Il procedere con il progetto “L’Universo delle Psicoterapie” mi porta alla descrizione dello sviluppo storico fino ad oggi della corrente degli approcci Integrati nelle psicoterapie, da intendersi, però, differenti dagli approcci Integrativi, per dirimere la confusione sia nel pubblico dei fruitori degli aiuti psicologici, sia negli stessi psicoesperti.
Suddividerò la relazione in 2 parti.
Incrocerò tali informazioni attraversando anche i vissuti dell esperienza formativa ed integrativa della mia persona negli ultimi 20 anni almeno (obiettivo integrativo mai del tutto raggiunto in tale complessa disciplina e vicenda umana).
Dicevamo nello scorso scritto, il n.4, che nel gruppo AttraversaMenti – psicologia e spiritualità – ci muoviamo sempre lungo una denuncia ed un annuncio, ed in questa mia testimonianza propongo una chiarificazione su ciò che credo obsoleto da un lato e invece fondamentale dall’altro nel procedere della psicoterapia, secondo una visione integrativa e cristiana (possibilmente).
Il fine è quello di giungere ad una integrazione più completa ma semplice a fondamento di un modello per un aiuto psicospirituale psicoterapico professionale.
L’esperienza e i concetti che descrivo sono inscritti nell’intelletto e nel cuore, desunti dall’attività di ascolto delle persone/pazienti negli anni, in qualità di psicologo clinico e psicoterapeuta. Considero, inoltre, Ie svolte radicali che il percorso Darsi Pace ha procurato in me negli 8 anni di frequentazione e nei 5 di formazione nel gruppo formatori, con l’ardore di condividere un po’ della riconoscenza verso il percorso formativo, tutti i formatori supervisori e Marco e Paola, perchè tutto ciò ha cambiato il mio modo di lavorare e la mia vita.
Siamo sempre nella compagine del 2° movimento in DP, la Trasformazione del Mondo che segue alla Liberazione Interiore, ossia come ci relazioniamo alle vicende del mondo culturali, politiche, economico-sociali, avendo delineato negli scorsi scritti un mini percorso che potesse far intravedere un po’ di liberazione interiore potenziale in una fondazione coerente e riflettuta della metodologia clinico-psicologica dello psicologo, per un aiuto all’ IO desideroso di emergere, e il confronto tra il metodo che Marco e tutto il movimento propone per il raggiungimento di tale obiettivo e alcune linee di pensiero operanti nel mondo della psicologia clinica contemporanea e non, accettabili o condivisibili.
Si tratta di una integrazione tra gli spunti, le parole, i concetti esposti nei 6 scritti precedenti (soprattutto gli ultimi 2), e i metodi proposti in DP. Voglio parlare di ciò che intendo
per metodo favorente l’Unità Integrante dell’Io, o meglio una
Psicoterapia Integrativa Relazionale per l’IO.
Dirimere la confusione richiede una brevissima distinzione tra i modelli o le teorizzazioni dello psicoesperto, terapeuta o clinico al lavoro.
Abbiamo già distinto nello scorso scritto:
i modelli d’intervento che vogliono ridurre il deficit della persona sofferente, e
i modelli d’intervento che si pongono come favorenti lo sviluppo della stessa.
A questi, dobbiamo agiungere:
i modelli eziopatogenetici, di stampo medico (e/o psichiatrico), che reificano spesso la separazione corpo-mente-anima-spirito,
i modelli psicoanalitici e psicoterapeutici di scuole diverse, che spesso obbligano ad un adattamento a visioni ideologiche del caposcuola,
i modelli integrati e olistici, piuttosto dal gusto variegato (come un cono gelato con 3 gusti che alla fine non sa più di nessuno!), a volte eclettici, o poco sistematici e rigorosi, che rischiano la mescolanza di elementi incongrui o a volte inconciliabili,
i modelli integrativi, che si pongono un fine più circoscritto verso l’obiettivo di tendere a unire gli stati psicologici diversi, frammentati, in un IO coeso e armonico.
Questa chiarezza è di estrema importanza per i nostri fini.
