«E il molto appreso/dovevi tu/in parola ricambiarlo» (Mario Luzi).
Mi mancate. Mi mancano i giorni insieme, i vostri abbracci, le vostre lacrime, la vostra gioia, i vostri corpi, le vostre risate, la nostra fede. Ora, a distanza di giorni, ne ho un ricordo struggente, un morso feroce di nostalgia e gratitudine. Non vorrei sentirmi come mi sento ora, non vorrei sentirmi distante da voi. Vorrei essere con voi, come parte agente di ogni molecola del nostro corpo comune, unito, in contatto, accolto, inviato: sentirmi parte.
In questo viaggio con voi ho incontrato, ancora una volta, la gratitudine e la rinascita; meglio, la gratitudine nella rinascita. Nei giorni condivisi, dalla mattina alla sera, sono lentamente rinato, di attimo in attimo, molecola per molecola. Ero stanco, appassito, essiccato: la comunione mi ha innaffiato e una parte di me è rinata in me. Attimi di vita comune che si sporgono sui limiti del linguaggio, come un segreto. Un segreto non è un peccato: un segreto non si nasconde, si custodisce, non lo si nega, lo si protegge. Voi siete stati sostegno e tremore, vastità e focolare. Ho lasciato il mio dolore, per un nuovo amore. Volevo una storia grande, ho avuto incontri immensi, creaturali, concreti. Dovevo restare con voi, nel fuoco della nostra presenza dedita: c’era tutto e quando la vita è arrivata in me, sono arrivato anche io. È vero, “quando il destino viene scelto, assunto, ha la forma dell’amore” (C.L. Candiani).
Insieme, a Romena, siamo venuti al mondo, nella comunione abbiamo raggiunto noi stessi, allacciati gli uni agli altri. Un avvento graduale e, al tempo stesso, fulmineo, un balzo ritmato nell’attimo, un guizzo dell’imprevisto, il tumulto repentino dell’inatteso. Ora guardo, ricordo, scrivo, scommetto, rilancio, mi lancio di nuovo nel respiro del mondo. Niente di meno di un salto nel vuoto, che si trasfigura in abbracci vasti e lunghissimi, un impasto condiviso di corpi attesi e volti scoperti, parole custodite e scovate in porti sepolti. Sono attimi, quelli vissuti insieme, in cui non sei più il facente funzione dell’Ego, ma un Io sveglio, nudo, che trema per vivere. L’ordine della pace non si impone, si propone, è un ricamo continuo, un incedere calmo, una scommessa radicale alla quale ti devi concedere senza riserve e residui, smisuratamente: per avvenire, devi sparire con immensa generosità. Come scrive Marco, “ogni volta che morendo mi ascolti, il tuo nome si va perfezionando. Ecco perché «il nome tuo è questa morte», non un’altra, non una futura, ma questa qui, quest’attimo umilissimo di Rivoluzione, di Risurrezione permanente. A ogni istante, morire è conquistarsi un nome, non si muore nel nulla. Mai”.
Uno dei piccoli e indelebili miracoli di Romena è stata la rianimazione del mistero della relazione, l’Io come mistero relazionale. La comunicazione è diventata contatto, la parola si è incarnata nella confessione di corpi e sguardi, e la reciproca offerta di sé all’altro è diventata il fondamento dinamico del nostro essere insieme. Nell’offerta reciproca siamo diventati opera comune. In questo permanente lavoro di ricerca e cura sono trasmigrato dalla stanchezza alla rinascita: un trasloco della mente, un rivolgimento permanente, un abbandonarsi in atto, una liberazione trasformatrice. Sono guarito–insieme, stando insieme, rivoluzionando così ogni briciola sconfitta del mio corpo e dei miei giorni, la mia stessa provenienza. In questo associarsi di soggettività inquiete, ho visto una spiritualità concreta, umile, bisognosa, forte e ostinata, incarnarsi in moltitudine. Collettività e individualità non sono momenti contraddittori, ma l’uno la realizzazione espansa dell’altra, il suo volto incarnato e trasfigurato. Insieme a Romena eravamo comunione in cura e relazione che cura e guarisce, crede e prospetta l’ancora inedito. Un altrove presente qui e ora, uno stato del nostro essere come iniziazione e metamorfosi o, come scrive ancora Marco, “il coraggio come forma di pensiero”, come “dinamo cardiaca di ogni pensare creativo”. Nel nostro piccolo laboratorio ci siamo incontrati come anime in ricerca, radicalmente insoddisfatti del presente e, al tempo stesso, infinitamente pazienti e decisi nel farsi lavorare dall’inedito, nel sovvertire noi stessi, le nostre paure, la scuola e il tempo vissuto: liberazione interiore, trasformazione del mondo.
Romena, voi tutti, siete stati il luogo e l’evidenza di un momento cruciale, qualcosa che ha a che fare con la temporalità esatta di una decisione continua: quella di un cambiamento radicale del nostro modo di essere, di una soggettività che accade a sé stessa nella tonalità ricevuta della gratitudine. Un Io in conversione e in relazione come prassi permanente, come forma di vita che nella sperimentazione, nella confessione e nel disarmo di sé guarda al futuro come opera in atto, combattendo con determinazione la prigione della disillusione per afferrare un nuovo, sorgivo, sguardo sul presente.
