Chiunque si trovi nella necessità di prenotare una visita specialistica all’ASL, avendone già avuto qualche esperienza, sa bene di doversi mettere il cuore in pace: alcuni mesi di attesa sono il minimo, talvolta si gira l’anno.
Se però si desidera velocizzare i tempi, si può optare per la visita a pagamento in intramoenia: stesso medico, stessi locali, stesse apparecchiature, ma il portafoglio aperto in modo diretto fa magicamente abbreviare la lista d’attesa a pochi giorni.
Se invece si vuole scegliere una prestazione privata pura, è sufficiente rivolgersi a uno dei tanti centri medici disseminati per la città – sempre ovviamente con la carta di credito pronta all’uso.
Il disincanto verso il servizio pubblico si sta facendo così evidente che ormai non ci fa quasi più effetto constatarlo, lo diamo per scontato.
Eppure la legge 833/78 aveva istituito il Servizio Sanitario Nazionale con caratteristiche di universalità e di gratuità.
Negli anni Novanta inizia lo scivolone verso il privato, con la significativa transizione dalle Unità Sanitarie Locali alle Aziende Sanitarie Locali.
A trentanni di distanza, avremmo bisogno di porci la domanda: può la sanità pubblica seguire le logiche del settore privato?
Credo che occorra intanto fermarsi su una differenza fondamentale.
Il pubblico eroga servizi a favore dei cittadini. Perciò, il guadagno dovrebbe essere valutato in termini di benessere acquisito dalle persone che si rivolgono a quel servizio. Le spese perciò sono in realtà investimenti per sostenere un incremento di fatturato inteso come persone più sane.
Il privato invece macina profitto. Il guadagno è quello degli shareholders, un buon manager sa tagliare le spese senza troppi scrupoli, purché il bilancio di fine anno sia sempre positivo in termini di denaro approdato nelle casse aziendali.
Mescolare i due approcci vuol dire leggere la sanità come settore con spaventosi buchi di bilancio che devono essere colmati con tagli di spesa. Peccato che ad esempio il personale sanitario venga considerato nella colonna delle perdite, invece che nella colonna degli investimenti. Avere cura del proprio personale vorrebbe dire verificare che il proprio capitale sia al sicuro.
La mentalità del profitto a tutti i costi, già di per sé devastante, lo diventa ancora di più quando si infiltra nel settore pubblico. La persona è fatta fuori, restano soltanto le transazioni.
Quello che ci rimane è un sistema sanitario frammentato, indebolito e votato perciò al dissolvimento, mentre un feroce sostituto è pronto ad arraffare il bottino.
Di là dalle analisi politiche ed economiche per cui non ho competenza, la domanda si sposta ad un livello più alto. Prima del direttore generale che contratta in Regione i finanziamenti per l’ASL per cui lavora, prima del Ministero della Salute che negozia per i fondi assegnati al dicastero di cui è a capo, prima delle multinazionali che promuovono i loro farmaci come se fossero un qualunque tipo di manufatto, prima dei finanzieri che speculano in borsa scommettendo sul mercato di una nuova molecola, prima di tutte queste declinazioni distorte, c’è da chiedersi: quale figura di essere umano può dare vita a un modello di questo genere?
Attraverso un accurato studio di noi stessi, impariamo a conoscere le caratteristiche del nostro io: separato, frantumato, impaurito, sempre nel timore di perdere qualcosa, sulla difensiva, diffidente, arrabbiato, litigioso, violento, oppositivo. Insomma, ciò che in Darsi Pace chiamiamo io egoico-bellico.
Questa però non è l’unica figura umana possibile.
Infatti, siamo fatti di sostanza malleabile e quindi possiamo sfruttare la neuroplasticità del nostro cervello per acconsentire al rimodellamento dei pensieri, delle emozioni, di ciò in cui crediamo. Nelle profondità del nostro essere, possiamo sentire che ci si rivela una nuova identità, più vera, quella libera dei figli di Dio.
Possiamo allora lavorare a questo livello, quello cioè della struttura antropologica che incarniamo, mettere mano all’aratro e rivoltare la materia di cui siamo fatti, farci luogo di un rivolgimento rivoluzionario per esprimere una nuova antropologia fondamentalmente relazionale.
Il nostro io potrà essere così liberato dalla rigidità in cui è ordinariamente intrappolato, per scoprire potenzialità inaudite: unificazione di sé, accoglienza, ascolto, fiducia, abbandono nello Spirito come origine di sé, flessibilità, limpidezza di intenti, pace profonda, creatività…
Da questo stato di maggiore relazionalità, quale servizio Sanitario diventerebbe più realistico?
La salute avrebbe un senso molto più vasto e avrebbe a che fare con la centratura spirituale delle persone e il loro senso di serenità.
La cura delle persone sarebbe sollecita ed attenta, valutata sui criteri di espansione creativa del sé.
Alla relazionalità sarebbe riconosciuto un pieno valore terapeutico.
Il Servizio Sanitario interpreterebbe la propria mission come realmente universale e gratuita, giusta e proporzionata, al riparo dai ricatti del profitto.
Allora sì, potremmo provare a guarire sul serio, pazienti e medici insieme.
Sul tema del conflitto distruttivo tra pubblico e privato in sanità, segnaliamo il progetto di referendum promosso dal Comitato Generazioni Future di Ugo Mattei e Comitato Ripudia la guerra di Enzo Pennetta e firmato anche da Marco Guzzi per la tutela del servizio sanitario pubblico.
Per maggiori informazioni:
https://generazionifuture.org/10764-2/
No alla guerra, a qualsiasi guerra!
Promuoviamo la Vita, amorizziamo il mondo!
Grazie Iside, ben detto!
Purtroppo ci stiamo abituando sempre piú alla necessitá di ricorrere al privato, mentre il pubblico servizio evapora, nonostante i contributi che paghiamo a sua maestá!
Rassegnazione+ Abitudine+ Inerzia=
Modello USA (e getta) pronto, come dici tu, ad arraffare il bottino!
E noi, cosa possiamo fare?
Di certo, non appisolarsi, magari in sala d’ attesa! Ho firmato il referendum, e lo giro ai contatti. Speriamo che rispondano gli italiani.
Almeno, quelli che si lamentano.
Saluti. Brunella
Cara Iside,
Un grazie immenso per questa perla che ci hai regalato. Mi sono ritrovato anch’io, in quest’ultimo periodo, nella situazione da te descritta in partenza: attese infinite, lunghe, sfiancanti.. per poter prenotare un esame che tra l’ altro è possibile svolgere solo nel pubblico.. Ma credo anch’io sia arrivato il tempo di comprendere le cause reali e più abissali della nostra folle tendenza alla privatizzazione, che si fa ogni anno vieppiù accentuata..
Il neoliberismo – e con esso la struttura mentale di stampo predatorio e rapace – giace anche dentro ognuno di noi e non soltanto fuori.
Quando l’umanità avrà compreso questo, credo saremo a un gran punto di svolta nella consapevolezza della direzione che lungo l’asse della storia vorremo prendere.
Un abbraccio, grazie infinite ancora.
Buon lavoro,
Simone
E’ proprio vero cara Iside, anche nella sanità l’esito degli sforzi effettuati dipende dalla visione di umanità che c’è dietro.
Il tuo scritto espone in modo molto chiaro la situazione attuale, e anche la possibile via d’uscita. Nel nostro piccolo cerchiamo di creare ambienti e situazioni che possano rispecchiare una umanità più relazionale, ma su vasta scala c’è bisogno di politici e amministratori illuminati, speriamo di vederne presto!