“La presente enciclica Mysterium iniquitatis svolge gli argomenti scritturali e le testimonianze tradizionali in base ai quali, a partire dalla più volte citata profezia paolina sulla trasformazione del tempio di Dio in sede dell’apostasia anticristica, definisco solennemente nei seguenti termini il dogma del fallimento del cristianesimo nella storia del mondo.
La chiesa di Cristo, che è suo corpo (cfr. Ef 1,23), deve seguire la sorte di Gesù Cristo che ne è il capo (cfr. Ef 1,22), deve cioè seguirlo nella morte, e come lui essere crocifissa nel mondo”.
Questo è l’inquietante finale di Mysterium iniquitatis, l’ultima immaginaria enciclica dell’ultimo papa Pietro II, secondo il libro di Sergio Quinzio (Sergio Quinzio, Mysterium iniquitatis, Biblioteca Adelphi, 1995, p. 86). Da qui voglio cominciare una difficile riflessione proprio sul fallimento storico del cristianesimo o, il che è quasi lo stesso, sul fallimento del cristianesimo storico.
C’è una data a partire dalla quale il cristianesimo ha voluto diventare una presenza rilevante nella storia, secondo la logica di “questo mondo” (noi diremmo: secondo la struttura mentale dell’Io egoico-bellico): l’editto di Costantino del 313.
Da allora è cominciata una connivenza della chiesa istituzione e dei cristiani con il potere e i poteri temporali che ha portato lungo i secoli alla formazione di una societas christiana: via via, la dimensione “pesante” della presenza della chiesa nel mondo si è fatta sempre più sentire con l’imposizione di un potere religioso molto forte e rigido, che si è manifestato dapprima in un’azione di proselitismo imposto e violento e poi nella pretesa di una obbedienza assoluta e di un assenso acritico delle persone e dei popoli a tutte le verità formulate dalla chiesa, riguardanti anche realtà che esulavano dal messaggio evangelico della salvezza.
Chiaramente non è tutto male questa storia: lo Spirito Santo ha continuato la sua presenza in vari Concili ecclesiali, nella vita e nell’opera dei santi e nell’ispirazione di elementi nella civiltà occidentale che tendevano alla emancipazione dell’uomo.
Ma come poteva essere perseguita una reale emancipazione umana attraverso l’imposizione di un potere e di un sapere ecclesiale? Eppure proprio questa pretesa di essere rilevanti nella storia imponendo la propria presenza, ha caratterizzato lo stile storico della chiesa attraverso i secoli, uno stile a volte addirittura trionfalistico (quando invece nel vangelo non viene trattato in modo trionfalistico nemmeno la resurrezione di Gesù: basta leggere attentamente i racconti delle apparizioni del risorto!).
Questo stile di presenza basato sul potere e l’obbedienza non è solo un tratto della chiesa cattolica a motivo del suo lungo potere temporale nello Stato pontificio: anche la chiesa ortodossa ha questo tratto (basti pensare alle chiese nazionaliste: ultima espressione di ciò, la posizione del patriarca di Mosca Kirill sulla guerra della Russia contro l’Ucraina) e pure le chiese protestanti (almeno a partire dall’affermazione del principio Cuius regio eius religio, Pace di Augusta 1555).
In occidente però a un certo punto è cominciato un movimento di allontanamento da questo potere ecclesiale che ha portato a un cammino dove l’uomo piano piano trovava la sua emancipazione nella sua libertà di coscienza, nell’indagine scientifica del mondo e della natura, nell’arte e nella organizzazione politica della convivenza sociale. È quel movimento che viene chiamato sinteticamente modernità: la Riforma di Lutero, la rivoluzione scientifica di Galileo, la rivoluzione industriale, le rivoluzioni politiche fino alla rivoluzione francese e oltre… sono tutte tappe in cui a poco a poco il mondo occidentale ha voluto staccarsi dalle sue radici cristiane e dal controllo ecclesiale. Certo, un riferimento al cristianesimo comunque restava sempre: per esempio, certi valori come quelli rivoluzionari di libertà uguaglianza e fraternità, oppure il desiderio conoscitivo del mondo o ancora la nascita della democrazia in cui ogni cittadino ha la sua dignità e valore… non possono non essere riconosciuti nella loro matrice cristiana. Ma pur avendo tale matrice, questi valori vengono tenacemente perseguiti proprio per staccarsi da tale matrice e avere un proprio autonomo progresso, secondo leggi e principi propri. Di fronte a questo movimento di emancipazione umana, la chiesa, lungo i secoli della modernità, come ha tentato di recuperare il suo potere e la sua rilevanza?
