“Simone è un ragazzo così tranquillo! Suvvia, non vedete com’è dolce il suo sguardo?”: una frase che fin troppo spesso mi sono sentito ripetere da quanti hanno occhi che non riescono a guardare oltre la linea dell’orizzonte. Dentro di me – ne sono ben consapevole – regna infatti tutt’altro scenario: sono furibondo; il mondo è in fiamme, ed come se avessi un’intifada in corso dentro di me.
Non sono affatto tranquillo sotto la superficie: c’è in me un deposito di polvere da sparo pronta a far saltare per aria ogni relazione o affetto – in base al vento che tira – perché ogni relazione mi consuma fino all’osso. Ho un impulso fortissimo a voler far terra bruciata attorno a me di qualsiasi pianta in fase di fioritura stia crescendo nel mio orto. E il bello è che non sono neanche del tutto cosciente di ciò che mi tiene ingabbiato in questa scatola: spesso è una sorta di terribile magia nera. No, non lo so, alla fine, con chi ce l’ho davvero – se non col mondo in generale.
Il nostro Io egoico-bellico può essere veramente terribile e fare un sacco di danni incalcolabili: me ne avvedo. Così, minaccio furiosamente di chiudere rapporti a cui tengo, tentando di spaventare l’altro in un diabolico capovolgimento di ruoli rispetto a quanto mi veniva fatto vivere da piccolo: occhio per occhio, dente per dente, si sa; ecco il mantra dell’Ego. “Come voi avete fatto a me, così io adesso faccio a voi”. L’esatto opposto del messaggio cristico. Il mio corpo non lo percepisco neanche più se non come un bastone di legno fatto solo di ossa rigide e muscoli contratti. “Ma andiamo, però, Simone!” – mi dice una voce interna – “Non esagerare! Dai, distraiti, vai a farti una passeggiata – oppure accendi la musica, chiama un conoscente con cui magari puoi litigare!”.
E così, dando credito a queste parole, finisco per ignorare quel grande malessere in me. Lo trascuro, non ascolto il mio corpo – e più lo trascuro, più il dolore si accresce – finché arriva il momento del collasso. Ho davvero notato in me questo meccanismo cata-strofico: quanto più lascio il mio Ego in balia di sé stesso, non curandomene, quanto più lascio che i rami pesantissimi prolifichino e si moltiplichino sopra a quel ceppo troppo debole per sostenerne il carico e dalle scarse radici, senza badare a potarne già adesso almeno un po’, tanto più la botta è forte allorché lo stesso tronco, gravato dal peso dei rami, crolla su sé stesso.
È solo allora che, alle volte, sopraggiungono le lacrime, gli spasmi, i singhiozzi profondi, tutte quelle correnti ad attivarsi per rimettere in circolo le energie di corpo e mente bloccate, cercando di riassestarle, sino a farmi precipitare, quasi obtorto collo, in quel silenzio interiore in cui non c’è più nessun Io vecchio che parla – e in cui si creano le condizioni per ascoltare una parola davvero rigenerante altra-da-me. Questo meccanismo, d’altra parte, è il medesimo che caratterizza i tempi storici che viviamo, come Marco Guzzi stesso afferma ne La Nuova Umanità:
“Proprio attraverso la catastrofe (…) dell’egoità dominante si sta facendo strada la speranza e a volte l’esperienza diretta di un’altra condizione psichica abitabile, di un altro stato, meno totalitario e asfissiante, e quindi più pacificato, dell’anima.”. E, ancora più avanti: “È come se l’evoluzione della modernità, che ha portato al massimo livello e su tutti i piani l’espressione e l’espansione dell’io ego-centrato, sfociasse spontaneamente nella katastrophé dell’egoità stessa, in una specie di nuova forma di ascolto spirituale (…).” (pag. 76-77).
