In vista dell’evento di Verona, sabato prossimo, che vedrà un appassionante dialogo tra Federico Faggin e Marco Guzzi, pubblichiamo questa riflessione di Marco Castellani, che modererà l’incontro. Buona lettura! N.B. Non ci sono più posti disponibili per l’evento, che comunque sarà ripreso e pubblicato i primi di giugno.
Sono nel parco. Guardo questo rametto, con il quale ora sto facendo giocare Poncho, il mio cane. Me lo rigiro un attimo tra le mani, prima di lanciarlo. Ad osservarlo davvero, si rivela subito estremamente complesso. Una parte presenta la corteccia dell’albero, un’altra esibisce invece estesi squarci verso gli strati interni, come fosse stata abrasa la porzione di superficie. Le fibre gialle del legno si vedono bene, in queste faglie. Ci sono anche dei nodi, delle sbreccature. Appare anche sfilacciato ai lati, dove le fibre si seguono ancora meglio.
Cerco di immaginare che storia abbia avuto questo rametto, prima di finire per terra e poi tra le fauci di Poncho, per un poco. Ma non ne ho idea, in realtà. Da quale albero viene, che stagioni ha vissuto prima di distendersi sul manto erboso? Mistero. Qualcosa di cui stupirsi, ora ed ancora.
È strabiliante come gli organismi viventi abbiano trovato il modo di creare una fitta rete di interazioni dando vita a un ecosistema di una complessità e di una bellezza sbalorditive, trasformando solo materia inorganica e luce solare.
Non pago di essermi già perso, con la piccola ragione calcolante, vado ancora più indietro. Penso agli atomi di cui è costituito questo legnetto. Questi atomi agglomerati che tengo tra le mani – ora lo sappiamo bene – sono stati prodotti in una fornace stellare, a temperatura di milioni di gradi centigradi, hanno convissuto con la stella per milioni o miliardi di anni, poi sono stati scaraventati nel cosmo quando la stella è esplosa a supernova. Altra lunga storia poi ci sarebbe da raccontare per seguire il percorso che ha portato questi elementi a costituire il pianeta sul quale cammino. Alla fine li ritrovo qui, come costituenti di questo rametto, molto apprezzato come strumento di gioco dal mio cane. Il quale, anche, mostra chiaramente di non aver bisogno di fare tutte queste considerazioni per essere con i quattro piedi ben piantati nella (sua) realtà. Mi accorgo che anche lo sguardo che ho sul mio cane dovrebbe essere rinnovato, è troppo incrostato di pregiudizi antichi.
Non possiamo studiare gli organismi viventi come se fossero solamente oggetti fisici classici, perché la coscienza è fondamentale, e se non accettiamo la sua esistenza non saremo mai in grado di comprendere la vita. La vita è una espressione della coscienza e non della materia inanimata. L’informazione viva e il significato rappresentano rispettivamente la faccia simbolica e semantica di una realtà dinamica indivisibile.
Torno al rametto – ho quasi paura di cambiare lo sguardo! – allora sono tentato di ripararmi in qualcosa di semplice. Per sommi capi mi sembra dunque di aver ricostruito. Ma quanto ignoro della sua storia! E se guardo un albero, magari quello da dove (presumibilmente) proviene, mi accorgo ancora di più che non so nulla. Perché i rami sono messi in questo modo, perché sono in un certo numero? Non lo so. Non posso spiegare nulla di tutto questo. Che ne sai tu di un campo di grano? cantava Lucio Battisti, ormai molti anni fa. Difficile negare questa semplice verità. Per non parlare di misteri ancora più grandi. Che noi ricercatori nemmeno vogliamo vedere, spesso.
È sorprendente constatare che molti ricercatori credono che non ci sia molto da spiegare. Siamo così abituati a essere coscienti che generalmente non riconosciamo che la coscienza non può emergere dalla materia inconscia. Solo chi ci ha riflettuto seriamente si è reso conto che la coscienza è un problema irrisolto, con enormi conseguenze ontologiche ed epistemologiche.
Tutto è mistero. La realtà fisica è un mistero, e niente smentisce che la stessa realtà fisica non sia immersa in un mistero assai più grande (come ci dicono, sostanzialmente, tutte le più grandi tradizioni). Chissà perché noi questa faccenda ce la scordiamo tanto rapidamente, torniamo nella perniciosa illusione di aver capito quasi tutto, di avere un quadro chiaro del mondo intorno a noi. Pensiamo addirittura di poter definire Dio!