La chiesa si è sempre tenacemente opposta a questi processi e a questi cambiamenti della modernità: non ha mai accettato di perdere la presa, il controllo e la sottomissione delle coscienze. Ha sempre condannato tutto: la scienza, le rivoluzioni, le democrazie (anche in questo caso, possiamo vedere in azione la struttura mentale egoico-bellica!).
Alla fine però ha dovuto accettare la situazione che si è prodotta lungo i secoli, ha dovuto ricredersi su molte posizioni e si è aperta al confronto col mondo moderno, sancendo la positività della conoscenza scientifica, della democrazia, della generale cultura umana: l’ha fatto nel Concilio Vaticano II (1962-1965).
L’ha fatto però proprio nel momento in cui la medesima cultura umana cominciava a porre in questione e a mettere in crisi le stesse idee forti della modernità: appunto, il progresso scientifico e tecnologico, la democrazia, la possibilità che la ricerca umana possa davvero arrivare a una qualche verità. Cioè, proprio quando la cultura del mondo occidentale stava cominciando a prendere le distanze dai valori della modernità (anche perchè nei loro esiti ultimi avevano prodotto due guerre mondiali e ogni tipo di totalitarismi!) e stava scivolando verso la… post-modernità, la chiesa ha cominciato a riconoscere la positività di questi valori, ponendosi dentro un clamoroso ritardo storico.
A questo proposito bisognerebbe forse farsi una domanda: non sarà che questo riconoscimento tardivo della modernità, sia in realtà un ulteriore tentativo di porre ancora la storia e la cultura umana sotto il “marchio cristiano”? Non sarà ancora la disperata pretesa di affermare la propria rilevanza nella storia? L’estrema e ultima manovra per esercitare nel mondo una influenza che è comunque un potere?
Dietro a tutto questo ci sarebbe ancora la credenza che si possa testimoniare il vangelo attraverso i criteri e le logiche di “questo mondo” (cosa che, fin dall’episodio delle tentazioni di Gesù, è assolutamente escluso!).
Ebbene: è proprio questo tipo di cristianesimo che è finito. È finito perchè ha fallito il compito: ha voluto realizzare il Regno di Dio attraverso le proprie istituzioni; ha voluto perseguire un potere e un trionfo che fin dall’inizio Gesù ha rifiutato.
Come sempre accade però, non c’è una fine senza che vi sia anche un inizio. Se la forma dominante fino a qui di cristianesimo è stata quella di un vangelo assunto da logiche mondane, che tutto voleva rivestire di sé pur di affermare la propria rilevanza storica, giungendo però alla attuale “insignificanza” dell’essere cristiani che riduce la fede a pura rappresentazione (pensiamo alle celebrazioni di battesimi, cresime, matrimoni, prime comunioni…), lungo la storia comunque ci sono stati i santi che sono stati sempre capaci di incarnare un altro stile di “efficacia storica”: essi sono stati sempre consapevoli che nulla poteva realizzare in questo mondo il Regno di Dio e che ogni opera, anche la più buona e bella, altro non era che un segno e un seme del Regno. Bisogna riprendere questo stile e trasformare l’essere cristiani solo per tradizione e per poter compiere belle rappresentazioni cultuali (le “cerimonie”!) in qualcosa che davvero trasformi dall’interno l’essere dell’uomo e che poi sia capace di ricominciare a porre nella storia segni e semi del Regno.
Forse bisognerebbe pure cambiare nome: “cristiano”, “cristianesimo”, “cristianità”… sono tutti termini ormai consumati e che non parlano più. Potremmo invece riprendere la parola ebraica e chiamarci “messianici”, risignificandola nel senso di una adesione personale al vangelo che forma comunità iniziatiche e escatologiche.
Potremo ricominciare un cammino storico che invece di ricercare la rilevanza, che è solo un dato quantitativo, ricerca la significanza, che è un dato qualitativo: certo non ci vedremo più commossi perchè il Papa riesce a raccogliere attorno a sé migliaia di persone nei vari raduni di ogni genere, ma in compenso vivremo fraternamente cammini di fede iniziatici in cui i tesori fondamentali saranno una Parola che fa ardere il cuore (Lc 24,32) e un Pane spezzato e dato che fa aprire gli occhi (Lc 24,31) sul mistero di Dio, mistero nascosto dalla fondazione del mondo ma ora manifestato in Cristo. E dovremo sempre stare attenti a tenere insieme la Croce e la Gloria: non perchè la Croce viene prima della Gloria della resurrezione, ma perchè la Croce è la Gloria, cioè quella estrema e definitiva rivelazione di Dio come dono di sé (“Bisognava che il Cristo soffrisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria”, Lc 24,26).