In tutto il laboratorio pedagogico di condivisione, ognuno di noi ha deciso di morire a sé stesso per incontrarsi, di nascere a sé nascendo-con; rinunciare alle catene epidermiche degli sguardi del passato per sperimentare una dinamica attiva di liberazione permanente. In ogni singola sessione di lavoro, ciascuno di noi non cercava solo strumenti per cambiare la scuola, ma per cambiare l’ordine di conflitto, violenza e disumanizzazione che governa il nostro tempo e di cui la scuola è, in parte, conseguenza e espressione.
Abbiamo parlato in ascolto, abbiamo cantato, invocato, pianto e ringraziato tutto ciò che abbiamo nominato. Ho visto accogliere e a mani nude seminare cura e conforto nei corpi, ho visto fare del cuore offerta al desiderio e alla fiducia nella difficoltà e nel timore. Ho visto donne, uomini e ragazzi sperimentare insieme, educatrici, educatori e studenti radicati nella loro missione e incarnare una piccola comunità nascente, pronta a fare dell’educazione e dell’insegnamento un contagio evolutivo d’amore, conoscenza e consapevolezza permanenti: immaginare la scuola come continuo e tenace ritorno alla complessità dell’umano.
È questa misteriosa opera della creazione e della condivisione quotidiana che ho visto in voi e vissuto con voi a Romena, questa fede inesauribile e gravida di un futuro possibile intravisto nell’ora, nonostante la fatica e le difficoltà, nonostante le forze avverse del nostro tempo, nonostante le fratture dell’anima e i tonfi del cuore, nonostante tutto. Per ora me ne resto ancora un po’ qui, con il ricordo dei nostri giorni insieme e dei vostri volti stesi nella memoria, fino a quando non sarà giunto il momento di salutare, di lasciar andare, per poi ricominciare, ritornare. Perché è vero, le persone “si incontrano per rinascere. Nascere non basta mai a nessuno “(Franco Arminio).
Vi amo e vi custodisco in me, come un dono ricevuto che dice salvezza.
Un abbraccio speciale e smisurato a tutti voi, con tutta la mia infinita gratitudine.
Grazie Francesco, per aver tradotto così poeticamente e generosamente le tante sfumature vissute insieme a Romena. Rileggerti è rimmergersi in quella comunione autentica con un po’ di nostalgia e tanta gratitudine
Una bellissima apertura del cuore, non sempre facile da descrivere e da condividere.
Confermo tutto quello che hai scritto, caro Francesco.
Un abbraccio
Paola
Grazie per questa stupenda condivisione del tuo sentire che incoraggia e stimola tutti noi a proseguire in questa rinascita che ci porterà a cambiare questa società
Grazie Francesco per aver condiviso queste tue emozioni e riflessioni ricche di un fresco pathos, molto contagioso ed anche evocativo.
Ma non hai solo ricordato i momenti di grande comunione, hai anche colto lo spunto per suggerire, con discrezione, un nuovo modo di essere in classe del docente… da tanti punti di vista.
Ne è derivata unricchezza di spunti innovativi per una didattica più umanizzante e – perciò stesso – più incisiva.
Pensa… ad un certo momento ho cominciato ad appuntarmi i temi e le prassi che – a partire da quanto dicevi – si rivelavano utili da approfondire, per trarne innovazioni salutari e innovative sul “cosa” e “come” insegnare…
Anche per me è stato un piacere conoscerti e dialogare con te con la “semplicità di secondo grado” che tanto arricchisce chi la pratica.
Buon proseguimento del tuo cammino, così “produttivo” per te e per tutti noi.
Grazie Francesco per aver condiviso queste tue emozioni e riflessioni ricche di un fresco pathos, molto contagioso ed anche evocativo. N
Ma non hai solo ricordato i momenti di grande comunione, hai anche colto l’occasione per suggerire, con discrezione, un nuovo modo di essere in classe del docente… da tanti punti di vista.
Ne è derivata una ricchezza di spunti innovativi per una didattica più umanizzante e – perciò stesso – più incisiva.
Pensa… ad un certo momento ho cominciato ad appuntarmi i temi e le prassi che – a partire da quanto dicevi – mi sembrano utili da approfondire, per trarne innovazioni salutari sul “cosa” e “come” insegnare…
Anche per me è stato un piacere conoscerti e dialogare con te con la “semplicità di secondo grado” che tanto arricchisce tutti coloro che la praticano.
Buon proseguimento del tuo cammino, che si sta rivelando capace di suggerire idee e proposte innovative stimolanti per tutti noi.
Mi piacerebbe molto partecipare ai seminari Darsi scuola a Romena visto che sono in darsi pace ed ho casa a pochi chilometri. Lascio la mia email di contatto per eventuali comunicazioni che aspetto di cuore quando possibile. Complimenti, un caro saluto sperando di vedersi presto. giuliopetri78@gmail.com
Caro Francesco non credo si possa aggiungere alcunché alle alle tue parole…solo Grazie!
Grazie Fra per averci regalato questa rievocazione esperienziale e quindi terapeutica dello spirito di Romena. Tante fragilità che scendono nella propria paura (di sé, dell’altro, del mondo; del passato, del presente e del futuro) per compiere quel salto mortale che è apertura a una nuova vita, sempre più fresca, senziente e intelligente. Rifamolo.