In altre parole, è nel momento in cui l’Ego stesso raggiunge il suo punto di massima espansione che crolla. A tale proposito, però, ho osservato un insight che qualche tempo fa mi giunse di sorpresa; una voce che mi diceva: “Tu, Simone, sei troppo abituato a tendere il tuo Ego, ad accrescerlo, a sottoporlo a uno stretching, a un carico di tensione pazzesca, finché, come una corda o una canna esile in mezzo alla tempesta, non si rompe. Ma non è un meccanismo molto sano; non ti fa bene. Ti costringe quasi a maltrattarti – o a violentarti. Puoi, già da adesso, essere più morbido – in primis con te stesso”. Il mattarello che infatti si muove su e giù sopra l’impasto di pastafrolla da lavorare va steso con gentilezza; se estendiamo l’impasto fino al suo estremo, fino a deformarlo, per prima cosa esso si assottiglia: si fa sempre più fragile, friabile (e questa è la condizione in cui versa l’uomo del quasi “trans-umanesimo”); dopodiché, si strappa o si sfilaccia direttamente; in mille pezzi, come mostrano con chiarezza, per esempio, le varie patologie psichiatriche oggi in costante aumento, interpretate tra l’altro perlopiù su basi di scarsissima conoscenza dell’umano.
La “messa a nudo”, o spoliazione, sembrava dirmi questa voce, è sempre buono che avvenga con molta gradualità e dolcezza, nel massimo rispetto dei tempi personali; non si può desquamare l’Ego con brutalità; perché quando la Vita ci strappa di dosso i vestiti con troppa violenza, il rischio che si corre è quello di restarne segnati a vita – e, magari, di non riprendersi neanche più – o con fatica. Eppure, sarebbe così facile sottrarsi a questo automatismo: credere con largo anticipo, prima della botta finale, che quei rami mezzi marci proliferati sul ceppo non sono il lussuoso fogliame del nostro arancio; che quel grumo di pensieri male-detti, quel glomerulo di fuscelli tesi e stecchiti non sono io. Discernere.
Lasciarsi andare al respiro e alla sua sinuosa cadenza acquietante. Alle volte almeno io noto che faccio una fatica terribile ad affidarmi a quel ritmo, che presuppone un movimento di fiducia verso la cosa più semplice ed elementare che esiste: l’aria che entra ed esce dalle narici. Ma perché ho questa difficoltà? – mi chiedo. Di che cosa ho veramente paura? Questo affidarmi mi riporta indietro ad un terrore ancestrale: quello di non essere sostenuto o con-tenuto, come un neonato che avverta il pericolo di cadere a terra dalle braccia della madre e di morire, se non viene maneggiato con attenzione. Che cosa succede se mi affido? Cadrò in mille pezzi di nuovo? Ci sarà qualcuno o qualcosa a tenermi? Allora comprendo quanto atea sia spesso la mia fede e quanto la sfiducia e la paura di abbandonarmi al flusso, facendola da padrona, siano le resistenze più forti che mi ostacolano – e che mi inducono a “trattenere”, a quell’attitudine di “avarizia” (direbbero gli i conoscitori dell’enneagramma) che costringe in un rigor mortis tremendo.
Decidere anticipata-mente, come scriveva Heidegger, di morire a sé stessi, rinunciare a ciò che si crede di essere è un gesto di grande determinazione e coraggio; che implica però un confronto radicale con la paura primaria dell’umano, quella di disintegrarsi in mille pezzi se ci si affida. Si tratta di un lavoro certosino, di pazienza e da affinare ogni giorno sempre più, in barba a tutte quelle tentazioni che ci sussurrano che tanto non ce la faremo mai: dare credito a queste voci, sì, è il vero pericolo, che può farci smarrire la Via del Ritorno. Piano piano lo sto imparando. Del resto, fu Gesù stesso a dirlo: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9, 23). Ci proviamo; con fatica; anche se cadiamo spesso. Ma nella ferma convinzione che ogni tentativo dell’Ego di ipertrofizzarsi può essere contenuto da una maggiore morbidezza; e che ad ogni caduta cui andremo inevitabilmente incontro sarà sempre più facile rialzarsi.
Caro Simone, ti ringrazio di cuore per questo scritto; il tuo guardarti dentro senza retorica ma con grande onestà è anche un regalo per chi ti legge. Lo è sicuramente per me, la luce pacata che getti sui tuoi meccanismi inconsci illumina anche i miei (rimango sorpreso, mi sento veramente descritto… esclamerei quasi “ma sta parlando di me!”) e mi invita a guardarli, prima di tutto, con maggiore serenità. Come dire, “sì c’è tutto questo, tutto questo è vero, ma non bisogna disperare, c’è una strada di uscita, c’è un ricominciamento, ogni giorno”
Questo lavoro certosino, questo “imparare a guarire”, come titolo che mi venne tempo fa per il mio piccolo esperimento di poesia – proprio sulla scia di questo laboratorio – a volte mi pare tutto quello che ho in mano. Ed è già molto.