E saremo sempre ben presenti nella storia, ma con un riferimento escatologico al Regno di Dio: tale riferimento ci porterà a non aderire mai pienamente a nessuna realizzazione umana, nemmeno le nostre, ma a vedere sempre in modo profetico i limiti delle opere delle mani dell’uomo. Non per questo ci sottrarremo alla propensione poetica e creativa di porre anche noi, in questo nostro tempo così terribile e meraviglioso, i nostri segni e i nostri semi, come hanno fatto sempre i santi in questi primi due millenni dopo il Cristo.
Comprendo i limiti di questa mia riflessione che manca di tanti riferimenti precisi alla storia: vuole solo essere un percorso trasversale che compie ampie campate temporali e che vuole mettere un punto e a capo.
Se come dice il papa Pietro II di Sergio Quinzio, anche la chiesa come corpo ha da morire sulla croce come il suo capo, questo potrà avvenire solo dando credito al fatto che anche per la chiesa la propria croce è la propria gloria: “Bisognava che la chiesa soffrisse tutte queste sofferenze per entrare nella gloria del suo Signore”. Amen.
Vi ringrazio per questo contributo.
Nella chiesa si parla molto di obbedienza che scaturisce dall’ascolto e non è questione di soli voti religiosi.
Di recente Sabino Cassese terrà un incontro riflettendo fra obbedienza ed osservanza.
L’obbedienza, piu’che eliminata, va ripensata perchè non diventi uno strumento di potere.
Come questo si possa fare non so. Me lo chiedo spesso anche io.
Grazie
Silvia
Sicuramente la riflessione merita ulteriori approfondimenti. Ma comunque sia. Solo per dovere di cronaca. Il termine potere nel Vangelo non ha solo un significato negativo. Gesù dirà che gli e’ stato ogni potere “ in cielo e in terra”.
E così anche la Chiesa esercita un potere legittimo per mandato del suo Signore, certamente spirituale, pacifico,morale,dottrinale e quant’altro.
Un potere,comunque, o se non ci piace la parola un autorità.
Un potere che viene dall’alto e che non si legittima sempre e comunque attraverso le regole di una società democratica, che può essere manipolata e noi sappiamo che è proprio così.
Quindi mi chiedo, facciamo sempre il tifo per la democrazia,separazioni di poteri,etc. ma attenzione alla fine a chi obbediamo o meglio, quali sono i nostri valori di riferimento ( Gesù direbbe “ chiunque è dalla verità ascolta la sua voce”.
La voce dello Spirito.
Ho trovato il tutto in una sintesi illuminante, storica e profetica..
Una meraviglia…..
Condivido tutto, perfino i punti e le virgole. Grazie. Don Franco Lenetti sr
Magnifica sintesi, ottime domande di cui condivido le risposte.
Grazie per questo bel lavoro.
Sembra chiaro anche a me.
Grazie Massimiliano.
Buon cammino verso la mostra fine per la nostra nascita.
Stefano
Grazie marco. Una riflessione stupenda e assolutamente necessaria. È da tempo che il tema del fallimento come cifra del cristianesimo rispetto a tutte le religioni del mondo e del piccolo gregge a dispetto della universale necessità di audience. D’altra parte anche a livello interiore non è necessario forse perdersi per ritrovarsi? Molto giusto ciò che scrivi e credo che per ogni gruppo l’idea di vittoria umana sia sempre una tentazione. Con ciò non voglio dire che non si debba “annunciare il Vangelo ad ogni creatura” ma che porre l’accento in questi termini può significare ancora una volta introdurre una prospettiva ed un metodo totalmente differenti e la Via è sempre il punto centrale.
Non lascerei però il termine che ci lega a Cristo ed si suoi primi rami. Messianici appartiene nel mio immaginario forse piu agli Ebrei che aspettano ancora… ma non credo di avere strumenti per queste valutazioni…
Scusami Massimiliano. Ho visto che sei tu l’autore. Grazie a te
Ti ringrazio per la tua sintesi che ho letto e riletto.
Mi ha fatto ricordare una riflessione che ho ascoltato qualche tempo fa e che purtroppo non ricordo esattamente. La riporto sotto forma di domanda.
Il Cristianesimo – Gesù, è come la Cometa che 2000 anni fa lo ha annunciato?
La sua luce ha attraversato la Terra e poi è scomparsa nell’immensità dell’Universo?
Come le Comete ritornerà dopo secoli?