Non mi sto riferendo alla fondazione di una scuola o approccio alla psicoterapia che voglia “salvare l’uomo” definitivamente come indica invece la via essenziale spirituale-Cristica, ma ad un aiuto professionale psicologico clinico e psicospirituale trasformativo, non scientista, che possa restituire all’uomo stesso
spontaneità, flessibilità nella risoluzione dei problemi, autenticità del suo essere, per ingaggiarsi poi nel mondo con un pieno contatto, consapevole del proprio compito da svolgere (o vocazione) per il miglioramento della condizione terrestre dell’umanità,
e che questo aiuto possa comprendere o includere l’apporto del messaggio cristiano. Insomma, una metodologia psicoterapica cristiana.
In questi anni, mentre realizzavo gli esercizi, la pratica meditativa, lo studio dei passaggi iniziatici presenti in ciascuna annualità, era per me un continuo sorprendermi, un continuo confronto o rimando veloce mentale alle essenziali pregresse esperienze piacevoli che una dopo l’altra hanno costruito negli anni o decenni passati dentro di me l’IO lavorativo, il mio sapere e la via su cui camminare per accrescere soprattutto il mio saper essere: si tratta della integrazione della persona-psicoterapeuta, piuttosto che solo il conoscere o studiare una teoria, applicare tecniche e identificarsi in un ruolo rappresentato.
Tale integrazione trasformativa è anche la capacità di assimilare e concertare bene i vari concetti psico-clinici, o gli approcci di scuole diverse ben giustapposte, affinchè siano compatibili con la propria personalità (non tutti riusciamo infatti ad applicare allo stesso modo, o ad applicare ciascun metodo diverso circa le psico-analisi-terapeutiche ) e con in più la coerenza di essere entro una visione antropologica (cristiana) precisa nel momento in cui si è ingaggiati nello spazio intersoggettivo con ciascuna persona che chiede aiuto.
Innanzitutto mi ha da subito colpito, già dai primi minuti del 1° incontro del triennio DP l’andare al “cuore dei problemi”:
accogliere-si in mente corpo e spirito,
approfondire la sgretolazione delle ideologie politiche nel mondo ed il cambiamento antropologico che si attraversa,
fermarsi … e permettersi di cambiare stato dell’Io, sostando nell’anima con la meditazione e poi anche con la contemplazione, ritrovare e ritrovarsi radicati su un sentire conosciuto ma sempre anche nuovo inedito (di un’ esperienza che la coscienza fa di sé, che è lo Spirito).
Saper fare sintesi di metodi per l’autoconoscimento riferendosi alle fondamentali qualità psicologiche dell’essere umano:
pensieri, sentimenti e comportamenti,
la coscienza,
le emozioni della paura e della rabbia,
la distorsione dell’anima ferita e il sistema maladattivo della matrice emotiva,
la perdizione dell’IO e il suo dover morire, il dissolvimento dell’Ego,
riconoscersi impotenti e, grati, chiedere aiuto a Dio,
ascoltare e affidarsi, cambiare lo sguardo,
favorire gioia e amore.
Queste esperienze o concetti hanno richiesto un certo tempo di frequentazione nel cammino non facile né scontato, perche io potessi individuarli e dargli una collocazione, leggerli come una sequenza entro un cammino composto e rigoroso, e che si riferiscono ad un’unica realtà:
la dissociazione/scissione e l’integrazione del mio Sè, l’Unione dell’Io e il poter diventare Uno.
Passare dalla confusione-distrazione alla concentrazione su un’unica realtà a fondamento del tutto: la coscienza incondizionata, vero sé, l’essere naturale libero che ci abita.
Tra tutti i modelli qui sopra esposti, personalmente trovo più attuali, al momento storico di transizione antropologica che viviamo, quelli che propongono una finalità Integrativa.