Grazie Simone per questa illuminante testimonianza! Frutto di un ottimo lavoro in corso…Il cammino può essere arduo, ma se fatto con questa consapevolezza certamente ci saranno i risultati…Daltronde i nodi si sciolgono con pazienza e dolcezza, non con lo sforzo..Riuscire ad entrare nel ritmo del respiro non è facile, e non avviene con il gioco-forza (come diceva il grande Gerard Bliz); ma con “l’abbandono, la fede-fiducia, e l’amore per la ricerca del Divino”. Buon cammino in DarsiPace! ??
Grazie per il tuo fresco aiuto a perseverare con gioioso cammino verso uno stato interiore più vero ,pacificato e capace di speranza attiva , anche contro i nostri pensieri male-dicenti e sfiduciati.
Certo è faticoso vivere, in Darsi Pace stiamo imparando che oscilliamo in continuazione tra lo stato egoico – bellico e lo stato in conversione.
È importante perseverare e non arrenderci alle distrazioni di questo mondo che ci vuole deboli e facilmente addomesticabili.
Grazie Simone
Un caro saluto
Simone, riesci sempre ad avere uno sguardo molto lucido su di te, e mi verrebbe da dire, talvolta fino ad essere spietato. Eppure dalle profondità più buie sai lasciare emergere le intuizioni del nuovo; sai riconoscere il buono che ti definisce vera umanità.
C’è davvero tanto da imparare da testimonianze come la tua. Le persone che soffrono molto sono le più interessanti perché sono quelle costrette ad interrogare la vita nella sua essenzialità.
iside
Quando Paola Balestreri, in una lettera indirizzata ai Praticanti della seconda annualità, raccomandò la perseveranza a fronte di probabili scoramenti e stanchezze, che sarebbero forse insorti a questo punto del percorso, mi sorpresi non poco, e ritenni di essere immune da simili percezioni, al momento. Ma mi sbagliavo, e di brutto, se oggi, leggendo queste vostre testimonianze, mi specchio completamente nel vostro oscillare penoso e reiterato tra l’Ego e l’Io in conversione/contemplazione. Non solo mi rispecchio, in verità opero una ricognizione dolorosa dentro le mie modalità belliche di relazione, e mi affloscio, mi accartoccio nei dubbi. Sono scissa nel mio sentire, non so se dare credito a ciò che afferma “la pancia” o a ciò che il cuore le contrappone, in fasi alterne. Ed è proprio questo alternarsi perpetuo che mi destabilizza. Mi osservo: ora provo fastidio verso Tizio, a prescindere dal suo comportamento talvolta, o anche per una sensata causa. Lo bistratto, lo biasimo, me ne allontano. Mi sento male, mi giudico intollerante e insensibile. Considero in me la presenza di opposti sentimenti: di repulsione e di rabbia, quindi subito o poco dopo, di comprensione e benevolenza. Sono matta, dev’essere così. Sono inaffidabile e discontinua. Tocco con mano la mia miseria, e penso che è tutto inutile il mio lavoro, il mio sforzo di liberarmi dagli automatismi dell’infanzia. Eccolo lì lo scoramento, è bastato voltare l’angolo. Paola aveva ragione dunque… e ha ragione Simone, quando descrive la propria facciata sorridente, quasi serafica, a dispetto dei tumulti interiori che ha dentro. Anch’io, sì. EGO QUOQUE. Nessuna terapia psicologica mi ha dato risposte altrettanto convincenti e appropriate quanto quelle che ho trovato in Darsi Pace. Allora respiro in silenzio, nel segreto della mia stanza. Allora cerco di accettare l’irregolarità del ritmo e le sincopi. Allora penso: non sono io questa paura, questa rabbia. Riesco a fatica a immaginarmene al di fuori, al di sopra, e a sorridere. Mi concedo di abbracciarmi, di accogliermi senza giudizio. Ah, quanto difficile! Le lacrime a volte tracimano, lavano, portano via, scorrendo verso il basso. E penso a Paola, con un gran senso di umiltà. Quanta la strada da percorrere! Come dice la canzone: “…credevo di volare e non volo…” Sì, però sto costruendo le ali, piuma con piuma, ed una impalcatura robusta e leggera per veleggiare. Buon vento a noi, alianti in preparazione. Tra timore e fiducia, e gratitudine.
