I. La mente ordinaria è annuvolata
Un pomeriggio uggioso; giganti nuvole plumbee coprono il cielo: si muovono vorticosamente, come se avessero fretta di adombrare ogni minimo lembo di azzurro rimasto scoperto o volessero mangiarselo. Non accade, forse, così anche con l’uomo? – mi dico.
Cortei di pensieri fitti come vapori di fabbrica sono sempre lì, pronti ad oscurare ogni centimetro della nostra mente più limpida. Poi scoppia un temporale. Ascolto il dolce mormorio della pioggia, che scroscia sulla siepe e sugli alberi attorno a casa mia. Mi sa di una voce lontana e al tempo stesso così nota, provo ad ascoltarla, a sintonizzarmici sopra.. Mi sa di una carezza troppo a lungo dimenticata, di un tocco di mani che avrei tanto voluto dare e ricevere. Eppure sembra essere tutto così quieto e placido nella mia vita..
Com’è che avverto invece in me, se mi fermo ad ascoltarmi, un certo tormento? Di che cosa si tratta? Perché a tratti mi spaventa? Resto seduto sulla sedia al mio tavolo, a momenti socchiudo gli occhi e poi li riapro, cercando di rimanere, per quanto mi è possibile, in contatto col mio respiro. Osservo le scolopendre dei miei pensieri intrusivi infilarsi negli interstizi della mia mente ordinaria: emanano perlopiù un cattivo odore, sanno di muffa, di mancanza di senso, della percezione di un niente che pare slargarsi sotto di me come una voragine nell’asfalto. “Tu fai tutta questa fatica”, mi gridano addosso, “ma la realtà è che prima o poi scomparirai e finirai tra le braccia della morte, che con la sua venuta spazza via tutto ciò che di superfluo c’è in una vita umana. Di te non rimarrà traccia”.
Le loro voci si affollano, si fanno assordanti, mi metto persino le mani sulle orecchie pur di non sentirne la voce. “Sei tu, morte. Tu, che mi fai questa fottuta paura. Ma questi pensieri non sono io”, dico a me stesso.
“Le loro inframmettenze non determinano chi sono io nella mia più ultima realtà”. Mi lascio catturare ancora dal suono della pioggia all’esterno che giunge a me dalla finestra e che sembra dirmi di voler trascinare via con sé tutti i detriti e le scorie prodotte dalla discarica della mia mente. “Ti affido il mio affanno, a te che parli dell’Eterno”. Chiudo nuovamente gli occhi, faccio scorrere una lacrima lungo una guancia e vedo un bambino che strilla impazzito. Sono io, nella nebbia della mia abituale confusione: ho un blocco al petto, non riesco a proferire parola. Avverto solo un ghiaccio nel corpo, che mi appare lungo il paesaggio marino della vita come uno scheletro danzante in solitudine su una spiaggia inaridita.
Mi sento vittima di un Carnevale da incubo creato solo da me – e non dagli altri. Ed ho l’impressione che nel mio cuore non circoli più sangue, bensì solo e unicamente morchia.
II. “Sono con te anche quando ti perdi d’animo”
È così: anche quando neanche ce ne accorgiamo, nel nostro stato ordinario dell’Io il cuore che ci batte in petto è un conglomerato di marmo. Ci possono essere appartamenti in festa in quei quartieri, uomini che urlano in preda all’euforia più grande, che giocano o bisbocciano: la realtà è che il cuore giace sepolto nelle più profonde fosse delle Marianne. Ecco, adesso la pioggia mi porta una sferzata di dolore, lo sento: tutto ciò che nel profondo desidero è in verità un colpo di cannone che scassi e faccia breccia nei rivestimenti granitici del mio cuore. Preda di quella fitta che è divenuta senso d’impotenza, decido di farmi cullare più a fondo dal mio respiro, cui fa eco il suono della pioggia. Sono seduto sull’orlo della morte, di quella morte che tanto mi spaventava, e scendo nel mistero del mare che si spalanca davanti a me. Sì, è un mistero totale, perché mi parla, proprio come la pioggia, ma vivente e pulsante. Lo imploro:
“Salvami! Salvami dal mio buio; vieni da me, donami un grammo della tua presenza”. Un tuono, ecco, si abbatte sulla terra; trasalisco. “Il Signore tuona con forza”, mi tornano in mente i versi del Salmo 28. “Rialzami da terra come un bimbo in fasce, poiché sanguina la mia carne e non sento più la vita che cresce. Salvami da questo freddo che mi strizza le viscere”. Dopodiché un calore, sottile e lieve come una fiammella, inizia a pervadermi e mi intenerisce. Al ritmo della pioggia ritorna quell’antica voce, che mi mormora: “Sei qui, al mio riparo, sotto la mia pensilina; dimentica le macchie nere sulla vetrina. Mi prendo io cura di te. La densità del mio amore per te è quest’onda che senti salire adesso. Immergiti in me.. Ricorda che io sono con te anche quando ti perdi d’animo”. Fuoriesco dalla camera ardente come con un lenzuolo bianco di luce nuova avvolto indosso. “È qui che voglio dimorare.. in questo senso di compassione e gratitudine che si sparge verso il mondo ed ogni sua creatura”. Per qualche istante avverto pulsarmi in petto qualcos’altro: no, non sono il clown del mondo, non il suo lamento; sono l’amento di un gattice che sta rinverdendo, sia pure esposto a violente raffiche da uragano. E scopro, sia pure per poco, quel ritmo del cuore infinito, stupendo: un attimo di quel cuore di carne che cercavo – invaso dal senso di presenza dell’Eterno.
Un cuore di pietra o un cuore di carne? Sotto quale egida vuoi metterti, Simone? Sotto quale segno?
Molto bello, potente e gentile
https://www.avvenire.it/papa/pagine/santa-marta-dio-puo-cambiare-cuore-di-pietra-in-cuore-di-carne
Grazie Simone, riconosco in me molto di quanto tu descrivi, con chirurgica esattezza.
L’immagine iniziale dei nuvoloni burrascosi mi ha fatto pensare al cielo che quei nuvoloni si mangiano. Il cielo azzurro, cielo sgombro, che chiamiamo sereno.
Proprio come noi, intuiamo accenni di sereno quando riusciamo a placare la tempesta e intravediamo quello spicchio di azzurro che lascia presagire ben altri inabissamenti. E tocchiamo il cielo sia pure soltanto con un dito.
iside
Grazie a voi tutti dei vostri commenti.
La mente annuvolata è sempre molto appesantita; e noi sappiamo bene quanti sassi e quanto stress si porti dietro.
Diverso è sperimentare che tutto ciò è come un film che scorre su una lavagna luminosa, un film dietro al quale si nasconde qualcosa di più solido.. che non scorre. Che è fisso e insieme diverso e vasto, come scriveva Montale in Mediterraneo.
Già farne esperienza ci regala un sacco di alleggerimento.
Possiamo noi tutti realizzarlo sempre di più.
Un saluto affettuoso
Simone