Ora, nel mondo ci sono varie proposte psicoanalitiche-psicoterapiche che hanno prodotto delle sintesi tra teorie e tecniche, o veri e propri movimenti o associazioni professionali o culturali: la psicosintesi, gli approcci Transpersonali, un gruppo emergente che fa capo all’APC-associazione di psicologia cattolica-, alcune tendenze all’interno della Scuola Cognitiva che propone “psicoterapie di Terza Generazione”, o terza onda, distinguendosi dal comportamentismo (prima generazione), dal cognitivismo (seconda generazione), e un approccio cognitivo comportamentale, che integra la mindfulness, l’act – acceptance and commitment therapy, di cui si è parlato nel n. 2 di questa rubrica, la compassion focused therapy, la schema therapy, e altre… (terza generazione).
Tuttavia, a me pare che in alcuni, o molti casi, ciò che è carente è proprio una visione di insieme più completa che possa integrare non solo tecniche psicologiche, quanto proprio una visione nuova che legga le vicende del mondo e dell’uomo contemporaneo da un lato in disfacimento, e dall’altro nascenti in questa Nuova Età dell’umanità e direi della Cristianità.
Darsi Pace si sforza proprio di ricomporre con uno sguardo a 360° le categorie per interpretare le sofferenze dell’umanità sulla terra, da diversi punti di vista, e così facendo “fonda un metodo” che sia altro da quelli parcellizzanti, che scotomizzano questioni rilevanti (socio-economiche, politiche, culturali, legate alla tecnologia e dei new media, spirituali o ecclesiali, ecc.), affinchè si possa guardare alla persona umana come risultato di una complessità che non può ridursi alle tecniche, alle teorie, o alle ideologie sulla cura, che non dicono molto sulla guarigione, cosa si deve curare, che cosa si intende per salute, e così via!
In ogni caso, mi pare che manchi una teorizzazione che si riferisca ad un “pensare sul senso”, inteso come difficoltà di avere un senso o dare senso ad ogni attimo della nostra vita: voglio dire che non esistiamo come singole unità biopsicologiche, ma siamo sempre “in relazione” a qualcosa, addirittura potremmo dire che siamo tutti connessi, un unico corpo umano…
Quindi, necessita una visione di secondo livello, una “teoria della tecnica” che possa racchiudere le acquisizioni psicologiche-scientifiche acquisite fino ad oggi, e che io intravedo nel “concetto di Relazione”.
La Relazione è un costrutto mai del tutto compreso, anche se ne parliamo continuamente, anche in psicologia.
Con chi e che cosa essere in relazione?
Come poter mettere al centro di tutto la Relazione?
La Relazione è la controparte dell’Ego separato e disunito?
Anche la psicanalisi nei cento anni e oltre di fondazione è passata dal pregiudizio individualista a considerare la relazione come a fondamento della sua missione, tanto che oggi, come afferma anche Cencini, … “la relazione terapeutica non è solo mantenere la connessione tra terapeuta e l’altro, ma creare un “terzo analitico”, cioè uno spazio intersoggettivo dentro cui nasce l’itinerario terapeutico” (2015), per una Psicoanalisi Relazionale, che oggi si ritrova come prassi consolidata in importanti associazioni internazionali che sfidano gli approcci classici freudiani e post freudiani, quelli in cui c’è un esperto che interpreta e guida la cura analitica rifacendosi ad un caposcuola o maestro particolare.
Dicevamo di mettere al centro la Relazione: direi che per quanto ne so io, la maggior parte degli approcci psicoterapici non mettono a fondamento la relazione, da non confondere col metodo relazionale di interagire col paziente.
La Relazione di cui parlo io è:
“una metodologia che punta a creare nella diade terapeuta-paziente una sorta di Unità (nella terzietà), unione fatta di reciprocità e condivisione di chi propone un bisogno (nella sofferenza, o sofferto), e chi propone o dispone di uno spazio umano di comunione
in cui poter condividere tale bisogno; in genere proprio offrendo come terapeuti una risposta reciproca e complementare al bisogno stesso, ossia:
-se la persona che ci è di fronte mostra l’emozione della gioia, si dovrà corrispondere con la gioia,
-se mostra tristezza, si corrisponderà con compassione,
-nella rabbia, si offrirà la propria presenza seria e attenta alle ragioni della rabbia,
-nella paura si offrirà protezione.