Caro Simone,
grazie del tuo bellissimo scritto. Ogni parola è precisa e puntuale, si vede che nasce da un processo che pur nelle sue tante difficoltà si sta veramente incarnando. Sono felice, come tua tutor, di poter essere testimone della tua crescita, di questo lavoro che stai realizzando con grande determinazione. I tuoi doni stanno pian piano emergendo, ripuliti pian piano da tutte le distorsioni dell’ego. Emergono prima di tutto attraverso questa capacità di usare la parola poeticamente e potentemente allo stesso tempo. La tua parola è infatti poetica e vibrante, dolce e forte, evocativa ed acuminata. Penso ti rispecchi, dolce e pieno di fuoco come tu sei. Ti capisco benissimo inoltre, anche a me mi venivano e mi vengono ancora oggi dette le stesse cose, con quei giudizi taglienti dell’ego che pretende di sentenziare sulle persone senza mai sforzarsi di andare più in profondità. Quanto mi hanno ferito quei giudizi, quelle parole infierite come lame, dandogli poi – in passato- così tanto credito, come se la parola dell’altro fosse veramente portatrice della verità ultima su di me. Non dargli peso Simone, sono parole proferite da un ego ferito, oltretutto nemmeno consapevole di esserlo. Ora sai che la parola autentica, quella che ti rivela ogni giorno il mistero che sei, nasce da ben altri luoghi, sgorga da ben altre fonti. Piano piano quell’albero sta mettendo radici sempre più forti, e ci allieta con la sua bellezza e con il suo profumo di fiori di primavera. Anche tu ne stai diventando sempre più consapevole, e ce lo testimoni ogni volta attraverso i tuo bellissimi testi.
Grazie caro Simone per tutto quello sei, sei prezioso per tutti noi.
Maila
Simone nella tua sofferenza ..mi ritrovo in pieno…in questo momemto della. Mia vita .quanto male ci procuriamo…inpersonando personaggi che non fanno parte di noi……percche in qusta società smascherare e pericoloso avvolte .franteso .e questo sforsarsi si ripercuote nel profondo …di noi .e poi arriva il crollo …all’ora inizia una ricerca…
Io ho trovato questo movimemto darsi pace…solo il nome e un bel programma di vita. Mi ha rapito..sto iniziando ascoltarmi e seguire il mio respiro…lasciare andare… per ritrovarmi…grazie
Grazie infinite Simone
Mi aggrego ai tanti messaggi di ringraziamento per la tua testimonianza Simone. Che bello se tu potessi essere voce per tanti giovani come te. Noi “vecchiotti” non possiamo arrivarci! Sei invitato a Padenghe sul Garda, per una testimonianza, un’attivazione tra giovani a confronto o altro… (Cascina Pralongo 3339529206 Giovannimaria). A presto!
Grazie a voi tutti, amici (Marco, Vania, Ivano, Salvatore, Iside, Stefania, Maila, Susanna, Bianca, Giovannimaria) dei bellissimi feedback e delle risonanze…che mi aiutano a percepire un senso maggiore di unità tra tutti noi e il genere umano. Siete voie e sono le vostre parole il dono più prezioso che mi fate. Il processo di smantellamento delle nostre parti egoiche è delicato, poiché destrutturarle significa togliersi brandelli di carne che sono divenuti la nostra persona essendovici impressi sopra. E si ricade sempre, come solito, sempre..perciò molta pazienza e tenacia. Nonostante le mille difficoltà, quei periodi di scoramento, le malattie varie, i farmaci e gli psicofarmaci rifilatici continua ad esser dentro di noi la sorgente più profonda da ascoltare. Purtroppo non spesso ascoltiamo parole rigeneranti da parte di chi ci sta accanto, poiché tutti ci muoviamo a livello superficiale, anche nei dialoghi che conduciamo. Raramente incontri del genere almeno a me sono capitati.
Ma come diceva Ungaretti, solo la “parola scavata dall’abisso” può salvarci e rigenerarci. Attingere alla quale è faticoso, c’è bisogno di morire al nostro Io presuntuoso.. ma 1) non è affatto impossibile 2) si tratta della cosa che ripaga più in assoluto su questa terra..quando accade.
Vi ringrazio ancora tutti, amici, augurandovi un percorso ricco di ulteriori scoperte su tutti voi e un prospero contatto costante con la Luce divina che ci abita!
Simone