Le inestricabili contraddizioni di questo mondo lo fanno sperare, ma solo la Fede ce ne dà la certezza.
Caro Massimiliano,
leggendo questa tua riflessione ho sentito giungermi come un’aura di freschezza, ma nuova, un elemento di alleggerimento e di sollievo, nonché di gioia. Grazie di cuore.. davvero.
La sola idea che il Cristianesimo decida di adottare una diversa nomenclatura e di appellare sé stesso in modo altro lo trovo arricchente e di un fascino quasi.. avveniristico.
La cosa che almeno a me fa più soffrire, sai, non è tanto la pretesa della Chiesa di avere a tutti i costi una “rilevanza” storica – cosa alla quale comunque, in quanto occidentali, siamo abituati (vista la storia stessa della Chiesa) e che, come possiamo notare in particolare oggi, produce i suoi effetti – ossia sempre meno credibilità e sempre più persone che se ne allontanano. Quanto il fatto che la Chiesa non abbia ancora digerito gli ultimi due secoli, il suo “ritardo” nell’assimilazione di essi e nel ‘salto’ di coscienza di cui un secolo come il nostro (insieme all’umanità che lo vive) avrebbe urgentissimo bisogno. Ecco: “Il mondo è ancora troppo vecchio!”, direbbe qualche poeta come Rimbaud. Anche se, al tempo stesso, mi rendo consapevole che i cambiamenti sono molto lenti, la storia stessa è lenta e impiega del tempo ad assorbire ciò che le sta alle spalle. Un po’ come accade a noi singoli con le esperienze che facciamo nella vita e di fronte ai punti di svolta.
Grazie comunque ancora per le tue parole – davvero illuminanti.
Un caro abbraccio,
Simone
Caro Massimiliano, hai fatto una sintesi magnifica del perché il cristianesimo ha fallito storicamente. Ancor prima del 313, quando il cristianesimo è stato annacquato dalla protezione offerta dal Cesare dell’epoca, gli Atti ci parlano di uno dei primi cristiani (At 5,1-11) che trattiene per sé una parte – foss’anche minima – del ricavato della vendita di un podere, anzichè deporre tutto ai piedi degli Apostoli. Quel giorno abbiamo capito che essere devoti di Cristo – anche sinceramente devoti – non significa essere come lui, che non aveva trattenuto nulla per sè. L’Amore è infinitamente superiore ad ogni confessione di fede e ad ogni atto sacramentale, ma la Chiesa ha curato molto questi, trascurando quello. L’Amore, insegnavano già i padri, è la relazione delle persone della Trinità tra di loro, ma anche la relazione della Trinità col creato (cioè con quanto era nulla prima di ricevere l’essere). L’Amore è stata fin qui una risorsa scarsa nella Chiesa – ne è circolato poco – proprio come nel mondo. Mi sembra che “darsi pace” è sulla buona strada, perché punta tutto sul transito esistenziale dall’io bellico all’io relazionale, cioè dall’uomo vecchio all’uomo trinitario. E’ tostissima, ma è l’unica via percorribile
Pure con notevoli spunti molto interessanti, trovo l’analisi abbastanza ingenerosa e a tratti anche riduttiva e screziata di “cancel cultura” verso una realtà che ha e ha avuto una storia molto complessa (dimenticando anche le diverse culture nelle realtà storiche delle varie epoche che si sono succedute). Non si può non considerare che la presenza nei vari periodi storici di Santi molto importati nel processo di incarnazione Cristica irreversibile nel singolo momento storico dell’uomo (anche in termini interpretativi dalle varie teologie), abbia permesso di essere oggi quel che siamo e di avere permesso di annunciare il Vangelo “fino ai confini del mondo” (poteva andare molto peggio). In particolare trovo molto ingiusto non vedere l’enorme fatica che i parroci attuali cercano di tramandare con enorme fatica l’annuncio Cristiano (dovremmo caso mai consigliare loro dei percorsi diversi) anziché solo liquidare come banali “rappresentazioni” liturgiche le attuali iniziazioni cattoliche (cosa sappiamo dell’interiorità delle persone?) D’altra parte Gesù non ha mai indicato percorsi meditativi. La Chiesa e il cristianesimo è da secoli che è entrata nel tritacarne della modernità filosofico, scientifica e teologica, ed è stata giustamente vivisezionata e ridimensionata.
