso di compiutezza. In questo il check-up annuale viene riposizionato e ricollocato a lato, perché il centro è altrove.”
Dov’è il nostro centro?
L’eccessiva dipendenza dal giudizio (medico in questo caso) degli altri ci pone in uno stato di immotivata debolezza. Si apre un percorso di protocollo che esclude l’unicità della persona anche come capacità di autoguarigione in presenza di una diagnosi presunta.
È molto vero quello che dici, Iside, e ciò mi apre al ricordo di un’esperienza personale.
“In questo meccanismo ben oliato di sicuro ci saranno persone che hanno visto individuare una piccola massa sospetta”
A me è capitato quanto sopra e al momento della biopsia….(al polmone) ho detto FERMI !! interrompendo la catena di rimandi (da medico a medico) del paradigma terapeutico ospedaliero. E ho cercato di capire l’Altra Via. Una scelta che voleva evitare conseguenze (collasso) dalle quali si sarebbero scatenati altre complicazioni. Ed è stato un consulto multidisciplinare quello che ha scongiurato tale pericolo e “smascherato” la falsa diagnosi.
Questo tempo di attesa e di scioglimento del dubbio visivo dello strumento diagnostico, tempo pensate di precisi 40 giorni, si è inserito e calato proprio nel tempo pasquale rivelando quello che noi credenti chiamiamo incarnazione.
Quel vuoto di cui parli e che io ho sentito dentro in quei giorni si è colmato di significati solo grazie alla meditazione, alla preghiera, alla contemplazione, all’ascolto più attento del proprio corpo. Mi ha fatto comprendere il senso profondo della “benattia” (cosi la chiamo) e a scongiurare la paura ad essa collegata. È vero…L’io in relazione relativizza l’idea di prevenzione sublimandone il significato e sganciandolo dalle subdole funzioni strumentalizzate di un sistema
Grazie
Buongiorno dottoressa,
Mi aggiungo anche io in questo essere d’accordo con la riflessione che propone, così attinente e liberante. Voglio fare un piccolo passo (teniamoci ‘piccoli’ altrimenti poi c’è il rischio di ‘sentirci grandi’) di sincerità. Non amo la medicina tradizionale, pur riconoscendone progressi e tutto ciò che lei sa meglio di me… diciamo che ne sono quasi atterrita! Ho affermato spesso una cosa molto forte: l’odio verso la maggior parte degli operatori sanitari. E nella mia parentela più stretta ve ne sono! So che è una ‘critica senza senso critico’ , vuota, data soltanto da una rabbia personale e magari ‘più in là’ anche collettiva. So che proprio quei dottori che mi spaventano talvolta sono coloro che aiutano e che salvano delle vite e via discorrendo. Che non sono onnipotenti e che le aspettative spesso se lo prefigurano. So che io stessa potrei averne bisogno, per quanto ammetto di evitare controlli come più mi è possibile (sono forse alla parte opposta degli assidui), servendosi soltanto di una certa ricetta che di cui ho necessità. Inutile raccontare in questa sede le mie esperienze pregresse, chissà quante persone ne hanno in tutta la storia del mondo: ” niente di nuovo sotto al cielo”, dunque. È questo probabilmente il mio personale ‘ contro ego’, quella parte pur sempre egoica che si schiera versus l’organismo che lei tanto bene descrive… due facce di una stessa medaglia, in pratica, se ho capito bene. Ciò cui voglio giungere è il sollievo che mi da leggerla e sapere che nel mondo vi sono medici veramente tali, che alla ‘occhiata clinica’ aggiungono quella del cuore… quale accogliente cura migliore per chi non sta bene, ove lo spirito che tale unione chiama si espande come un vento che può anche, talvolta, risanare completamente. Mi scuso se aggiungo alla sua sofferenza questa mia piccola ‘ confessione’ , al contempo veramente grazie per aver chiarito tante cose che aleggiavano nei miei dubbi, di questa sentita apertura tanto confortante ed illuminante. Mi ha aiutata a comprendere una cosa ovvia e naturale per molti, e cioè che posso re-imparare a dare fiducia se ho bisogno di aiuto… speriamo di no! Ma siamo caduci si sa; eppure con tutta la paura che rimane a stuzzicarmi, cerco di com-prendere nel mio cuore, ancora prima che nella mente, questa verità, questa necessità’ di dose in dose’.