Nella diade emotiva, e solo così reciprocamente, si può avere una Relazione (che poi rimanda anche ad una dimensione spirituale dell’unione). Con tali corrispondenze, e allineati ai bisogni della persona (andando addirittura al di là dell’empatia), si riesce a vivere insieme una relazione “unitiva” ed integrativa nella reciprocità (ed è ciò che il più delle volte ho sperimentato e sperimento nella relazione formativa dei gruppi Darsi Pace, e nel sentimento unitivo che tiene legate le persone ad un gruppo “quale referente simbolico di un’appartenenza affettiva” e comunionale se pur a distanza di centinaia o migliaia di chilometri), che rimanda ciascuno non solo a godere di quella pacificazione interiore personale sempre attesa, ma anche ad un senso di pienezza del cuore e di gioia di chi si sente riconosciuto, valorizzato, custodito e … amato!
Fine prima parte.
Riferimenti di bibliografia:
Cencini, A., Manenti, A., 2015, Psicologia e Teologia, edizioni EDB, Bologna
Grieco, M., 2019, L’universo delle Psicoterapie (2): la Terapia Cognitivo-Comportamentale contemporanea di Terza Generazione (ACT) e la Mindfulness.
Postato il 11 FEBBRAIO 2019 in Darsi Pace -pagina web, nella categoria AttraversaMenti
Erskine,R., 1975, Teorie e metodi di un’analisi transazionale integrativa: un volume di articoli selezionati (pp. 227-288). San Francisco: TA Press.
Erskine, RG, Moursund, JP, & Trautmann, RL (1999) Oltre l’empatia: una teoria del contatto nella relazione.Filadelfia: Brunner/Mazel.
Buonasera, che ne pensa della terapia strategica di Giorgio Nardone? Grazie
Salve Moreno, difficile parlarne in un contesto così breve.
Dipende anche di quale tipo di informazione ti possa servire, in ogni caso come ho detto in questo o nello scritto precedente, c’è da distinguere se la terapia vuole ridurre un deficit, o vuole promuovere sviluppo. A me pare che la terapia strategica voglia ridurre il disturbo conclamato, il problema disfunzionale o comportamentale, ed è più raro in ciò che è di mia conoscenza sentire che ci si occupa di ampliare la conoscenza su di sè se non circa solo per ciò che attiene al tipo di problema che si vuole eliminare. Penso anche che non sia una metodologia affine a nostri interessi in Darsi Pace, in cui non possiamo prendere in esame ogni modello terapeutico che non abbia almeno un interesse comune intorno al quale discutere.
Dimmi piuttosto a quale livello vuoi che ti dica, e se conosci i fini ed i modi in cui opera la terapia strategica.
Mi interessa poterti soddisfare di più su tale domanda.
A presto. M.
Ciao Michele
grazie per l’impegno e la chiarezza con cui porti all’essenza sia l’approccio all’IO nella tua esperienza di questi anni in Darsi Pace, sia il compito evolutivo della Relazione terapeutica.
Nella mia esperienza di psicoterapeuta sento di aver incontrato in questi anni in Darsi Pace proprio ciò a cui la mia anima anelava, un approccio integrato alla persona umana e alla sua antropologia, appartenente ad un sistema in fase terminale ma con la speranza di una nuova nascita che ogni giorno attraverso la pratica meditativa si rinnovava. La fermezza con cui il mio IO ha affrontato le difficoltà crescenti degli ultimi tre anni si è basata sulla consapevolezza profonda di essere in contatto con la mia essenza profonda e sostenuta dalle forze dello spirito.
Antonella
Grazie Michele per questo interessante articolo, allo stesso tempo ricco di informazioni a me nuove e chiarificatore di concetti già noti ma non del tutto compresi. Mi riferisco ad esempio alla spiegazione del concetto di Relazione, davvero molto apprezzata.
Nell’attesa della seconda parte, vado a recuperarmi i capitoli precedenti!
A presto. Giuseppe