Si vorrebbe rinchiudere perfino Dio in una definizione. Ma, come ha detto don Angelo Casati il 3 maggio 2017 durante un intervento tenuto al Centro Culturale di Milano dal titolo “Che cos’è Dio”: “Occorre un modo aperto di pensare Dio e il suo mistero. L’assolutezza ci fa chiusi nel pensiero, nelle predicazioni, ci fa arroganti. Le definizioni fanno la morte di Dio. De-finire è ‘far finire’ Dio, è decretare la sua morte. Questa consapevolezza ci fa usare più spesso una piccola parola che non troviamo mai, o quasi mai, nei documenti, nelle dichiarazioni ecclesiastiche, la piccola parola ‘forse’. Non l’aut aut, ma l’et et: è questo, ma anche altro. Altro dai nostri pensieri. Il nome ‘Dio’ dillo sottovoce. L’urlo chiude, il sottovoce apre. Non si tratta di indottrinare ma di affascinare”.
Siamo dunque invitati a rilanciare, ad allargare il cuore e lo sguardo. Spesso ci comportiamo come robot, cercando una quadra logica e basta, ma siamo molto di più.
Il robot ripete in automatico quello che il suo programmatore gli fa dire, perché non ha vita, anche se si muove e appare vivo. Siamo noi che siamo vivi anche quando il nostro corpo è morto. Noi esistiamo in una realtà più vasta, che contiene anche la realtà fisica. Ne consegue che, quando i nostri corpi muoiono, noi non moriamo. “La morte è la prossima rinascita che ci viene data in dono nell’universo spirituale” (Bert Hellinger, Mistica naturale. Il cammino della conoscenza).
Ammettiamolo: non sappiamo praticamente nulla. Ed è bellissimo, in un certo senso! La scienza ce lo indica tenacemente, persuasivamente: abbiamo qualche idea solo del quattro per cento di tutto ciò che esiste, un bel novantasei per cento è praticamente sconosciuto. Energia oscura e materia oscura, secondo il modello più accreditato del cosmo, sono quasi tutto quel che c’è. E noi – ancora oggi – non ne sappiamo quasi nulla (anche se, da notizie recentissime, qualcosa forse inizia a venire fuori).
Che salto, che bagno di umiltà rispetto a pochi decenni fa!
Alle soglie del XX secolo, il celebre fisico Lord William Thompson Kelvin aveva affermato: “Ormai non c’è più niente di nuovo da scoprire in fisica; tutto quello che resta da fare sono misurazioni sempre più precise”. E questa sicurezza (qualcuno direbbe arroganza) era espressa malgrado la presenza di alcune anomalie che la fisica classica non poteva spiegare, e che di lì a poco ne avrebbero fatto crollare l’intero edificio.
Proprio entrare di più nel senso del mistero, potrebbe essere ciò che veramente ci manca, ciò che ci può aiutare a guarire. Solo lo scientismo (che è filosofia e non scienza, per giunta filosofia da quattro soldi, come ci avverte Marco Guzzi) non tollera il mistero ed anzi si fa strada a colpi di (finti) dogmi, cercando di rimediare in questo modo alla sua inconsistenza strutturale. Costruisce la menzogna di una realtà oggettiva quando la scienza stessa ha già smentito questa illusione.
La relatività speciale e generale lo dimostrano chiaramente. Non esiste un punto di vista privilegiato che possa descrivere tutta la realtà “da fuori” in maniera oggettiva, perché ciascun osservatore fa anche parte di ciò che è osservato e può avere soltanto un unico punto di vista.
Eliminare il mistero dalla nostra vita non fa affatto bene al nostro cervello, ce lo dice anche la psicologia. Esiste infatti una sorta di magia che vive e fiorisce solo in ciò che è in penombra, avversa la luce piena, è disturbata dall’incedere implacabile del discorso logico (il quale, secondo un paradigma contemporaneo, drammaticamente riduzionista, è l’unico discorso valido).
Ci sono molti pensatori che vogliono farci credere che noi siamo solo delle macchine e che sarà possibile creare macchine più intelligenti di noi. Per poter diventare consapevoli della nostra grandezza, però, dobbiamo ricollegarci con i nostri sentimenti più profondi, che sono la fonte del nostro potere personale. E allora capiremo che, se possiamo creare macchine digitali che svolgono determinati compiti meccanici molto più velocemente di noi, e senza fare errori, è solo perché noi siamo infinitamente “più” di loro.
Siamo in un gioco molto più grande di noi, che esonda da ogni parte la nostra comprensione razionale. Ed allora è bello che anche la vera scienza, che è sempre altra scienza rispetto a quello che di solito pensiamo, possa aiutarci a meditare sul grado di mistero che ci circonda, possa aiutarci davvero ad andare oltre il materialismo. Dobbiamo proprio avere occhi nuovi, per questo
Lo sforzo necessario per vedere la realtà con occhi nuovi è ciò che ci porterà a liberarci da una prigione concettuale che in passato ha tarpato le nostre ali.