Mi riflette molto nell’esigenza del sentire/sentimento, anche nella lettura storica e sociale, la visione attuale è più nitida, lo è sempre di più formulando insieme nel nostro percorso con Darsi Pace. La visione futura non può più esimersi dall’essere un fatto esclusivo storico occidentale. Questa visione deve necessariamente abbracciare uno spazio-tempo che non è più assimilabile alle visioni passate limitandole. A partire dalle reali fondamenta identitarie, rielaborazione profonda, integrazione come sintesi, differenze come ricchezze,… Sono solo visioni le mie, mosse da questo bel testo, grazie.
per poter compiere belle rappresentazioni cultuali (le “cerimonie”!) in qualcosa che davvero trasformi dall’interno l’essere dell’uomo e che poi sia capace di ricominciare a porre nella storia segni e semi del Regno.
Ecco ciò che sento essere la svolta necessaria che la chiesa (istituzione) dovrà compiere per poter raggiungere i fedeli (pochi mi vien da dire, ma potenzialmente molti se questo avverrà…) che desiderano profondamente capire nella carne i doni dello Spirito, quindi momenti finali di rappresentazioni ma , nel contempo, momenti iniziali (forse) se questa benedetta chiesa vorrà rimettersi a seguire Cristo e non il mondo.
La chiesa di Cristo, che è suo corpo (cfr. Ef 1,23), deve seguire la sorte di Gesù Cristo che ne è il capo (cfr. Ef 1,22), deve cioè seguirlo nella morte, e come lui essere crocifissa nel mondo”.
Grazie Massimiliano parole sacrosante!
Ciao Massimo
Giusto questo articolo per cogliere l’occasione di esprimere il mio profondo apprezzamento per il libro scritto dai due amici Fausto e Marco ( Pace e Rivoluzione Ed. Mariu’). Libro in linea con questo scritto. Grazie
Grazie per questo articolo che non solo focalizza questo tremendo dramma storico, ma anche la storia di questo dramma, o meglio la sua psicodinamica individuale e collettiva, ed il suo sperato sviluppo.
Thomas Eliot lo riassumeva con questa domanda: “È l’umanità che ha abbandonato la Chiesa o è la Chiesa che ha abbandonato l’umanità?”
La Chiesa abbandona l’umanità quando smette di credere in Cristo, cioè di credere che Cristo risorto dalla morte è la risposta completa e definitiva al problema esistenziale dell’uomo, con tutti i risvolti pratici e di pratica, oggi sempre più clamorosamente assenti.
Ma come dice bene l’articolo tutto questo è provvidenziale! Terribile come l’Apocalisse, ma necessario.
Non solo perché “separa il grano dal loglio”, ma perché, credo, venendo meno sempre di più questo “fantoccio di cristianesimo” che è presente nella maggior parte delle sagrestie, delle comunità, dei gruppi, delle aule di catechismo, delle ore di religione a scuola, delle librerie cattoliche, dei convegni e dei consessi ecclesiali… tanto più che questo “fantoccio di dio” sarà morto… tanto più emergerà un Cristianesimo rinnovato, vicino al destino autentico dell’uomo.
La Chiesa istituzione e il “mondo” in osmosi dialettica si sono inseguiti e combattuti aspramente pensando ciascuno di correggere e salvare l’altro.
Entrambi nel tempo della storia sono caduti in abissi mortali ma hanno hanno anche conseguito risultati luminosi. Entrambi sono portatori di grandi e valide ragioni, perchè comuni sono le radici messianiche, ma le gestiscono troppo spesso in relazione di scontro bellico.
Avrebbero bisogno di imparare ad ascoltarsi e tocca alla Chiesa dare l’esempio, è nella sua “missio”fare il primo passo per invitare al dialogo, nella logica della “Caritas in veritate”, per evitare la deriva nichilistica del razionalismo sterile della modernità.
La Chiesa dopo il Vaticano secondo ha fatto generosi tentativi come nel caso citato di accogliere la Modernità ma proprio quando il mondo stesso stava passando alla post- Modernità.
Non è facile contrastare pacatamente il “politicamente corretto” e la “cancel culture” o la tendenza ad ideologizzare ogni tematica come quella ambientalista o femminista “fluida”.
Ma l’attenzione al mondo non può indurre atteggiamenti supini come la Chiesa, ad esempio, sta facendo oggi riguardo alla globalizzazione, dove è rimasta la sola a continuare a difenderla mentre chi l’ha proposta in termini politici oggi l’ha abbandonata perchè ne ha constatato il fallimento ( al punto che il G7 di questi giorni in Giappone si è messo nella prospettiva del riarmo militare che aveva ridotto sperando in una globalizzazione pacifica).
I percorsi iniziatici costituiscono una prospettiva difficile ma reale, nella gradualità tenace.