Grazie!
Un caro saluto,
Giorgia
Che belle riflessioni Iside, che condivido pienamente. Come si può pensare che la “prevenzione” si riduca al cercare più precocemente la malattia.. Su questo inganno si inducono le persone terrorizzare a sottoporsi ad ogni tipo di screening, malate potenziali che devono dimostrare di non esserlo! Una vera perversione, che evito accuratamente, preferendo vivere pienamente in parole di vita, non di morte. Penso alle diagnosi brutalmente comunicate e percepite come “sentenze di morte”, o a tutti i “falsi positivi” che gettando il paziente in terribili stati di angoscia genereranno nuovi conflitti. Ma si può ancora credere in una medicina, almeno in ambito oncologico, che da una settantina d’anni non ha trovato altri rimedi che “tagliare, bruciare o avvelenare”? E tutto ciò che prova a immaginare un approccio diverso viene stroncato sul nascere, demonizzato e ostacolato. Forse è lecito pensare che il “cancro” rende troppo, per essere sconfitto. Fortunatamente, ancora esistono medici che operano in scienza e coscienza, con mani e cuore caldi, che vedono nel paziente che hanno di fronte non un aggregato casuale di cellule, ma una persona in difficoltà, da accompagnare nel suo percorso di guarigione.
Innanzitutto desidero precisare che io non sono un medico. Ho una formazione scientifica (sono laureata in scienze biologiche), ma il punto di forza del mio curriculum è che ho una multidecennale esperienza da paziente, cosa che segna e guida tutta la mia riflessione.
Uno dei tanti inghippi legati agli screening di massa è che li si considera a costo zero, quindi con solo beneficio da ricavare. Ogni atto terapeutico, però, porta con sé dei rischi e degli effetti collaterali che vanno valutati con cura. Un numero elevato di persone che si sottopone ad analisi di screening o assume farmaci per prevenire ad esempio un evento cardiovascolare non avrebbe comunque mai quell’evento che cerca di scongiurare. Inoltre, ci sono i falsi positivi che, sul numero molto alto delle persone sottoposte a questi trattamenti, sono in ogni caso rilevanti. Questo porta ovviamente ad un’altra serie di analisi inutili.
Anche io come Pasqualino ho esperienza di un falso positivo, per me su una mammografia ; per mia madre era invece stato un sospetto sull’intestino. La differenza è che io mi sono rifiutata di sottopormi alla biopsia che sarebbe stata più invasiiva del solito per la localizzazione del nodulo (sospetto già in modo incerto in sede di esaminazione). Mia madre invece ha voluto procedere, sottoponendosi ad una colonscopia con dolori così intensi che non poté essere portata a termine. Cosa che ha indotto a prescrivere una TAC virtuale. Alla fine tutto negativo. In entrambi i casi è passato abbastanza tempo da poter dire che effettivamente erano entrambi falsi positivi.
Sappiamo che gli aneddoti non contano, ma forse sarebbe il caso di valorizzare molto più attentamente l’esperienza soggettiva, il contesto sintomatico, la storia clinica, i fattori di rischio comportamentali ed ambientali ecc. In teoria è ciò che si dovrebbe già fare, in pratica temo che la lusinga dell’esame facile (e del profitto, come fa notare Tea) sia molto più forte.
Questo certo non aiuta a sostenere la fiducia di cui avremmo enormemente bisogno, come testimonia il commento di Giorgia, dato che come esseri umani siamo originariamente esseri relazionali radicati nell’affidamento.
Grazie per questo dialogo, come dice Franca; grazie anche a Salvatore e Silvia. Un caro saluto a Maria Antonietta, con cui siamo state per un tratto compagne di viaggio in DarsiSalute e che ricordo con particolare affetto.
iside