Così se afferro un rametto per tirarlo a Poncho, mi accade che per un attimo mi attraversi la mente l’evidenza limpidissima e liberante, che io del mondo che ho attorno non so quasi niente. Conosco quel che mi serve per muovermi, per operare, ma non posso fidarmi delle mie idee quanto queste pretendano di aver compreso tutto (o quasi). Ma anche da scienziato, non ci penso quasi mai: anche da scienziato, ho una mente ferma alla fisica dell’Ottocento. Forse non solo io.
È sorprendente per me notare che, invece di abbracciare la libertà che la fisica quantistica ha dimostrato essere una caratteristica cruciale della realtà, la maggior parte degli scienziati sembra preferire un mondo deterministico e controllabile, in cui si possano definire con precisione tutte le proprietà della realtà.
Ecco, forse è solo desiderio di controllo. Non posso avere pretese, nemmeno quelle di sapere come andranno le cose a lungo termine (mie e del resto del mondo). Forse non lo so perché c’è più libertà di quanto penso di solito.
L’universo è aperto e il suo futuro non è determinato. Questa è una conseguenza del libero arbitrio, che si manifesta anche nelle leggi probabilistiche e nell’indeterminismo della realtà simbolica.
In un universo aperto, deposta, lasciata andare, la mia volontà di controllare tutto, posso iniziare a rilassarmi. Insipiro, e lascio andare.
Per usare le parole di Margherita Hack: “Di certo, l’enigma più grande e straordinario, ancora più che l’universo, è la nostra mente, di cui ancora sappiamo tanto poco, molto meno di quello che essa ha capito dell’universo” (Il mio infinito).
Ci sarà da divertirsi, allora, perché c’è molto da imparare.
Iniziamo ad imparare incontrando Federico Faggin e Marco Guzzi a Verona il 20 maggio. Sarà un’occasione preziosa per mettere a contatto due pensieri forti ed aperti ad una speranza reale, ragionevole, robusta. Perché costruire un modello aperto della realtà (fisica, psichica, spirituale) e del cosmo, è un passo imprescindibile della rivoluzione verso una esistenza veramente umana, in armonia profonda con l’universo.
Le frasi in corsivo sono estratte dal libro di Federico Faggin, “Irriducibile. La coscienza, la vita. i computer e la nostra natura” (2022, Mondadori)
Meraviglioso mistero che pone piccole basi stimolando la curiosità verso un infinito cammino di luce!
Trovo bellissimo saper scrivere le proprie riflessioni e condividerle con quelli che come me non ci riescono ma comprendono. Grazie infinite.
Che vertigine l’umiltà…
Grazie Marco.
-2 all’evento di Verona!!!
Che bello, Marco carissimo, leggere queste tue riflessioni “scientipoetiche”.
Mi fanno respirare libertà, infinitezza, meraviglia ed entusiasmo, che sono strumenti della nostra coscienza necessari per conoscere noi stessi e nello stesso tempo per inoltrarci verso la conoscenza dell’infinito e dell’eterno: così possiamo nuotare nel mistero fiduciosi di avere una direzione ed un senso.
In questa prospettiva la ragione e la ricerca della verità si riempiono di luce e di vitalità e ci permettono anche di giocare con leggerezza col ramoscello di cui hai parlato.
Siamo davvero benedetti nel bel cammino iniziatico che percorriamo tutti insieme, grazie.
Riflessioni che creano una attesa per un evento che trasporterà tutti in quella dimensione che Marco ha saputo descrivere così felicemente!
Peccato non partecipare!ma aspettiamo con ansia la pubblicazione!
Grazie Marco!
Tu e Poncho, al parco: un bel quadretto! Se poi ci mettiamo i fumetti dei vostri pensieri riguardo al rametto, ci sarebbe da ridere! Soprattutto, per l’ espressione di Poncho, mentre divaghi tra stelle, atomi, e considerazioni sull’ umanitá e la scienza! Lo vedo, correre via con il rametto in bocca, e la nuvoletta del pensiero: ma perchè non gioca con me, semplicemente? C’ est la difference! In attesa di vedere il video, ti saluto. Brunella
Bellissimo, grazie!
Aiuterebbe molto anche chi insegna che a volte si pensa che per il fatto stesso che insegni sappia tutto di un sapere umano che è infinito e che non riesce a spiegare quasi niente.
La vita è un mistero ed è immersa nel mistero ed è per questo che diventa sacra e dunque inquietante, sorprendente e affascinante.
https://unaparolaalgiorno.it/significato/mistero
Forse basta chiudere gli occhi!